Home
Rubriche
Dossier
Multimedia
Archivio
Contatti
L'Italia del fascismo perenne
di
Maria Guidotti
Proseguiamo il nostro viaggio dentro l'Italia e l'italianità, iniziata lo scorso 9 febbraio (cfr. area n. 6, pag. 11) con Saverio Costanzo. Andiamo avanti incontrando Curzio Maltese, editorialista del quotidiano laRepubblica. Nell'aprile del 2006 è uscito il suo primo libro, intitolato "Come ti sei ridotto", sottotitolo: "Moderata proposta di sopravvivenza al declino della nazione". Maltese è romano d'adozione, conserva l'accento milanese pur dicendosi sbigottito dall'appiattimento culturale su cui Milano e la sua provincia si sono specialmente adagiati.
La chiacchierata inizia da una domanda: srotolando la lunga sequenza di articoli scritti negli anni, quale Italia ne esce, quale paese ha l'impressione di aver raccontato?
Ho raccontato l'Italia di questi ultimi venti anni, ossia la storia di un paese in ebollizione. Un paese che affronta con dei ritardi culturali spaventosi un fenomeno che riguarda tutto il mondo: la globalizzazione. L'Italia cerca confusamente una strada, una nuova missione, e questa ricerca la porta – ci porta – a interrogarci sulla nostra identità, su quello che sappiamo fare. E le risposte che ci sono state date in questi vent'anni sono le più disparate: l'Italia si è cioè agitata tra varie soluzioni, e non ne ha probabilmente ancora trovata nessuna. O meglio: non ha trovato quella che funziona e che permette di ridefinire la nostra posizione nel mondo, tenendo conto che il mondo – in questi ultimi vent'anni – è assai cambiato: basta guardare un atlante geografico...
Lei fa risalire il ritardo culturale italiano – come lo definisce – all'ultimo ventennio appunto: nel senso che è cambiato cosa, o che è mancato cosa all'Italia negli ultimi vent'anni?
È mancata una crescita culturale che sostenesse la crescita economica del paese. La crescita civile e culturale che non c'è stata. In parte per motivi storici: in Italia esiste un machiavellismo di massa, o un guicciardinismo di massa: "cura lo particolare tuo". Possiamo dire che dalla sconfitta della classe operaia – al di là di ogni considerazione politica – non c'è più stato quel pezzo della società italiana che si facesse portatore di un progetto collettivo nell' interesse comune del paese. Quindi questo è un paese continuamente spaccato in due, dove non esiste – a differenza dei nostri paesi vicini europei – un idem-sentire che accomuna tutto il quadro politico. In Italia il quadro politico è stato convenzionalmente quello dell'arco Costituzionale, quindi quello antifascista: caduto quel sistema politico – dove peraltro l'idem-sentire era messo in crisi dalla presenza del grande del Partito comunista e dal conflitto forte che c'era tra quei due pezzi di società: Dc e Pci – caduto quel sistema politico, dicevo, è venuto a mancare un progetto comune, una classe dirigente che si facesse portatrice di un progetto comune. In più l'Italia – a differenza della Germania – non ha mai veramente fatto i conti con il fascismo: c'è stata una specie di auto-assoluzione di massa. C'è quindi un tratto autoritario nella società italiana che riemerge costantemente.
L'italianità è – letteralmente – la partecipazione al patrimonio artistico e culturale del paese. Qual è la partecipazione che nota oggi a questo patrimonio da parte degli italiani?
Penosa. Una partecipazione penosa. Questa straordinaria ricchezza del paese è gestita molto male. Non c'è riflessione culturale, non c'è riflessione politica. L'Italia è passata dal 4,5 per cento della quota del mercato globale, al 3 per cento scarso: il Made in Italy è andato in profonda crisi e un pezzo di imprese italiane ha continuato a cercare di vendere magliette in competizione coi cinesi, che una cosa folle… La grandissima risorsa dell'Italia (il patrimonio artistico, culturale, paesaggistico) non è stata minimamente valutata, tant'è che – come si può facilmente verificare – si assiste ad un fenomeno interessante: ci sono 100 milioni di turisti cinesi che vengono in Europa e che non vengono in Italia. Passano, ma non si fermano. Questo è avvilente, e in questo trova radice quello che io chiamo il fascismo perenne: nel disprezzo di sé. Gli italiani non hanno abbastanza amore per il luogo, per la storia che li ha prodotti, per le bellezze di cui sono circondati.
Vuol dire che l'Italia ha all'interno il suo peggior nemico?
Sì. Diceva molto amaramente Flaiano che di tutte le occupazioni straniere subite dall'Italia, la peggiore è stata quella degli italiani! Ed è gravissimo che la politica abbia totalmente ignorato l'aspetto della cultura, che dovrebbe invece essere al primo posto. Il ministro della cultura italiano è stato per troppo tempo un signore trombato da un'altra parte. Un esempio per tutti: Rocco Buttiglione, che siccome non lo hanno voluto a Bruxelles, è stato messo dal Governo precedente alla guida della Cultura. E quello prima di Buttiglione, cioè Giuliano Urbani, voleva il Ministero dell'economia e gli han dato la Cultura, ed è riuscito a dire che la Cappella Sistina l'ha fatta Raffaello… Ecco: questo è disperante per uno che ama questo paese, perché poi i più arrabbiati in Italia sono stati e sono quelli che la amano.
Maltese, sull'Italia lei ha scritto il suo primo libro e lo ha intitolato "Come ti sei ridotto?". Qual è il seguito a questa che più che una domanda sembra un'affermazione?
Ho "rubato" da un libro di Hemingway, "Fiesta", che contiene questo dialogo: un personaggio dice all'altro: «Come ti sei ridotto così?». E l'altro: «In due modi: prima un po' alla volta, e poi tutto assieme». Questo è quello che è successo in Italia. C'è stato un declino più o meno lento negli ultimi 15-20 anni e poi c'è stato il tutto assieme: Berlusconi al governo è stato il tutto assieme. Si è messa in crisi la coesione sociale del paese, dipingendo un'Italia dove ci sono i nemici, dove c'è la metà del paese che è ferocemente nemica dell'altra. Abbiamo assistito ad una sorta di guerra civile simulata, all'interno della quale si sono messi in dubbio tutti i valori costituzionali improntati all'antifascismo; è decaduto l'investimento sul futuro, sulla cultura, è peggiorata la condizione dei giovani, sempre piu precari; delle donne, sempre meno importanti nella società italiana, e questo è un fatto di una gravità straordinaria. E alla fine di tutto questo è arrivato anche il declino vero e proprio, che è la crescita zero. Da questo fondo stiamo adesso cercando di ritrovare uno scatto, una specie di dopoguerra. Perché se guardiamo la storia in prospettiva o qui diventiamo seriamente europei o diventeremo tante piccole province comprate a turno da americani, cinesi, indiani…
Pubblicato il
06.04.07
Edizione cartacea
Anno X numero 14-15
Articoli correlati
Nessun articolo correlato