L'Europa che non ci sta

La devastazione sociale fa strage in Grecia sotto i colpi della troika. Una politica che comincia a diffondersi un po' ovunque in Europa. La Confederazione europea dei sindacati (Ces) ha recentemente preso posizione sulla situazione in Grecia, denunciando in particolare i gravi attacchi ai sindacati e ai contratti collettivi di lavoro. Ne parliamo in questa intervista con Vasco Pedrina, rappresentante della Svizzera nel comitato esecutivo della Ces.

Nella sua dichiarazione sulla Grecia la Confederazione europea dei sindacati (Ces) accusa la troika (composta da Fondo monetario internazionale, Unione europea e Banca centrale europea) di mettere in pericolo l'esistenza stessa delle organizzazioni sindacali. Come stanno le cose?
In occasione dell'ultima riunione del comitato esecutivo della Ces i rappresentanti dei sindacati greci hanno parlato di devastazione sociale, lanciando agli altri sindacati europei un appello quasi disperato alla mobilitazione e alla solidarietà. La Grecia è ormai al quinto o al sesto programma di austerità dallo scoppio della crisi nel 2008. Ogni volta era stato promesso che i sacrifici avrebbero permesso di rilanciare l'economia. Il risultato è tutt'altro. La Grecia è in piena recessione, con un prodotto nazionale lordo che è calato di quasi il 30 per cento. Sono cifre identiche a quelle della crisi degli anni '30, a quelle dei paesi in guerra. Il dramma è che questa politica non ha permesso né di ridurre il deficit, né il debito pubblico, che non ha fatto altro che esplodere. Perché il solo modo per riassorbire un debito è la crescita. I lavoratori subiscono in maniera drammatica la diminuzione del potere d'acquisto: i salari minimi sono stati ridotti del 22 per cento, del 32 per cento per coloro che hanno meno di 25 anni. E c'è un forte aumento della disoccupazione. Il risultato è che il 30 per cento della popolazione vive sotto la soglia di povertà. Per arrivare a questo risultato la troika ha imposto la fine di tutte le strutture sociali e convenzionali. Ha imposto per esempio la soppressione dell'Organizzazione per le abitazioni dei lavoratori e del Fondo sociale dei lavoratori. Queste misure hanno come obiettivo di distruggere la forza dei sindacati e delle istituzioni che permettono di tutelare i lavoratori.
In Grecia ci sono stati diversi scioperi generali, ma gli attacchi continuano…
Sì, la rivolta sociale si allarga, ma non basta di fronte alla potenza delle autorità europee, della Banca centrale europea (Bce) e dei mercati finanziari. Con questa crisi si sarebbe potuto immaginare che delle misure per tassare i ricchi e lottare contro la frode fiscale venissero prese. Per esempio tassando i fondi detenuti da cittadini greci in banche estere, segnatamente in Svizzera dove questi soldi rappresentano il 10 per cento del patrimonio complessivo gestito dalle banche. Ma il governo greco non ha fatto nulla. Una delle ragioni è che i politici dei due campi hanno anch'essi i loro soldi in Svizzera. E la troika su questo tema è molto meno categorica!
Non c'è una chiara volontà di ridurre i salari non solo nei paesi del Sud Europa ma in tutto il continente?
L'idea di fondo dei politici e del padronato europei è che se si vuole diventare concorrenziali con i Paesi emergenti, allora è necessario far saltare il modello sociale europeo. Alla fine di febbraio il presidente della Bce Mario Draghi ha detto al Wall Street Journal che il modello sociale europeo è finito. Stanno uccidendolo con il dumping salariale e sociale. Perché tutto questo non riguarda solo i salari ma anche le pensioni e tutti i diritti sociali. È un'ondata che toccherà anche i paesi del Nord, come dimostrano le sentenze della Corte europea di giustizia che aprono le falle del dumping salariale attraverso i lavoratori migranti. Una delle nostre difficoltà è creare una risposta coordinata del movimento sindacale, perché in Germania, in Austria, in Olanda e nei Paesi nordici la situazione economica è nettamente migliore che nei paesi del sud o del centro del Continente. E i governi, come quello di Angela Merkel, puntano a dividere, mano nella mano con i populisti di destra. Siamo in una situazione tanto tragica che la solidarietà si sbriciola persino nei nostri ranghi. Ma non ci sarà un lieto fine se i sindacati del Nord e quelli del Sud non solidarizzeranno.
A fronte di questa situazione, la Ces lancia l'idea di un "Contratto sociale per l'Europa" con una "clausola di progresso sociale" nel Trattato dell'Unione. Ma l'ultimo trattato, concernente la stabilità di bilancio e firmato all'inizio di marzo, organizza l'austerità e la distruzione sociale. Non è contraddittorio?
Nella situazione attuale è chiaro che il dialogo sociale non condurrà a delle soluzioni con dei governi di destra che non ne vogliono nemmeno sentire parlare. La sola strada percorribile è quella di cercare di fare da contrappeso con delle mobilitazioni sindacali coordinate e di operare affinché il quadro politico migliori, in particolare in paesi grandi come la Francia e la Germania. Il nostro controprogetto allo smantellamento sociale dell'Europa, che rischia di far saltare pure l'Unione, è appunto il "Contratto sociale per l'Europa". Con la Ces vogliamo obbligare a ripensare le fondamenta dell'Europa sociale. Esso attualmente è in consultazione nei sindacati e sarà adottato in giugno, poi il dibattito su questa scelta di società sarà lanciato nei vari paesi.
Ma in Grecia e in Spagna sono stati dei governi socialisti che hanno imposto i primi piani di austerità…
Siamo effettivamente in una situazione difficile. I sindacati da soli non potranno cambiare di molto lo stato delle cose. Sono stati molto indeboliti da questa crisi. Si devono combinare delle mobilitazioni sindacali e il cambiamento politico, lavorare sui due fronti e cercare di creare le alleanze sociali necessarie a questo cambiamento. È in questa prospettiva che ha senso il "Contratto sociale per l'Europa" che la Ces sta per proporre. Permetterà di indicare ai lavoratori in che direzione si deve operare per costruire un'alternativa. Ma non basterà presentarlo ai dirigenti dell'Ue perché questi lo accettino, in quanto questo comporterebbe un cambiamento fondamentale della loro politica decisa con il Patto sulla stabilità di bilancio. Quel che bisogna fare oggi è lavorare per il rilancio della mobilitazione sindacale in Europa con un progetto chiaro e un impegno solidale di lungo periodo.
Secondo lei, quasi il 10 per cento dei capitali gestiti dalle banche svizzere apparterrebbero a dei cittadini greci. I sindacati svizzeri non potrebbero intervenire in solidarietà con i lavoratori greci?
La sola prospettiva è di creare un contrappeso con una campagna di solidarietà di tutti i sindacati europei con i greci e con i lavoratori degli altri Paesi del Sud che pure sono toccati. È quel che cerca di fare la Ces con la sua dichiarazione sulla Grecia. Quel che manca è una volontà comune di tutti i sindacati europei di condurre la lotta contro l'offensiva antisociale. Noi dobbiamo assumerci la nostra parte di responsabilità.
La Svizzera non è isolata. La situazione europea come si può ripercuotere sul nostro paese?
Siamo in una situazione privilegiata ma non dobbiamo illuderci. Perché se questa politica di smantellamento sociale, dopo aver fatto devastazioni nel sud dell'Europa, si estende al centro e al nord, subiremo le conseguenze della profonda recessione e del clima politico reazionario che essa comporterà e che è già oggi una triste realtà in molti paesi. È quindi anche nel nostro interesse impegnarci nel movimento sindacale europeo.

Pubblicato il

30.03.2012 01:30
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