I riflettori non erano ancora stati spenti sulle votazioni del 24 settembre e già governo e partiti erano di nuovo davanti alle telecamere per parlare dei prossimi temi in votazione. Il 26 di novembre dovremo decidere se accettare assegni familiari uguali per tutti, ma anche pronunciarci su un referendum lanciato da Udc e Co. contro il miliardo che la Svizzera ha promesso di versare al fondo di coesione dell'Unione europea.
Adesso hanno in programma di lanciare in primavera un'iniziativa antistranieri. Il contenuto è ancora vago, ma politologi, basandosi sulle loro indagini, assicurano che una politica di repressione contro gli stranieri durante la campagna elettorale permetterà all'Udc di fare punti. Un altro tema sta molto a cuore al partito di Christoph Blocher: i rapporti con l'Unione europea. Adesso l'indice è puntato contro il fondo di coesione. È uno strumento introdotto nel 1994 dall'Unione europea per ridurre le disparità economiche e sociale tra gli stati membri dell'Unione. Nel 2004, Bruxelles ha chiesto a Berna di contribuire finanziariamente all' allargamento a 10 nuovi paesi con un contributo come stanno facendo anche agli altri paesi dell'Associazione di libero scambio di cui la Svizzera fa parte. In marzo, il parlamento ha approvato questa idea. In sintesi ha accettato di versare nell'arco di 5 anni un miliardo di franchi. I soldi saranno attinti soprattutto dai conti del dipartimento dell'economia e degli affari esteri e dall'aiuto allo sviluppo dei paesi dell' est. Il contributo elvetico si effettuerà sottoforma di progetti e di programmi di cooperazioni. Non si tratta quindi di un versamento vero e proprio al fondo di coesione dell'Ue, né di una partecipazione alla politica di coesione di Bruxelles. È più o meno già chiaro a chi andranno questi fondi. La fetta più grossa (489 milioni) andrà alla Polonia. L'Ungheria ne riceverà 131, la Cechia 110, la Lituania 71, la Slovacchia 67, la Lettonia 60, l'Estonia 40, la Slovenia 22, Cipro 6 e Malta 3. Il governo non vuole perdere questa partita. Lo si è ben capito quando tre consiglieri federali si sono presentati alla stampa a Flims per difendere le posizione dell'esecutivo e combattere il referendum lanciato dall'Udc e sostenuto da Lega dei ticinesi e Democratici svizzeri. Per il governo questa non è solo una votazione finanziaria, come insiste l'Udc. Secondo la consigliera Micheline Calmy-Rey tale somma è come un contributo della Svizzera agli sforzi intrapresi dall'Europa dell'est. «Si tratta – ha affermato – di un contributo per il successo della via bilaterale ed è il presupposto per un' efficace politica di difesa dei nostri interessi nei confronti dell'Ue». Per Berna, l'aiuto ai paesi dell'est contribuirà a limitare i fenomeni migratori e quindi rafforzerà la sicurezza del Paese. Per Doris Leuthard, ministra dell' economia, il contributo elvetico ai paesi dell' Est apre alle imprese elvetiche interessanti prospettive in termini di posti di lavoro. Un no rischia perciò di nuocere all'immagine della Svizzera e ai suoi interessi economici. Il ministro delle finanze Hans-Rudolf Merz ha assicurato che il sistema di finanziamento del miliardo di coesione non comporterà oneri supplementari per il contribuente, e nemmeno nuovi debiti per la Confederazione, visto che sarà compensato mediante tagli interni. Il governo ha subito trovato alleati. Un rifiuto della Legge sulla cooperazione con l'Europa dell'Est e quindi del miliardo di solidarietà perturberebbe "fortemente ed inutilmente" le relazioni tra Svizzera e Unione europea ha affermato un'alleanza interpartitica venendo in sostengo del governo. Vi fanno parte socialisti, radicali, verdi, democristiani, liberali ed evangelici. «Questo referendum è un chiaro attacco alla politica europea adottata con successo dalla Svizzera», ha dichiarato il consigliere nazionale liberale radicale Felix Gutzwiller. Per i deputati borghesi l'interesse del miliardo per la Svizzera è evidente. Le imprese elvetiche hanno già realizzato 800 milioni di guadagni facendo affari con i nuovi membri dell'Ue. Un rifiuto il 26 novembre quindi potrebbe solo fare male al paese, assicurano. Il no fa paura anche perché il secondo pacchetto di accordi bilaterali, non è ancora stato ratificato dai 25 paesi dell'Ue. L'Udc non si lascia scomporre. Il referendum – assicurano – non ha niente a che vedere con l' Ue e con i rapporti bilaterali tra Berna e Bruxelles. Per Ueli Maurer, presidente del partito, «si tratta di un problema prettamente finanziario e interno della Svizzera». I referendisti vogliono una piena compensazione della spesa che non deve andare ulteriormente a gravare sulle spalle dei contribuenti. Dicono che questo rischia di diventare un fondo senza fine e che quanto Romania e Bulgaria entreranno nell'Ue anche la Svizzera dovrà pagare. Insomma per loro questo è come un assegno in bianco. «Qui si gioca col fuoco» mettono in guardia i fautori del progetto governativo. Con questi conti da pizzicagnolo si rischia di dimenticare che i tutti paesi dell'Unione e anche quelli che come la Svizzera hanno solo un accordo bilaterale stanno facendo la loro parte. La Norvegia, per esempio, che non fa parte dell'Ue, fornisce un contributo annuo di 340 milioni di franchi. Con i progetti di coesione si spera di promuovere lo sviluppo, migliorare lo standard di vita e ridurre la disoccupazione. Insomma sono sforzi fatti per evitare che la gente sia costretta ad emigrare per cercare lavoro. Ma questo è un terreno di discussione che l' Udc preferisce evitare. La campagna è solo alle prime battute, ma gli animi si stanno già scaldando molto. È colpa anche delle elezioni che si avvicinano sempre più: dall'esito del voto di settembre e di novembre i partiti possono capire meglio da che parte tirerà il vento l'anno prossimo.
"Un giusto contributo"
Il 26 di novembre l'elettorato svizzero dovrà decidere se vuole contribuire con un miliardo di franchi agli sforzi che l'unione europea sta sviluppare i paesi dell'est entrati recentemente nell'unione. Vasco Pedrina, copresidente di Unia, spiega le ragioni del sì. Quelle dalla parte dei sindacati.
Il miliardo di coesione è un aiuto allo sviluppo dei paesi dell'Ue. È la somma che si deve pagare per entrare in questi mercati? Il miliardo per i paesi dell'est è legato agli aiuti per lo sviluppo che l'Unione europea (Ue) stanzia per i suoi membri più deboli. È assolutamente logico e legittimo che l'Ue chieda alla Svizzera di contribuire a questo finanziamento visto che il nostro paese può beneficiare dei vantaggi derivanti dalla libera circolazione e dal mercato unico europeo. Ma per la Svizzera questi non sono semplicemente degli aiuti agli investimenti per le imprese. Perché Unia se ne occupa ? Attualmente, io sono vicepresidente del sindacato internazionale dell' edilizia e legno. Ho l'incarico di rafforzare la presenza sindacale nell'Europa dell'est. Io constato che in questi paesi è in atto un forte sviluppo economico, ma a trarne vantaggio sono solo in pochi. Se mettiamo a disposizione fondi per lo sviluppo, è logico che una parte di questi fondi siano utilizzati per migliorare gli standard sociali in questi paesi e non solo i profitti dei capitalisti. Per questo ci vogliono strutture del partenariato contrattuale, sindacati forti, associazioni padronali, accordi collettivi di lavoro e una legislazione sociale. La base vi segue o ci sono anche degli scettici, come era avvenuta con la votazione sulla libera circolazione delle persone? È stato molto difficile trovare tra i nostri membri una maggioranza in favore della libera circolazione delle persone. Non ce l'avremmo fatta senza le misure d'accompagnamento per lottare contro il dumping salariale. Adesso la situazione è simile. La nostra base ha dei dubbi su questo miliardo. Possiamo convincerla a votare di sì se una parte dei soldi sono impiegati per migliorare le condizioni di lavoro nei paesi dell'est. In questo modo, meno gente verrà in occidente a cercare lavoro e da noi i salari subiranno meno pressioni al ribasso. La destra teme che con questi soldi si risollevino le sorti dei regimi socialisti? Una vera democrazia deve disporre di un equilibrio sociale. Per questo ci vogliono delle strutture forti di partenariato sociale e questo non può essere senza un sindacato forte. Come vanno impiegati i fondi? Abbiamo fatto alcune buone esperienze, per esempio in Bulgaria. Noi, l'Unione sindacale svizzera, il soccorso operaio e il sostengo dell'Aiuto allo sviluppo abbiamo aiutato i settori della chimica e dei metalli a concludere contratti nazionali di lavoro che regolano le condizioni di lavoro a livello di settore. Prossimamente avvieremo un analogo progetto per l'edilizia. |