L’Europa, nonostante tutto

Dal 16 al 19 maggio la Confederazione europea dei sindacati (Ces) terrà il suo congresso ad Atene. Per il movimento sindacale europeo il momento è estremamente delicato: anziché indebolirlo, la crisi ha rafforzato il neoliberismo, e proprio i lavoratori greci con i ferrei piani di austerità imposti dall'Unione europea (Ue) lo stanno sperimentando sulla loro pelle. Come uscire da questa crisi del sindacato e della sinistra europei? Su quali piani portare le lotte a livello continentale? E soprattutto: vale ancora la pena credere in un'Europa sociale? Ce ne parla in questa intervista Vasco Pedrina, che rappresenta la Svizzera nel Comitato esecutivo della Ces.

Vasco Pedrina, cominciamo da un fatto locale, le elezioni ticinesi. Il voto antieuropeista e ostile ai lavoratori stranieri espresso dai ticinesi è un voto molto europeo.
Sì. In gran parte dei paesi europei c'è una forte tendenza al populismo di destra, che in talune situazioni come in Ticino assume anche qualche connotato sociale. È preoccupante, perché la combinazione tra populismo di destra e neoliberalismo estremo, sotto la pressione dei mercati finanziari, sta dando colpi terribili all'Europa sociale e, se non si sviluppano forze in controtendenza, rischia di far saltare l'Ue.
Ma anche a sinistra e nei sindacati aumentano coloro che manifestano indifferenza, se non aperta contrarietà, verso un'Ue sempre più neoliberista.
La discussione nel movimento sindacale e nella sinistra si organizza su due correnti. La corrente dei pessimisti tende al ripiegamento nazionale perché ritiene che il progetto dell'Ue è ormai sulla via del capitalismo brutale e non vede una forza coordinata europea che vi si opponga. Come il generale Guisan si ritorna nel ridotto per difendere le conquiste sociali almeno all'interno dei confini nazionali. Su queste posizioni si ritrovano forze che si situano alla sinistra del movimento e forze che nel movimento sono conservatrici (ad esempio i nordici, che hanno sempre voluto difendere il loro modello tenendosi in disparte dall'Ue). Il problema è che questa strategia, assieme alla pressione dei mercati finanziari e del populismo di destra, può contribuire a far saltare l'Europa e non affronta il problema di come difendere le conquiste sociali sul piano continentale. La globalizzazione e l'europeizzazione dell'economia e della società sono tali che o si riesce a promuovere lo Stato sociale a livello europeo oppure lo sconquasso sarà ovunque.
Pedrina, davvero sta ai sindacati salvare questa Europa? Oggi non c'è molto da difendere dell'Ue, se non sul piano ideale.
Non si può dire che ci sia poco da difendere. Quando si chiede agli svizzeri tedeschi se preferiscono avere di fronte l'Ue o la Germania cominciano a riflettere. La demonizzazione dell'Europa non può essere la soluzione, anche se si ha il diritto di essere molto critici sulle attuali politiche europee. Per questo cerchiamo di spingere ad una nuova strategia il movimento sindacale.
Così lei è nell'altra corrente del movimento sindacale, quella di chi di fronte all'Europa manifesta l'ottimismo della volontà?
Sì, è l'ottimismo della volontà, ma anche della ragione. È vero che ora con il "Patto per l'Euro", che rafforza tutti i piani di risparmio dei singoli Stati, si arriva ad attacchi mai visti dall'ultima guerra mondiale ai salari, alle rendite, ai posti di lavoro e ai servizi pubblici. Ma la strategia per uscirne può essere solo europea. E ci sono stati pochi periodi con così tante manifestazioni sindacali e scioperi nei singoli Paesi come l'ultimo anno e mezzo. Azioni che però non sono state sufficienti per imporre un cambio delle politiche di uscita dalla crisi.
Perché erano azioni troppo disarticolate?
Questa è la ragione più importante. Inoltre c'è la difficoltà a mettersi d'accordo a livello europeo sulle strategie di politica economica e sociale. È anche comprensibile: quando si subiscono attacchi la prima reazione è quella di difendersi ognuno per sé e, con le forze rimanenti, si partecipa a qualche giornata d'azione europea.
Come uscirne?
Vi sono due assi possibili. La Cgil e le confederazioni spagnole propongono azioni coordinate di sciopero in Europa. Se si facesse questo salto di qualità si sposterebbero gli equilibri politici in vista di un cambiamento di rotta. Il secondo asse, proposto dai sindacati svizzeri, è il rilancio anche politico dell'azione sindacale. In particolare proponiamo il ricorso all'iniziativa europea dei cittadini, uno strumento simile alla nostra iniziativa popolare che sarà operativo dalla primavera del 2012 e che permetterà ad un milione di cittadini europei di fare proposte legislative sul piano europeo. Questo strumento dovrebbe permettere di lanciare una campagna di sensibilizzazione e di mobilitazione sulla lotta al dumping salariale e sociale e in favore dei diritti dei lavoratori.
Ne parlerete al Congresso della Ces di Atene?
Ad Atene le questioni centrali in discussione saranno la risposta da dare in alternativa ai piani anticrisi fatti sulle spalle dei lavoratori, la questione del dumping salariale e della precarizzazione del lavoro, e infine la strategia europea sui salari minimi e sulla politica salariale. Si discuterà anche dei mezzi per attuare queste strategie, e fra questi anche di sciopero europeo e iniziativa europea dei cittadini.
Ci vuole molto ottimismo per pensare che ora un'azione unitaria possa partire.
Il quadro è effettivamente preoccupante. E rischia di peggiorare ulteriormente. È una corsa contro il tempo. Le politiche di risparmio a seguito del piano di stabilità rafforzato (il "Piano per l'Euro") accrescono gli squilibri macroeconomici fra i Paesi estremamente esportatori come la Germania o i Paesi nordici da un lato e i Paesi del Sud dall'altro. Ma crescono anche le polarizzazioni economiche e sociali all'interno dei Paesi. Senza una risposta convincente del movimento sindacale in Europa le tensioni diventeranno insopportabili anche nella classe operaia e nei sindacati. Tensioni si sentono già fra sindacati tedeschi e dei Paesi del Nord e sindacati dei Paesi del Sud e all'interno di alcuni Paesi fra le confederazioni sindacali nazionali. Ciò potrebbe paralizzare il movimento sindacale europeo e rendere ancora più facile la vita al populismo di destra. Per questo dico che non c'è alternativa, ed è questo l'ottimismo della volontà: spingere i sindacati a contrapporsi alle tendenze di rinazionalizzazione della politica e cercare di ridare speranza ai lavoratori attraverso una strategia comune in Europa per un'altra politica economica e per rilanciare i diritti sociali.
Ma è sicuro che la sua base sindacale in Svizzera condivida il suo discorso europeista?
La nostra legittimazione, e questo lo accetta anche chi vota per le varie Leghe, viene dal nostro compito, che è la difesa degli interessi materiali, sociali e culturali dei lavoratori. Quando il movimento sindacale e la sinistra politica riescono a spostare il dibattito sulle questioni del salario, delle rendite e del posto di lavoro, riescono anche ad imporsi e a guadagnare autorità rispetto alle fasce di lavoratori che rispondono alle loro frustrazioni ricorrendo a scorciatoie come la politica antistranieri o il ritorno ai nazionalismi.
Nel dicembre 2008 in un'intervista al nostro giornale lei disse: «dopo i cataclismi degli ultimi mesi e i duri colpi incassati dal neoliberismo c'è la speranza di creare nei prossimi anni un clima sociale nuovo, come negli Usa». Ne sono cambiate di cose in poco più di due anni.
Di questa crisi non è stata la sinistra ad approfittarne, ma il populismo di destra. Che, in alleanza con il capitalismo al potere, ha permesso di traghettare la situazione di crisi verso una soluzione che è totalmente contraria alla nostra. La sinistra politica in Europa è in uno stato disastrato e non è stata in grado di dare risposte convincenti. Dopo Blair e Schröder si è trovata screditata e paralizzata. I soli Paesi dove la socialdemocrazia è ancora al governo sono quelli in cui la crisi è più grave, come la Grecia, la Spagna e il Portogallo.
Non c'è stata nemmeno una risposta forte da parte del movimento sindacale.
In numerosi Paesi il movimento sindacale è stato la sola forza di resistenza consistente. In vari Paesi è perfino riuscito a preservare l'essenziale delle conquiste sociali. Il movimento sindacale svizzero è fra questi.
Anche in Svizzera però l'esito delle mobilitazioni è stata la vittoria nel referendum sul secondo pilastro e poco più.
È una visione troppo critica. Se si guarda ad esempio i programmi di austerità in diversi Paesi europei e li si confronta con quanto accade in Svizzera ci si accorge che le situazioni sono ben diverse. Certo la Svizzera ha una situazione migliore, ma se si fa la lista dei tentativi di smantellamento sociale avviati e stroncati in questo Paese negli ultimi due anni e mezzo (dal taglio dell'Avs alla privatizzazione della Suva, fino alla liberalizzazione degli orari di apertura dei negozi), ci si rende conto che di lavoro a difesa dello Stato sociale ne è stato fatto.
Ma costruire l'Europa sociale non avrebbe come conseguenza di rafforzare la fortezza Europa, mentre alle sue porte le popolazioni del Maghreb chiedono le nostre stesse libertà?
Un rafforzamento dell'Europa sociale avrebbe come effetto di riaprire l'Europa. Perché se si dà sicurezza economica e sociale alla gente questa è poi più disposta anche verso popolazioni provenienti da altre regioni. Il Maghreb è una grossa sfida anche per il movimento sindacale. Da un lato dobbiamo vedere come possiamo aiutare a creare dei sindacati indipendenti nei Paesi stessi. D'altro canto sul piano migratorio bisogna fare in modo che non vi sia una politica di chiusura, considerando i movimenti per la democrazia come un impegno morale anche per noi. Sarà una discussione serrata anche all'interno del movimento sindacale. Ed è preoccupante. C'è un'involuzione a livello europeo che ricorda tempi passati. Una delle grandi conquiste del secondo dopoguerra è stata la garanzia di una certa eguaglianza sociale, e che ci fossero delle strutture statali e delle istituzioni di sicurezza sociale per assicurare questo equilibrio sociale. Ora questo consenso sociale sta saltando. Se non si riuscirà a riaffermare questi che sono i valori dell'Europa sociale andremo verso tempi molto duri. Con conseguenze gravissime sul nostro futuro.

Pubblicato il

06.05.2011 01:00
Gianfranco Helbling
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