L'Italia s'è destra

Qual è la cosa di cui i cittadini italiani hanno più bisogno? Il lavoro, il salario, la salute, la giustizia sociale? Macché, è la sicurezza l’arma che i due schieramenti maggioritari hanno imbracciato per convincere la gente a votarli. La sicurezza nelle città, evidentemente invase da delinquenti, scippatori, immigrati armati di cattive intenzioni. Non conta nulla che tutte le statistiche ufficiali dimostrino come il numero dei reati contro la persona siano in calo (con l’eccezione della violenza sessuale), mentre invece guarda caso aumentano gli infortuni in fabbrica e nei cantieri, e cioè la violenza del capitale contro il lavoro. La destra ammucchiata nella Casa delle libertà fa leva sulla paura della gente e usa i suoi numerosi media per rinfocolare i peggiori istinti popolari. Si chiama Casa delle libertà ma l’unica libertà che i suoi soci riconoscono è quella alla proprietà privata, in nome della quale si vorrebbero militarizzare le città, i confini e le coste e spingere i cittadini a vivere nella paura il proprio isolamento. Purtroppo questa cultura ha fatto breccia anche nel centrosinistra. Tutta la prima fase della campagna elettorale dell’Ulivo è stata caratterizzata da slogan identici a quelli della destra e l’unica differenza nei cartelloni pubblicitari era la faccia dei candidati: di qua Silvio Berlusconi, di là Francesco Rutelli. Solo in questi ultimi squarci di campagna le parole d’ordine cominciano a diversificarsi e qualcosa di più sulle differenze tra i due poli emerge. Anche se di programmi si continua a parlare ben poco. Non ha tutti i torti chi dice che comunque vadano le elezioni, Berlusconi ha già vinto, il suo messaggio culturale è passato nella maggioranza degli italiani: il lavoro è scomparso, nascosto, spazzato via dal primato dell’impresa e del mercato le cui regole pretendono di governare l’intera società. Il messaggio inviato agli italiani per tutti gli anni Novanta è stato "arricchitevi", e alla fine questo messaggio ha fatto breccia. In questo senso, la crisi dell’egemonia culturale della sinistra nella società ha lasciato il posto all’egemonia berlusconiana. Domenica 13 maggio si vota in Italia per il rinnovo dei due rami del Parlamento, Camera e Senato e delle amministrazioni comunali nelle principali città. Se il centrosinistra dovesse vincere — ipotesi impensabile fino a un mese fa, oggi semplicemente improbabile — sarà soltanto per merito di Berlusconi e della sua armata Brancaleone. L’abbiamo già scritto su questo giornale quali siano i connotati reazionari di quest’armata e dei suoi battaglioni fascisti, razzisti e forzitalioti, già al tempo in cui il centrosinistra e i Ds di D’Alema in prima persona flirtavano con il Cavaliere di Arcore; e il presidente del Senato Luciano Violante difendeva le idee dei ragazzi della Repubblica fascista di Salò; e le camicie verdi di Bossi tutto sommato avevano "le loro brave ragioni". Oggi che finalmente gli amici di ieri sono tornati a essere avversari, "pericolosi avventurieri" per tutti, qualcosa ricomincia a funzionare nel cervello del popolo di sinistra. La stampa internazionale denuncia il pericolo rappresentato per l’Italia e per l’Europa da Berlusconi e dai suoi alleati, che sono Alleanza nazionale di Fini e la Lega di Bossi, ma anche la peggiore anima craxista guidata dagli avanzi della Prima Repubblica, Bobo Craxi e Gianni De Michelis, nonché i fascisti mussoliniani di Pino Rauti. Nelle liste di Berlusconi abitano uomini inquisiti per i reati peggiori, da Cesare Previti a Marcello Dell’Utri. L’aspetto che fa sobbalzare le democrazie occidentali e i santuari del capitalismo mondiale è il conflitto di interessi incarnato nella persona di Berlusconi. Di come utilizzi i fondi pubblici e le poste italiane per finanziarsi la sua campagna elettorale vi abbiamo già raccontato la scorsa settimana. Oggi possiamo ricordare il suo rifiuto a comparire in tv in un faccia a faccia con Rutelli; oppure le sue uscite improvvide sull’omicidio D’Antona, definito un "regolamento di conti nella sinistra"; e ancora i suoi deliri sui complotti comunisti (anche l’Economist e il Financial Times sono diventati "strumenti dei comunisti") e le minacce terroristiche contro la sua persona e la Casa delle libertà. Berlusconi ha alzato troppo il tono, sta diventando scomodo persino per una parte della Confindustria nonostante il Cavaliere abbia sposato in tutto e per tutto la linea antioperaia dei padroni italiani. Ecco dove risiedono le speranze della squadra di Rutelli, nella vocazione della squadra avversaria a segnare autogol. Sarebbero solo 4 punti a separare i due candidati premier, contro i 15 di un mese fa. Berlusconi lo sa, perde la testa e commette nuove gaffes. In questi ultimi scorci di campagna elettorale si è risvegliata la Cgil di Sergio Cofferati, che la Confindustria sta facendo del tutto per cacciare dal salotto buono della concertazione, puntando su accordi separati, sempre più frequenti, con Cisl e Uil. Mai l’unità sindacale in Italia è stata così a rischio, almeno dagli anni Cinquanta. E Cofferati non ci sta, fa sentire la sua voce "di sinistra", e ridà volti e voce ai lavoratori. Il 13 si vota anche per eleggere i sindaci e i consigli comunali di città come Roma, Napoli, Milano e Torino. A Roma il candidato sindaco del centrosinistra e di Rifondazione è il segretario dei Ds Walter Veltroni, a Milano una delle figure più pulite del sindacalismo cattolico, Sandro Antoniazzi e a Napoli un’altra cattolica (antifascista), Rosa Russo Jervolino. A Torino la scelta del centrosinistra è caduta su Sergio Chiamparino, uno dei diessini firmatari della proposta di legge per introdurre la libertà di licenziamento senza giusta causa, ed è comprensibile che Rifondazione comunista abbia deciso di presentare un suo candidato, la sindacalista Marilde Provera. Napoli sarà molto probabilmente amministrata dalla sinistra, a Roma la partita è apertissima, con Veltroni in pole position. Più difficile l’esito a Torino, città operaia per eccellenza, proprio per quello che abbiamo detto. Impresa quasi impossibile per Antoniazzi a Milano. Del resto, la ex capitale morale d’Italia è a un’ora di macchina da Lugano e molti di voi avranno avuto modo di vedere com’è stata ridotta negli ultimi vent’anni. L'"Unto del Signore" e la sinistra divisa Al residence Ripetta, cento metri da Piazza del Popolo e duecento dalla redazione de "il manifesto", all’improvviso ha fatto il suo ingresso in sala il premio Nobel Dario Fo, accompagnato come sempre da Franca Rame. Non era atteso, è stato accolto con entusiasmo dalle centinaia di militanti e dirigenti della sinistra italiana venuti a festeggiare con un dibattito i trent’anni del quotidiano. Si è aperto un varco tra la folla che l’applaudiva ed è salito sul palco per brindare ai "prossimi trent’anni del manifesto". Ha detto poche parole, che però spiegano una delle ragioni dello stato di tristezza, paura e divisione con cui le sinistre italiane tentano di fermare la strada all’"Unto del Signore", Silvio Berlusconi, l’uomo che oggi tutti temono, in patria come alla city di Londra. Il "mistero buffo" italiano di questi cinque anni di governi di centrosinistra sta proprio nel rapporto dell’Ulivo con il Cavaliere di Arcore. Ed è proprio l’autore del "Mistero buffo" a ricordare gli "inciuci", la Bicamerale, insomma la legittimazione del padre-padrone della Casa delle libertà operata in prima persona da Massimo D’Alema, "con il risultato che alla fine quelli ci fregano e dobbiamo aspettare l’Economist per attaccare Berlusconi". L’esito della stagione del centrosinistra è scritto oggi sulle schede elettorali: da una parte c’è l’Ulivo, sempre più attento al centro e sempre meno alla sinistra, sensibile alla sicurezza nelle strade e sordo alla sicurezza nel lavoro. Dall’altra c’è Rifondazione comunista, orgogliosa tutrice di una verginità politica dell’opposizione di sinistra che rischia la cancellazione dalla scena politica. L’inciucio con l’avversario, il neoliberismo moderato da qualche avanzo di welfare state, la scelta sciagurata della guerra, hanno aperto più che una ferita uno squarcio nel corpo della sinistra italiana. Molti si interrogano, oltre che sull’occasione persa dalle forze democratiche nei cinque anni di Palazzo Chigi, sull’efficacia della scelta di Fausto Bertinotti di rompere con l’esperienza del governo Prodi, facendo venir meno il sostegno del Prc al centrosinistra. Una rottura che ha spostato a destra l’asse del governo e aperto ai trasformismi dei Cossiga e Mastella, una rottura che forse sarebbe stata più comprensibile per il popolo di sinistra se fosse avvenuta contro l’avventura bellica nei Balcani, e non contro una legge finanziaria che non era peggiore di quelle precedentemente votate da Bertinotti. Ma questa è ormai storia, con cui bisogna comunque fare i conti per capire di divisioni di oggi. Essendo impraticabile un accordo a tutto campo tra Ulivo e Prc, del tipo di quello che sconfisse Berlusconi nel ’96, la scelta "unilaterale" di Rifondazione è stata quella della riduzione del danno alla Camera dei deputati: il Prc non presenterà suoi candidati ma si limiterà a presentare le sue liste alla quota proporzionale (un quarto dei seggi viene eletto proporzionalmente, contro il 75% di deputati eletti attraverso il confronto diretto tra i candidati: chi prende più voti vince; il ballottaggio tra i primi due classificati è previsto nelle elezioni amministrative ma non in quelle politiche per la Camera e il Senato). Ma al Senato, dove non c’è recupero proporzionale, il Prc presenterà ovunque suoi candidati. Forse un accordo più ampio sarebbe ancora stato possibile se i due poli, Ulivo e Casa delle libertà, avessero evitato di presentare liste civetta, un imbroglio semilegale per sottrarre alle forze esterne ai due schieramenti maggioritari anche parte degli eletti nella quota proporzionale. Con il risultato che, se anche Rifondazione dovesse ottenere un buon risultato (tra il 6 e il 7% dei voti) sarà sottorappresentata in Parlamento e al tempo stesso l’Ulivo avrà perso un bel po’ di collegi. Dare di questo esito la colpa principale a Bertinotti sarebbe sbagliato e ingeneroso. Ma non si può non riflettere sul fatto che le ragioni dei lavoratori e degli strati sociali più poveri avranno meno ascolto. Qualcosa però è cambiato in queste ultime settimane, anche nell’atteggiamento di tanta parte della sinistra, schiacciata tra la scelta del male minore (il "voto utile" a chi ha inseguito la destra per cinque anni), la rivendicazione del propria identità (il voto a Rifondazione) e un’astensione di protesta. La novità si chiama paura, la paura di consegnarsi prigionieri a chi ha già annunciato che se vincerà non farà prigionieri e anzi cambierà a colpi di maggioranza tutte le regole del gioco democratico, dalla Costituzione allo Statuto dei lavoratori. È per questo che molti segnali lasciano intravvedere una diminuzione dell’assenteismo di sinistra: un appello lanciato da due punti di riferimento per la sinistra italiana, Rossana Rossanda e Pietro Ingrao, a votare Prc al proporzionale e Ulivo nei collegi uninominali di Camera e Senato sta raccogliendo consensi tra gli ex elettori delusi dalla sinistra, anzi dalle sinistre. Se questa tendenza dovesse consolidarsi nelle ultime due settimane di campagna elettorale, l’esito del voto potrebbe essere meno scontato di quanto sia apparso finora. Non bisogna dimenticare che, solo un anno fa, la sinistra fu sonoramente bocciata in uno dei suoi punti di forza, Bologna, proprio dall’astensionismo di sinistra.

Pubblicato il

04.05.2001 04:00
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