Jackson, gli Usa e noi

La sentenza di assoluzione per mancanza di prove della popstar Michael Jackson dall’accusa di abusi sessuali su minori e da numerosi altri capi d’imputazione ha sorpreso tutti. Sia chi voleva una condanna esemplare, che anche nel dubbio della sua innocenza cacciasse dentro un personaggio fuori dagli schemi per far capire quali sono i veri valori di un’America che si vuole pura, quasi illibata; sia chi temeva, sulla scorta di un pregiudizio frettoloso sul sistema giudiziario e sulla società americani, una deriva giustizialista a tutela «di quanto di più prezioso abbiamo al mondo, i nostri figli», ma soprattutto di un’etica conservatrice che si vuole pervasiva. In effetti Jackson sembrava capitato male: nessun giurato nero (perché la popolazione di colore nell’area di Santa Maria dove abita la popstar è appena il 2 per cento) ma ben otto donne (così attente, si dice, a proteggere i bambini), eppoi un accusatore repubblicano in uno Stato, la California, che ha da poco tradito la lunga tradizione democratica per eleggere governatore il repubblicano Arnold Schwarzenegger, il giustiziere bianco per eccellenza. Ma soprattutto un’accusa di abusi sessuali nei confronti di minori che è il terreno sul quale i moralizzatori ad oltranza incontrano meno resistenze e dove la strada per un imputato è tutta in salita: a maggior ragione se, con il suo modo di essere e la sua vita fuori dagli schemi, si presta per dimostrare quanto la deviazione dalla retta via porti alla perdizione. Che Jackson sia stato assolto, malgrado comportamenti molto ambigui e certamente censurabili, rinfranca dunque non poco: perché a dispetto di un’élite politica, economica e mediatica spesso reazionaria, intollerante e oscurantista, quella stessa élite che altrettanto senza prove ha infilato gli Stati Uniti nell’avventura bellica dell’Iraq, la società americana, simbolicamente rappresentata nella giuria del processo Jackson, ha saputo dimostrarsi attenta ai valori del diritto, aperta alle ragioni di un personaggio sgradevole e scomodo, refrattaria alle campagne moralizzatrici: in poche parole perfettamente salda nei valori che devono reggere una società autenticamente aperta e liberale in uno Stato di diritto. Forse è da qui che si deve ricominciare a rapportarsi con gli Usa: da queste 12 persone qualunque di Santa Maria, così lontane dalla Washington di George Bush o dall’Atlanta della Cnn. Aver dubitato della loro intelligenza, della loro sensibilità, del loro senso di giustizia sulla scorta di un’immagine molto distorta che l’élite degli Usa dà del suo paese è stato ingiusto. In realtà Bush non è l’America, i suoi giannizzeri non sono gli americani: questo è quanto di buono ci lascia il processo Jackson. Per il resto, rimane una profonda tristezza nel vedere la parabola di un personaggio che non ha mai saputo confrontarsi con la realtà e che continua a vivere nel suo stanco sogno: criminale è chi non gli ha dato il permesso di crescere.

Pubblicato il

17.06.2005 00:30
Gianfranco Helbling