L'Italia che non fa i conti con la storia

Non è semplice parlare di destra eversiva in un paese il cui ministro degli esteri è l’erede diretto del fascismo. I fascisti italiani, nel tempo, hanno spesso cambiato nome: prima c’era il Movimento sociale italiano dell’ex repubblichino Giorgio Almirante – quello dell’editto che ordinava la fucilazione di tutti i renitenti alla leva della Repubblica sociale di Salò – e poi è arrivata Alleanza nazionale, voluta e diretta dal giovane delfino del fucilatore Almirante, quel Gianfranco Fini che oggi guida la Farnesina e dunque la politica estera italiana. La scorsa settimana, An ha festeggiato il suo primo decennale rivendicando un maggior peso nel governo, in nome dell’intenso lavoro di restaurazione svolto in questi anni. Il manifesto che ricopre i muri di tutte le città italiane ricorda come «Eravamo pochi a chiamare Patria l’Italia / Oggi siamo la maggioranza». Una “Patria” sherpa di Bush nella guerra e nell’occupazione dell’Iraq; una “Patria” che chiude i suoi confini allo “straniero” con la legge sull’immigrazione più razzista d’Europa, la “Bossi-Fini”; una “Patria” il cui presidente del consiglio Silvio Berlusconi riesce a parlare di Pol Pot ad Auschwitz, in occasione del sessantennale della liberazione del campo di sterminio ad opera dell’Armata rossa sovietica, per dire che nazismo e comunismo sono la stessa cosa. Ma la storia, ahinoi, si tende a dimenticarla. Altrimenti, come si spiegherebbe il sostegno di una gran parte degli ebrei romani al governo Berlusconi e nella fattispecie a Fini, accolto con tutti gli onori non soltanto nel ghetto ebraico della capitale ma addirittura in Israele, dal governo Sharon? Nel dibattito che ha attraversato l’Europa nei giorni della memoria della Shoa, l’atteggiamento del governo italiano è stato improntato al revisionismo, se non al negazionismo quanto meno al riduzionismo. Le leggi razziali volute da Mussolini e sottoscritte dai Savoia regnanti alla fine degli anni Trenta naturalmente vanno condannate ma si sorvola sulle responsabilità italiane nello sterminio degli ebrei e dei rom, nella persecuzione dei comunisti, degli oppositori politici, degli omosessuali. Addirittura, nel ventre molle di An c’è persino chi, come Domenico Gramazio, braccio destro del governatore nazionalalleato del Lazio Francesco Storace, minimizza sulle odiose leggi razziali italiane da cui hanno preso le distanze persino gli eredi dei Savoia. È dovuto intervenire Fini in persona per smentire e scomunicare il fascistone, senza però costringerlo a dimettersi dall’incarico di responsabile della sanità nel Lazio. L’Italia è un paese che non ha mai fatto i conti fino in fondo con la sua storia e i suoi crimini, quelli contro l’umanità in qualità di alleato di Hitler e quelli più semplicemente contro la democrazia. Le stragi nere che hanno insanguinato l’Italia dalla fine degli anni Sessanta, a partire da Piazza Fontana, restano impunite. «Io so» chi sono i colpevoli, scriveva Pierpaolo Pasolini, «ma non ho le prove». Le prove a cui si riferiva lo scrittore sono quelle della complicità con i fascisti degli apparati dello stato. È dentro quegli armadi nascosti che persiste in Italia una contraddizione feroce, su cui arranca la storia nazionale, ed è in questi rimossi che vanno letti per esempio i fatti di Genova del 2001, l’assassinio di Carlo Giuliani, il sangue alla Diaz e a Bolzaneto. Il burattinaio che muoveva i fili al G8 di Genova, guarda caso, era proprio Gianfranco Fini che per l’occasione aveva appeso al chiodo il doppiopetto per rivestire, simbolicamente, la camicia nera. Questo lungo excursus non lasci credere che in Italia non esista una destra eversiva, terroristica o comunque violenta, antisemita, manovalanza dell’eversione nera. Ne accenniamo, senza però dimenticare che la malattia italiana è nel cuore e nel cervello, non nelle unghie. Tanto per intenderci, l’istrionesca Alessandra Mussolini, un po’ fez, saluti romani e un po’ talk show televisivo, ha raccolto gli avanzi dell’estremismo di destra (Forza Nuova di Roberto Fiore, Fiamma tricolore di Pino Rauti, Fronte sociale nazionale, Libertà d’azione) contrari alle “svolte revisioniste” di Fini e li ha fusi in un partito, Alternativa sociale, che rischia di far perdere alcune regioni strategiche, Lazio in testa, alla Casa delle libertà. Come tenta di porvi rimedio, Silvio Berlusconi? Cercando di stringere un patto con la nipote del Duce, fino a proporla sottobanco come candidata governatore della Campania in opposizione ad Antonio Bassolino. Operazione bloccata dalla virile opposizione di Gianfranco Fini, intenzionato a fare terra bruciata alla sua destra, altro che legittimare i fascisti senza doppiopetto come alleati. Ma da qui alle politiche del 2006 c’è ancora tanto tempo, e già in qualche città e regione la Casa delle libertà governa grazie ai voti, e ai consiglieri, di frattaglie estremiste, come Forza nuova, un gruppo di squadristi a cui faceva riferimento quell’Andrea Insabato che un bel giorno di pochi anni fa mise una bomba nella redazione del manifesto. Il Fronte sociale nazionale, invece, è l’erede di Avanguardia nazionale disciolta in base alla legge che impedisce la ricostruzione del partito fascista. Il suo capo si chiama Adriano Tilgher e viene indicato come lunga mano di uno degli uomini più coinvolti nelle stragi fasciste e nella strategia della tensione, Stefano Delle Chiaie. Il revisionismo italiano è una malattia pericolosa e, soprattutto, contagiosa e può estendersi in molti gangli della società “civile”. Così, il braccio teso nell’inconfondibile saluto romano del calciatore della Lazio Paolo Di Canio non è cosa da prendere sul serio, una goliardata semmai. Siamo tutti italiani, tifosi appassionati e non bisogna guardare alle forme e ai simboli. I quali sono tutti buoni, o tutti cattivi se si preferisce. E se il fascismo e il comunismo hanno le stesse colpe, perché non assolvere gli slogan nazisti della curva e i saluti romani di Di Canio, quando i tifosi livornesi sventolano bandiere rosse, alzano foto di Lenin e sbeffeggiano come solo i livornesi sanno fare, il presidente Berlusconi? Capitolo chiuso, siamo tutti italiani, tutti colpevoli e tutti innocenti. Come si canta a Napoli, «chi ha avuto ha avuto ha avuto / chi ha dato ha dato ha dato / scordammoce ‘o passato...».

Pubblicato il

04.02.2005 03:30
Loris Campetti