L’India spiazza i movimenti sociali

Ipercritico e loquace, José Bové non passa mai inosservato. Attira l’attenzione perché comunica con vivacità e senza calcoli. E non si morde la lingua. La parola autocensura non esiste nel vocabolario di questa figura di riferimento dell’altermondialismo che non concorda con la consegna «un altro mondo è possibile», sentendosi invece più a suo agio sognando «altri mondi possibili». Nemmeno a Mumbai-Bombay il dirigente della Confédération paysanne e di Vía Campesina è stato uno dei tanti... Fedele partecipante ai forum di Porto Alegre, amico affettuoso dei Sem Terra brasiliani... José Bové, come vede questa edizione del Forum sociale mondiale (Fsm) a Mumbai? Come una formidabile mobilitazione popolare. Rilevo in particolare la ricchezza dei movimenti sociali qui presenti, così come la loro fantastica vitalità. Mumbai e Porto Alegre, due mondi molto lontani? La differenza più marcata è quella legata al tipo di dibattito che c’era a Porto Alegre, il suo taglio “intellettuale”. Qui sono i movimenti sociali, la gente che vive e che lavora direttamente sul terreno ad essersi appropriati di questo forum. Inoltre, il fatto che il forum si tenga a Bombay permette di ricavare un’immagine abbastanza fedele dell’India, esempio sintomatico e significativo degli effetti nefasti della globalizzazione. Sono emerse pubblicamente delle tensioni fra i movimenti sociali attorno all’Fsm. Ci sono state organizzazioni contadine nel Forum e altre nell’anti-forum “Mumbai resistenza 2004”. Ciò è dovuto a una debolezza dell’Fsm o piuttosto alle contraddizioni fra i movimenti contadini indiani? Ci sono settori di Vía Campesina (rete internazionale che raggruppa organizzazioni del mondo rurale, ndr) che temono che i partiti politici, il partito comunista indiano, possano recuperare a loro favore l’Fsm. Siccome c’è una serie di organizzazioni contadine che non sono nell’Fsm ma in “Mumbai resistenza”, Vía Campesina ha detto pubblicamente che non intende essere manipolata da nessun partito. E che volevamo avere la capacità di discutere con i partecipanti dei due forum. Per questo abbiamo proposto degli incontri fra questi movimenti in un luogo neutro. Non per negare la validità dell’Fsm, giacché da sempre siamo parte di questo processo in costruzione. Ma per mantenere le relazioni con quei settori della società indiana che non si sentivano a loro agio partecipando all’Fsm. Questo tipo di contraddizione si verifica per la prima volta in un Fsm. È un segnale preoccupante? Cosa si può fare per evitare fratture più profonde? Penso che ciò ha a che vedere con la situazione particolare del movimento sociale indiano e con la sua relazione con la politica. Il timore che la sua azione possa essere manipolata dai partiti politici crea un quadro difficile. La lezione che dobbiamo trarre è che l’Fsm deve essere chiaro circa l’autonomia del movimento sociale e il fatto che la società civile è una forza di per sé, a fianco della sfera politica, ma che non può stare nella politica tradizionale. Abbiamo sempre detto che i politici sono benvenuti nell’Fsm per ascoltare, però sono i movimenti sociali quelli che devono dare l’impulso al forum. In India stiamo vedendo in modo chiaro che alcuni di questi movimenti sono emanazione dei partiti. Essi si situano nell’antico schema della strumentalizzazione del movimento sociale. Dobbiamo confrontarci con la gente così com’è. È per questo che vogliamo servire da ponte per discutere con tutti i settori. Dobbiamo riconoscere, tuttavia, che il dialogo con le organizzazioni di “Mumbai resistenza” non è stato facile. Ci siamo confrontati con alcuni movimenti molto rigidi politicamente, movimenti che difficilmente si aprono a una visione ampia del movimento sociale tale com’è stata concepita dall’inizio dell’Fsm. Credo che per loro tutto questo processo costituisca anche una scoperta... Da Mumbai a Davos, dall’India alla Svizzera. Mentre si appresta ad ospitare un’altra edizione del Forum economico mondiale, questa città alpina è oggetto di una militarizzazione significativa... Siamo nuovamente testimoni di questa specie di schizofrenia, di paura. Vediamo, paradossalmente, un club privato che parla di aprire il mondo al mercato e nel contempo è obbligato a nascondersi, a proteggersi e a militarizzarsi al massimo. In questo modo dimostrano chiaramente l’immagine del mondo che vogliono. Più si militarizzano, più ragioni abbiamo per continuare la nostra lotta. Dappertutto... E perché non su Marte, dato che gli Stati Uniti hanno deciso di arrivare fin lassù? Quale strategia deve continuare a seguire il movimento altermondialista? Consolidare lo spazio dell’Fsm – che è fondamentale, che permette di aprire il dibattito e di mostrare la realtà del mondo – e allo stesso tempo rafforzare l’aspetto organizzativo in modo da essere in grado di esercitare pressioni sugli Stati, sull’Organizzazione mondiale del commercio (Omc) e su altre istituzioni multilaterali. Sappiamo che vogliono riunirsi in ottobre nel sud-est asiatico per rilanciare il ciclo dell’Omc. Allora la mobilitazione deve cominciare da lì. Per spingere e approfondire le contraddizioni, come abbiamo fatto a Cancún (durante l’ultima riunione ministeriale dell’Omc, ndr) e prima ancora a Seattle. Insisto, vedo due strategie: da un lato un’azione incentrata su forum e dibattiti, dall’altro un’azione di pressione sui nostri governi e sulle istituzioni multilaterali. Menziona Seattle e Cancún... Cos’è successo fra una conferenza e l’altra? Sappiamo che la resistenza esiste, che si manifesta nel mondo intero, e in questo Fsm ne abbiamo la prova. Questo ci dà una vera speranza. Il movimento cresce, si sviluppa. E allo stesso tempo le alternative che proponiamo riguardano tanto la dimensione locale quanto quella internazionale. C’è una ricchezza, una miriade di cose che succedono e che rappresentano una speranza di diversità nel mondo. In questo senso non credo molto nella consegna “Un altro mondo è possibile”. Credo piuttosto in uno slogan al plurale: “Altri mondi sono possibili”. Perché non credo che sarebbe una buona cosa rimpiazzare il mondo attuale con un altro mondo unico. Per concludere, cosa manca al movimento altermondialista per poter continuare ad avanzare? Non so cosa gli manca. Il punto sta nella capacità di far riconoscere che abbiamo delle alternative, che c’è una società civile organizzata che è capace di avanzare delle proposte. Oggi non riusciamo ancora – a differenza degli Stati e del potere economico – ad essere inclusi nel processo decisionale a livello internazionale. È evidente che la società civile influisce su tutte le sfere del processo economico e politico a livello mondiale e che il suo compito è centrale. È importante che troviamo i mezzi affinché il nostro spazio, il nostro apporto, sia riconosciuto anche a livello istituzionale. Sarà complicato perché ci sono reticenze al nostro interno. E inoltre siamo confrontati con l’opposizione del potere che ci sta di fronte. C’è una gran scommessa davanti a noi: quella di sapere se assumeremo questa responsabilità di alternativa. Anche a livello istituzionale, ciò che potrebbe voler dire persino sedersi a tavola con il diavolo stesso...

Pubblicato il

23.01.2004 02:30
Sergio Ferrari