Sarà arrivato il tempo dei miracoli? Due notizie di cronaca degli ultimi giorni spingerebbero a credere che se non di miracoli almeno di ragionevolezza si dovrebbe parlare. Finalmente Genova torna al centrosinistra, dopo due tornate elettorali che l’avevano consegnata alle destre e dopo la recente nuova sconfitta sul filo di lana delle forze progressiste alle elezioni regionali della Liguria. Il risultato è stato reso possibile dalla presentazione di una candidata unitaria (Silvia Salis, campionessa di lancio del martello) sostenuta da Pd, M5S, AVS e persino dai centristi. Tanto da far dire a Elly Schlein a voce alta e ad Antonio Conte senza entusiasmo che uniti di vince. A Ravenna e ad Assisi si conferma il centrosinistra mentre a Taranto e Matera, dove però le opposizioni si erano presentate divise, si va al ballottaggio. Genova fa respirare il centrosinistra che dimentica di analizzare un dato più che preoccupante: appena sopra il 50% la percentuale dei votanti, a conferma del fatto che la crisi della democrazia è tutt’altro che risolta, troppo profondo è il solco che divide i rappresentati dai rappresentanti, gli elettori dalla politica.

 

Fuori dal letargo dopo 54 mila morti a Gaza

Il secondo fatto incoraggiante è l’accordo finalmente trovato tra Pd, M5S e AVS in difesa dei palestinesi sterminati a decine di migliaia dai soldati di Netanyahu e contro la politica genocidaria del governo d’Israele. Una mozione unitaria, naturalmente bocciata in Parlamento dalle destre complici degli assassini, e una manifestazione nazionale a Roma il 7 giugno. Ci sono voluti 54 mila morti perché le opposizioni uscissero da un letargo imbarazzante, ma finalmente sembrano essersi svegliate e questo è positivo. Prende le distanze, o avanza distinguo, chi si nasconde dietro “il diritto di Israele a difendersi dopo il massacro di Hamas del 7 ottobre”, cioè Renzi, Calenda e i militanti del Pd che aderiscono all’associazione “Sinistra per Israele”.

 

Due fatti incoraggianti, da Genova a Gaza, non fanno però un miracolo. Il miracolo sarebbe la vittoria ai 4 referendum sul lavoro e a quello sulla cittadinanza per i quali italiani e italiane sono chiamati a votare l’8 e il 9 giugno, 24 ore dopo la grande manifestazione per la Palestina. Per vincere è necessario che il 50% più 1 degli aventi diritto infili le cinque schede nelle urne, impresa difficile in un paese in cui a votare va ormai regolarmente meno della metà della popolazione e in cui chi non vuole abolire il jobs act, non vuole frenare la strage di lavoratori, non vuole accogliere i nuovi italiani che studiano lavorano e pagano le tasse nel nostro paese, invita gli elettori non a votare no bensì a disertare le urne e andare al mare. I nemici della partecipazione e della democrazia - dell’unica forma di democrazia diretta prevista dalla Costituzione - sono Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia guidati dalla seconda carica dello Stato: il presidente del senato Ignazio Benito La Russa.

 

Il terzo nemico da battere per fare il miracolo è la disinformazione di regime. Le destre che controllano i media tacciono sui referendum perché “la gente non deve sapere”, il dramma è che le destre controllano anche il primo mezzo di comunicazione che è la RAI, sotto la cui sede centrale si sono susseguite nei giorni scorsi manifestazioni di protesta. Guai a parlare del reintegro dei lavoratori ingiustamente licenziati e dell’equo risarcimento, guai a dire che va ridotta la precarietà, guai a dire che appalti e subappalti a pioggia senza la responsabilità delle aziende appaltanti moltiplicano le cause di infortuni e i morti sul lavoro. Guai a dire che basterebbero 5 e non 10 anni per poter chiedere la cittadinanza italiana.

 

Gli ultimi giorni di campagna

Eppure, qualcosa si sta muovendo grazie alla campagna a tappeto realizzata dalla CGIL che è la promotrice dei 4 referendum sul lavoro. E anche le forze d’opposizione, con i loro tempi, le loro modalità, e i loro obiettori (il Pd è ancora intasato dai nostalgici di Renzi, l’eroe del jobs act) si stanno impegnando in questi ultimi giorni di campagna referendaria. Gli ultimi sondaggi pubblicati danno la partecipazione sopra il 40%, un ultimo sforzo potrebbe essere decisivo. Basterebbe far capire a chi non va più a votare per rabbia o sfiducia che non si tratta di un voto di delega, non si tratta di eleggere un rappresentante: si vota per sé, per i propri diritti.

Domanda retorica: è concepibile che in Italia, per essere eletto deputato, o senatore, o sindaco, o presidente di regione non abbia importanza la percentuale di votanti mentre per rendere valido un referendum sia necessaria la maggioranza assoluta degli aventi diritto al voto?

Pubblicato il 

30.05.25
Nessun articolo correlato