L'Italia migliore che risponde

Si respira un’aria strana al manifesto. A un pieno di politica, di protagonismo, di solidarietà, si contrappone un vuoto ancora maggiore. Mercoledì il quotidiano di Giuliana Sgrena è uscito con un articolo in bianco in prima pagina, firmato dalla nostra inviata a Baghdad, l’unico giornalista italiano in Iraq che però non può scrivere, non può raccontare le sofferenze della popolazione, delle mamme che hanno perso il figlio e dei figli a cui le cluster bomb hanno strappato le braccia, o le gambe. Giuliana è prigioniera, dei suoi rapitori e della guerra e dell’occupazione militare della terra tra i due fiumi, la Mesopotamia. Le abbiamo provate tutte per agevolare e accelerare la liberazione di Giuliana: titoli in arabo, una lettera del compagno della nostra inviata, Pier Scolari, anch’essa in arabo. Mentre scrivo, sono 15 i giorni di vuoto in redazione. Dal vuoto al pieno. C’è chi ha scritto che, quando il manifesto chiama in situazioni di pericolo, risponde l’Italia migliore. Così, è bastato scrivere un giorno un breve articolo titolato “Si potrebbe” che in una settimana di passaparola, sms ed emozioni televisive – il video di Giuliana che ripete in lacrime quel che ha sempre scritto contro la guerra –, di comunicati della Cgil e appelli on-line dell’associazionismo laico e cattolico, una città vuota si riempisse di persone e di passioni, di dolore e determinazione. 500 mila a Roma per “Liberare la pace, Giuliana, Florence, Hussein, tutti gli ostaggi e il popolo iracheno”, un fatto straordinario per un piccolo giornale di sinistra che vende meno di un decimo di quella cifra. Ha risposto l’Italia migliore, la Roma migliore perché in pochi dal resto dell’Italia sono riusciti ad arrivare alla manifestazione, rispetto a quanti avrebbero potuto esserci. La fretta, il poco tempo tra l’annuncio e l’appuntamento non ha consentito un’organizzazione capillare, solo qualche centinaia di pullman recuperati in tre giorni. Dunque, una manifestazione spontanea più che organizzata, per questo ancora più forte e commovente. Simile, in qualche modo, a un corteo sotto il diluvio il 25 aprile del ’94 a Milano, in pieno shock per la vittoria elettorale di Berlusconi – Berlusconi 1 – con contorno di fascisti, leghisti e padroni del vapore. Anche quella volta tutto era cominciato da un “Si potrebbe” scritto sulla prima pagina del manifesto. Anche allora rispose l’Italia migliore e per Berlusconi (sempre il primo, il secondo è ancora qua) iniziò la fine. Questo piccolo "quotidiano comunista" ha un pregio riconosciuto da amici e avversari: nei momenti difficili riesce a unire le sinistre, sociali e politiche, diventa catalizzatore di reazioni chimiche sulla carta elementari, nella realtà italiana quasi impossibili. Qualcuno ha detto e scritto che la manifestazione di sabato scorso (e la grande solidarietà che ha abbracciato noi e Giuliana) è stata un evento umano e non politico. Strana e intollerabile idea di una politica senza umanità, e di un’umanità senza politica. C’erano frati, suore, vescovi, disobbedienti, comunisti, Prodi e tutte le sigle sindacali in corteo. C’erano migliaia di giornalisti italiani e stranieri, per la pace e in difesa di una professione sempre meno libera perché embedded. Giornalisti di ogni testata che ora scrivono sul manifesto per intrecciare libertà, democrazia, informazione e diritti. È vero, c’erano solo i partiti d’opposizione. Ovvio, era una manifestazione contro la guerra e chi ci ha portato in guerra non è venuto. L’unica cosa, fondamentale, che il governo può e deve fare è riportarci a casa Giuliana viva. Starà a noi, a chi era in piazza e a chi non ha potuto esserci, costringerli a riportare a casa anche i soldati. Infine, si può azzardare l’ipotesi che l’unità raggiunta dall’opposizione nel voto contrario al rifinanziamento della missione in Iraq è un altro piccolo miracolo fatto da Giuliana e dal moto che è nato nell’Italia migliore per la sua liberazione e per la pace. La battaglia di pace continua. C’è chi la conduce in un modo e chi in un altro. Un gruppo di vescovi, preti, suore e imam ha iniziato uno sciopero della fame, mentre i ferrovieri della Cgil di Milano – il papà di Giuliana è un ferroviere in pensione – hanno organizzato una manifestazione alla stazione centrale di Milano, dove giganteggia un’immagine di Giuliana che è stata anche appiccicata in tutti gli Eurostar. Gli operai delle acciaierie di Terni che i tedeschi della Thyssenkrupp vogliono chiudere picchettano la fabbrica e appendono ai cancelli la foto di Giuliana. Artisti recitano, suonano e ballano per la pace e per Giuliana. Il movimento “Fermiamo la guerra” si riunisce per tre giorni a Firenze per decidere come capitalizzare il potenziale civile che s’è espresso sabato a Roma. La sede del manifesto è diventata un’agorà, e al tempo stesso un casino inenarrabile: arrivano i presidenti delle Camere, Pera e Casini, arriva il presidente della Lega calcio Carraro mentre tutti gli stadi espongono striscioni e i giocatori hanno scritto sulle magliette “Giuliana libera”. Arrivano vecchi compagni e giovani amici facendo lo slalom tra le troupe televisive arabe e messicane, mentre chi dovrebbe fare la parte di chi raccoglie le notizie le produce, non intervista ma viene intervistato. La Farnesina ci riceve, il presidente Carlo Azeglio Ciampi ci riceve con i genitori e il compagno di Giuliana. Gli altri compagni, quelli che nessuno conosce e che formano il tessuto connettivo dell’Italia democratica, ci dicono e ci scrivono che apprezzano il fatto che, in un’emergenza così drammatica abbiamo mantenuto la bussola, non facciamo scambi con gli avversari politici e continuiamo a ripetere, sul Colle più alto come al Circo Massimo, la stessa cosa: a casa Giuliana e tutti i militari che occupano l’Iraq. Bisogna ritirare le truppe e non le troupe televisive. Ci sarebbe di che essere orgogliosi e contenti, se non fossimo in preda alla disperazione anche se ripetiamo a tutti che la riporteremo a casa. Giuliana ci manca e assordati dal rumore di chi sta con noi ci sentiamo soli, noi qui e lei laggiù, unica giornalista italiana in Iraq. C’è un canale aperto, ci dicono i servizi e la diplomazia. Speriamo che diventi un mare, e che il mare si apra – dicono che è già successo – e le acque si dividano lasciando un passaggio. Un passaggio per Giuliana. P.s. Scusate se abbiamo parlato troppo del manifesto. Un po’ è dovere di cronaca, un po’ ci è parso un artificio per raccontare l’Italia migliore.

Pubblicato il

25.02.2005 03:00
Loris Campetti