«L’addio all’atomo durerà poco»

Abbandono anticipato del nucleare, non sostituzione degli impianti esistenti una volta che si concluderà il loro ciclo di vita o costruzione di nuove centrali al posto di quelle più vecchie. Sono le tre varianti che il Consiglio federale esaminerà mercoledì prossimo in una seduta dedicata al futuro della politica energetica svizzera dopo la catastrofe di Fukushima. Alla vigilia di questo cruciale appuntamento, area ha voluto tastare il polso in casa dei fautori di questa tecnologia con un'intervista a Bruno Pellaud, figura di spicco degli ambienti filonucleari svizzeri e acuto osservatore della realtà politica ed conomica.

Signor Pellaud, nel mondo politico svizzero nessuno sembra più credere in un futuro nucleare, compresi i consiglieri federali borghesi. È sorpreso di questa nuova situazione?
Fukushima è stato un evento eccezionale dal punto di vista mediatico. Come già fu per gli attentati dell'11 settembre 2001, il mondo intero è stato informato degli eventi in tempo reale: a differenza di quanto capitò venticinque anni fa con Chernobyl, le immagini della catastrofe giapponese sono state trasmesse e commentate in diretta, anche se non sempre in maniera pertinente. Questo ha scatenato una sorta di "tsunami mediatico" a livello mondiale, che ha colpito la Svizzera in maniera particolarmente violenta. Sinceramente mi ha scioccato l'unanimità con cui i media (con qualche rarissima eccezione) siano passati da un giorno all'altro dal fronte dei favorevoli al nucleare a quello dei contrari e abbiano iniziato a insinuare dubbi sulla sicurezza delle centrali svizzere. La reazione dei politici è la logica conseguenza di tutto questo: a pochi mesi dalle elezioni federali è difficile resistere a uno tsunami di questa portata.
D'accordo. Ma non la sorprende il fatto che oggi in Consiglio federale vi sia una maggioranza favorevole all'abbandono del nucleare e che anche i partiti cosiddetti di centro (Plr e Ppd) sostengano questa tesi, in passato condivisa solo dalla sinistra e dai verdi?
Già il fatto che le reazioni più prudenti all'incidente di Fukushima siano giunte dalle due ministre socialiste Calmy-Rey e Sommaruga, la dice lunga sulla credibilità della politica. Le recenti esternazioni in favore di un abbandono del nucleare fatte per esempio dal consigliere federale Johann Schneider- Ammann e dal presidente del Plr Fulvio Pelli, così come dal suo omologo popolare democratico Christophe Darbellay, sono davvero incomprensibili e sintomo di scarsa serietà, visto che fino all'altro giorno queste stesse persone sostenevano tesi opposte. Questo modo di fare politica va stigmatizzato. Ho sempre votato radicale ma penso che non potrò più farlo.
Il recente rapporto dell'ispettorato federale della sicurezza nucleare (Ifsn) sulla sicurezza delle centrali svizzere, pur sottolineando che «la popolazione non corre alcun rischio immediato», ha rilevato delle carenze in tutti gli impianti e ordinato ai gestori una serie di misure da adottare, imponendo loro anche un calendario preciso degli interventi. Ritiene che valga la pena dal punto di vista economico effettuare questi interventi anche sugli impianti più vecchi, come quello di Mühleberg? O forse sarebbe più conveniente chiudere la centrale?
Mi consenta innanzitutto di precisare che il rapporto dell'Ifsn, spiegando i motivi dell'assenza di un rischio immediato, sottolinea che le nostre centrali sono state costantemente ammodernate e che dispongono di sistemi di sicurezza supplementari. Esso inoltre critica fermamente le carenze riscontrate in Giappone.
Per quanto riguarda la domanda, le misure suggerite sono fattibili per tutti e cinque gli impianti. La centrale di Mühleberg: è un'eccezionale macchina da soldi: è stata ammodernata e produce elettricità che costa pochi centesimi al chilowattora, il che rappresenta un valore commerciale di un milione di franchi al giorno. Penso che con un investimento tra i 20 e 60 milioni di franchi si possono adottare i correttivi necessari. Non è dunque molto, ma tutto dipenderà dalla decisione dell'azionista principale, che è il Cantone di Berna. Relativamente semplici sono anche gli interventi sui due impianti di Beznau. Le conclusioni dell'Ifsn riguardanti le centrali di Leibstadt e Gösgen sono invece poco convincenti e si possono spiegare con la volontà (tutta politica) di non puntare il dito solo contro i vecchi impianti. Mi spiego con una metafora: per quanto riguarda Mühleberg e Beznau, è come se in una nave ben tenuta, solida e ammodernata fossero stati riscontrati problemi di galleggiamento o di remi rovinati su alcune scialuppe di salvataggio, mentre per quanto attiene alle due centrali più moderne, si afferma che le scialuppe non dispongono della strumentazione per misurare la temperatura dell'acqua che è invece rilevabile nella sala comando dell'imbarcazione. È semplicemente assurdo indicare questo come una carenza, visto oltretutto che le direttive dell'Ifsn di cui discutiamo sono pensate per meglio fronteggiare il caso di un grave incidente causato da una catastrofe naturale e non per prevenirlo.
Fra cinque giorni il Consiglio federale discuterà di un adeguamento della politica energetica. Cosa si aspetta?
Probabilmente dovrà compiere un passo nella direzione dell'abbandono, indicando per esempio una data (2040 o 2045) entro cui realizzarlo. Ma la decisione avrà lo stesso valore della parola di un fumatore che dichiara l'intenzione di smettere di fumare tra dieci anni. Col tempo le cose cambieranno, perché ci si renderà conto dei limiti di sviluppo delle fonti energetiche alternative e di quanto sia illusoria la via del risparmio energetico visto che in Svizzera il 70 per cento dell'elettricità viene consumata per i trasporti e per l'economia, cioè per garantire i posti di lavoro.
Ritiene dunque che l'effetto Fukushima si esaurirà e che tornerà ad esserci una maggioranza popolare favorevole al nucleare?
Ne sono convinto, anche se solo tra una decina di anni. Probabilmente ci si dovrà limitare inizialmente a costruire una sola nuova piccola centrale (di 1'000 megawatt) che rimpiazzi in modo rigoroso (a livello di potenza)  quella di Mühleberg e le due di Beznau, destinate a essere dismesse per raggiunti limiti di età.

La lezione di Fukushima

Signor Pellaud, in passato lei ha più volte affermato che la catastrofe di Chernobyl «non fu un incidente nucleare, ma un incidente sovietico». Quella di Fukushima invece lo è?
La situazione in Giappone, evidentemente, non può essere paragonata a quella dell'Unione sovietica di allora. L'incidente di Fukushima non può essere ricondotto a un "problema giapponese", ma al fatto che quelle centrali, molto vecchie, non sono mai state ammodernate, a differenza di quanto avvenuto invece in Svizzera. La cosa mi fa molto arrabbiare, anche perché quella decisione scellerata mi coinvolse direttamente. Nel 1998 noi ingegneri nucleari di Electrowatt insieme ai colleghi di Sulzer sviluppammo infatti un sistema di sicurezza supplementare, che in seguito fu installato a Beznau e a Leibstadt (a Mühleberg e Gösgen ne fu installato uno simile sviluppato da Siemens) e proposto in occasione di un viaggio in Giappone agli ingegneri della Tepco (la società che gestisce gli impianti nucleari di Fukushima, ndr) per le sue centrali degli anni Sessanta (una dozzina). Ma costoro ne negarono la necessità perché l'autorità nucleare americana, il fabbricante e la direzione della Tepco non aveva dato loro istruzioni in questo senso. Ebbene, quel sistema, che sarebbe costato solo qualche milione, avrebbe evitato la contaminazione della zona circostante Fukushima. È davvero tragico!
Era per lei inimmaginabile un incidente di quella portata?
Un incidente non lo si può mai escludere e io non l'ho mai fatto. Era però inimmaginabile che una società che si credeva moderna come la Tepco in un paese ritenuto al passo coi tempi non avesse adottato quelle quattro misure di sicurezza che sono state per esempio adottate a Mühleberg. È difficile far credere che i giapponesi siano meno bravi degli svizzeri, ma è così. Vedendo alla televisione quelle esplosioni di idrogeno in serie sono rimasto esterrefatto: si poteva prevenire e non lo si è fatto. È come se tutti i sistemi di sicurezza sviluppati negli ultimi trent'anni fossero stati totalmente ignorati. La mia grande rabbia è dovuta a questo e non tanto alla cattiva gestione dell'incidente, perché è sempre facile sparare sulle ambulanze.
Nel mondo quante sono le centrali con gli stessi problemi?
Un grosso interrogativo me lo pongo per la situazione negli Stati Uniti, dove ci sono ventuno centrali del tipo di quella di Fukushima. Come dichiarato dalla ministra degli esteri Micheline Calmy-Rey a Kiev in occasione dell'anniversario di Chernobyl, è inaccettabile che vi siano norme differenti da paese  a paese e non vi sia una sorta di autorità internazionale che vigili sullo stato della sicurezza delle centrali. Ritengo che questa posizione vada attivamente sostenuta dalla Svizzera a livello internazionale. La strada da seguire potrebbe essere quella di estendere le competenze dell'Agenzia internazionale per l'energia atomica (Aiea), la cui funzione di controllo oggi riguarda solo le questioni di non proliferazione. In materia di sicurezza si limita a organizzare incontri tra esperti per aggiornare quelli che sono gli standard internazionali. Più di questo non può fare. Nel caso di Fukishima, per esempio, l'Aiea nel 2008 avvertì la Tepco che le norme sismiche non erano sufficienti e che si doveva intervenire. Ma oltre a questo non poteva andare.
Rimane convinto che l'energia nucleare è una tecnologia sicura?
Non c'è una risposta assoluta. In generale, il rischio di un incidente è minimo. Il problema, come dimostra Fukushima, è dato dalle conseguenze molto serie che si possono produrre in casi estremi.  Ma questo vale anche per le centrali idroelettriche, se si pensa ai danni che può causare la rottura di una diga. Per quanto riguarda il nucleare, le centrali a partire dalla terza generazione (quelle che vengono costruite attualmente) offrono una certa garanzia da questo punto di vista, ma l'unico sistema per annullare il rischio sarebbe quello di realizzare centrali sotterranee. Come era quella sperimentale di Lucens (Vaud), chiusa nel 1969 dopo un incidente molto simile a quello di Fukushima, che però non fece registrare alcun aumento significativo della radioattività al di fuori della roccia della caverna dove era situato il reattore.   

Pubblicato il

19.05.2011 03:00
Claudio Carrer
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