Prima vola a Mar-a-Lago nel regno di Trump, poi riceve Biden a Roma. Una vignetta mostra Giorgia Meloni con il corpo a forma di italico stivale che tranquillizza il tycoon: “Siamo sempre Stati Uniti”. Per tentare di risolvere l’hitchcockiano intrigo internazionale seguito all’arresto in Italia dell’ingegnere iraniano Mohammad Abedini e al contr’arresto della giornalista italiana Cecilia Sala in Iran, la turboatlantica presidente del consiglio della Garbatella sfodera senza ritegno la sua doppiezza – Franza o Spagna purché se magna – e al tempo stesso la sua subalternità alla bandiera a stelle e strisce. In realtà, nonostante l’indimenticabile bacio schioccatole sulla fronte dal presidente uscente degli USA Biden, il cuore di Giorgia batte per quello dell’entrante Trump, pronto a conquistare il canale di Panama, la Groenlandia e l’intero Canada, che la lusinga: “Donna fantastica, ha preso d’assalto l’Europa”. Ma più ancora il suo cuore batte per l’uomo più ricco del mondo e del mondo aspirante padrone: Elon Musk, che le ha consegnato il Global Citizens Award per aver esaltato “i valori dell’Occidente”. Di lei, il multimiliardario dice che “è più bella dentro che fuori”, e sa lui cosa intendesse dire. Comunque, Meloni non si risparmia, un bacio a sinistra e un inchino a destra, come l’Arlecchino di Goldoni “servitore di due padroni” e conclude positivamente l’affaire Cecilia Sala: la giornalista italiana è stata liberata, finalmente è uscita sana e salva dal famigerato carcere di Evin. Il viaggio a Mar-a-Lago è stato fruttuoso per Cecilia, per lei che mette a tacere ogni critica, per Trump e per Teheran che ha bisogno di una sponda per tenere aperto un canale di comunicazione con l’Europa attraverso l’Italia che negli anni delle sanzioni all’Iran ha sempre mantenuto un rapporto diplomatico con la Repubblica islamica. L’insensato arresto su commissione L’intrigo internazionale era iniziato con l’insensato l’arresto del creatore e trafficante di tecnologia iraniano a Malpensa su richiesta di Washington, non certo in esecuzione di un mandato d’arresto internazionale che non esiste. Se tutti i trafficanti di tecnologia con ricadute militari dovessero essere arrestati non basterebbero le carceri di mezzo mondo a contenerli. L’arresto su commissione lo fanno gli uomini della DIGOS senza avvisare i servizi segreti e lo stesso governo, almeno una sua parte. Il conflitto interno al governo è alle origini delle dimissioni dalla direzione dei servizi segreti di Elisabetta Belloni. Dopo l’arresto, Abedini, sciita, viene spedito nel malfamato carcere di Reggio Calabria che ospita fior di detenuti sunniti. Gli USA ne chiedono l’estradizione. La risposta dell’Iran è un classico della strategia di Teheran: un arresto di ritorsione per avere un ostaggio (l’accusa non è di spionaggio ma di violazione della legge islamica che punta allo scambio di ostaggi) da usare per la trattativa sulla liberazione – o almeno sulla non estradizione negli USA che l’accusano di rifornire l’Iran di tecnologia bellica americana – dell’uomo che lavora per il regime dalla sua location svizzera. Solo a questo punto la vicenda è diventata pubblica, finalmente le opposizioni e il Parlamento sono informati ma non vengono coinvolti dalla donna sola al comando che non informa delle sue mosse neppure il ministro degli esteri nonché vicepremier Tajani e tantomeno l’altro vicepremier Salvini. Si sa del suo volo da Trump solo dopo l’atterraggio dell’aereo. Gli affari con Trump e Musk Dal futuro presidente USA Meloni voleva il “permesso a disobbedire” rifiutando l’estradizione di Abedini. Cosa offriva in cambio? L’acquisto di gas a prezzo doppio o triplo rispetto a quello che l’Italia pagava alla Russia di Putin e, in prospettiva, l’affitto al costo di 1,5 miliardi di euro dei satelliti di Musk per controllare e difendere la sicurezza delle comunicazioni governative criptate (satelliti targati SpaceX che dovrebbero garantire connettività sicura per gestire le frontiere e le situazioni di crisi). I servizi satellitari di Musk – il braccio destro di Trump che usa tutti i suoi social per sponsorizzare i neonazisti tedeschi dell’AfD e tutte le destre estreme d’Europa – garantiscono “servizi di comunicazione per l’esercito italiano nel Mediterraneo” e sono utilizzabili “in emergenze come attacchi terroristici o catastrofi naturali”. Con la firma dell’accordo con X, che Giorgia Meloni nega di aver già apposto in calce ma che sarebbe presto in arrivo, come dice lo stesso Musk sostenuto da Salvini, l’Italia consegnerebbe i suoi dati più sensibili nelle mani degli USA, peggio ancora del suo prestigiatore, un privato, dopo che un anno fa con un accordo con Netanyahu la nostra cybersicurezza militare era stata appaltata a Israele e la rete fissa di Telecom svenduta alla statunitense KKR, presieduta dall’ex capo della CIA, il generale Petreus. Il tutto tenendone all’oscuro il Parlamento, quasi fosse un’“aula sorda e grigia” come ai tempi di Mussolini dopo l’assassinio di Matteotti. E tenendo nascosti all’UE i suoi traffici satellitari (il “globo terracqueo”, dice Meloni) antieuropei con Musk. Un sabotaggio del progetto europeo Perché Giorgia Meloni, nelle intenzioni di Trump, dovrà essere il grimaldello per smantellare quel che resta della malandata e prigioniera Unione Europea, compito a cui la premier della Garbatella sta già lavorando alacremente. La consegna a Musk della sicurezza nazionale è di per sé un sabotaggio dell’iniziativa partita (quasi fuori tempo massimo) dall’UE per garantire, attraverso un contratto con il consorzio SpaceRise, una risposta a Starlink di Musk, per difendere un minimo di autonomia e sicurezza al Vecchio Continente attraverso l’invio in orbita di 290 satelliti. Su tutti i temi caldi che l’UE deve affrontare, a partire dalla transizione green e dal governo dell’immigrazione, Meloni rappresenta appunto un grimaldello per affondare nel Mediterraneo ogni residuale ruolo pacifico e rispettoso dei diritti che aveva l’Unione nelle sue motivazioni originarie. Ma Trump e la NATO chiedono di più, spingono per una ulteriore militarizzazione dei paesi europei aumentando le spese belliche (fino al 5% del PIL) per la difesa e l’aggressione, nel bel mezzo della terza guerra mondiale a pezzi che denuncia papa Francesco. Nessuno in Italia ha sostenuto la linea dura e tutti hanno invocato la trattativa fino allo scambio tra la prigioniera italiana e il prigioniero iraniano, trasferito pochi giorni fa in un carcere più umano in Lombardia così come l’Iran aveva mitigato le condizioni di detenzione di Cecilia Sala. La tradizione diplomatica italiana ha quasi sempre puntato sulle trattative per liberare gli ostaggi (sciaguratamente, non nel caso del rapimento Moro a opera delle Brigate Rosse). Ma mentre oggi la donna sola al comando va a chiedere il permesso a Trump di non estradare ma liberare Abedini senza subire ritorsioni dagli USA, in cambio dell’eterna subalternità ai cocci della Statua della Libertà, ai tempi della Prima Repubblica Bettino Craxi agiva in tutt’altro modo nelle crisi tra l’Italia e gli Stati Uniti: nella base militare di Sigonella, faceva circondare le forze militari USA da quelle italiane per impedire che la Desk force di Reagan mettesse le mani sui palestinesi responsabili del sequestro della nave Achille Lauro e della morte di un cittadino americano. Altri tempi, tempi in cui l’Italia aveva un rapporto leale con la resistenza palestinese in cambio della sicurezza del suo territorio. Mentre scriviamo, è attesa l’uscita dal carcere di Opera dell’ingegnere iraniano, ma i tempi sono un mistero come l’intera operazione gestita dalla premier. Una volta ottenuta la libertà provvisoria, Abedini potrebbe tornare in Iran, oppure nella sua sede operativa in Svizzera. Con il permesso degli Usa, che stanno per incoronare il nuovo presidente guerriero pronto alla guerra dei dazi, e il suo braccio destro Musk che guida la guerra dei nazi. E Giorgia Meloni incassa una standing ovation di tutta la politica e dei media per la rapida liberazione di Cecilia Sala e può mettere il silenziatore sui conflitti interni al governo e alla maggioranza. |