Partiamo da una lettura e da un fatto di attualità con un denominatore comune: il lavoro. La lettura è di un libro su cui sono capitato perché mi ha incuriosito il titolo: Un mondo senza lavoro (Daniel Susskind, Un monde sans travail, Flammarion,2024). E perché poneva un interrogativo sconvolgente: gli uomini conosceranno lo stesso destino dei cavalli? Veramente questo interrogativo l’aveva già formulato quarant’anni fa uno storico- economista russo-americano, premio Nobel (Wassily Leontief 1906-1999) quando si era interessato alla scomparsa degli equini nelle metropoli tra la fine del XIX s. e l’inizio del XX secolo: una nuova tecnologia di trazione, il motore a combustione, aveva sostituito una creatura che, per millenni, aveva avuto una funzione centrale nell’economia. Chi allora prediceva che i lavoratori, “vittime della tecnologia”, avrebbero trovato un altro lavoro ebbe perlopiù ragione. I progressi tecnologici attuali e quelli venienti (si sostiene nel libro citato) sembrano invece preparare una rottura senza precedenti: “si abbandonerà l’epoca del lavoro”; l’intelligenza artificiale (AI) agirà come un rullo compressore in molte attività. E via elencando: dalle diagnosi mediche sino alle capacità relazionali o persino all’attitudine a rilevare le emozioni umane. Tanto che “nei prossimi cent’anni che ci attendono, i progressi tecnologici ci renderanno più ricchi…portandoci dentro un mondo in cui il lavoro sarà merce sempre più rara”. Rimangono però grosse domande cui dovremmo pensare sin d’ora, avverte l’autore: come ripartire i frutti di quella prosperità? Lo Stato sarà sempre più chiamato in causa perché dovrà svolgere un compito fondamentale: come ridistribuire la ricchezza creata, come assicurare un reddito di base per tutti, come imporre nuove imposte eccetera. Bisognerà soprattutto confrontarsi con il poter politico ed economico debordante e avviluppante delle grandi società o multinazionali tecnologiche (minacce già ora opprimenti e devastanti sulle democrazie, con le nuove oligarchie trumpiane). La riflessione che si cerca di ignorare o scansare rimane però quella essenziale: che senso vogliamo dare alla vita (e, quasi paradossalmente, pensando che nella Genesi era ritenuto espiazione di una colpa, proprio quando il posto del lavoro, divenuto fatto sociale umano e essenziale, viene meno?). La notizia è questa: uno degli oligarchi dell’informatica, Mark Zuckerberg, fondatore, presidente e CEO di META (Facebook, Instagram, WhatsApp), ora associatosi a Trump, licenzia di botto 3.600 dipendenti perché “unefficient”, inefficienti, improduttivi. La novità è che la decisione è stata presa dall’IA, l’Intelligenza Artificiale La quale permette quindi di evitare agli umani (ai managers) ciò ch’essa farebbe meglio, liberandoli da ogni responsabilità. Un terzo delle imprese americane, tra le più importanti, ha già adottato questo sistema. Poiché quanto si fa negli Stati Uniti presto si importa da noi, bisognerebbe attrezzarsi in tempo per opporsi a quella totale disumanizzazione del lavoro. Si sta comunque rendendosi conto, a quanto già risulta, che al di là dell’eccellenza individuale, la “performance” di un’impresa dipende innanzitutto dall’intelligenza collettiva. Che l’intelligenza artificiale ignora o non riesce a considerare, Perché la vera “performance” non è misurabile su preconcetti o con calcoli quantitativi, ma con l’impatto interrelazionale e sociale creato, sia all’interno, sia nei confronti dell’esterno. |