Italia: nuova fase del movimento operai

Sono passati 32 anni dal ’69, da quell’autunno caldo che riportò alla ribalta il movimento operaio e sindacale italiano, fuori dalle subalternità ai poteri forti, finalmente autonomo, libero da ogni cinghia di trasmissione. Ne sono passati 21 dalla sconfitta operaia e sindacale dell’80 alla Fiat che ha ribaltato i rapporti di forza nei posti di lavoro e nella società. Forse una terza fase si sta aprendo. Le premesse perché l’autunno alle porte sia caldo, anzi caldissimo, ci sono tutte: l’attacco ai (sopravvissuti) diritti dei lavoratori, un governo di destra determinato a chiudere la partita di classe su mandato della Confindustria, una ripresa di autonomia sindacale – di una parte del sindacato – e la comparsa sulla scena di nuove figure sociali, giovani lavoratori, flessibili e precari per forza ma consapevoli della propria condizione subalterna, quindi pronti a giocare la loro partita. Non da soli: i nuovi metalmeccanici sono gli stessi ragazzi che si battono contro la globalizzazione, in difesa dell’ambiente, insomma di un altro mondo che grazie a loro comincia a diventare possibile. Il segretario della Cgil, Sergio Cofferati, è tutt’altro che un estremista o un movimentista. È il dirigente sindacale che con più determinazione ha interpretato la stagione della «concertazione» e dunque della moderazione. Ma quella stagione è terminata, non certo grazie a un’autocritica sindacale bensì per volontà di un padronato liberista che grida di poter fare a meno di qualsiasi concertazione, mediazione, di qualsiasi sindacato autonomo dai poteri forti e da quelli politici. Sta qui, in questa consapevolezza, forse prima che nello scontro aperto nei Ds di cui parliamo nell’altro articolo di questa pagina, la ragione della levata di scudi di Cofferati contro il governo Berlusconi a cui promette una stagione di duro conflitto in difesa dei diritti individuali e collettivi dei lavoratori. Il segretario della Cgil rimodella la linea del suo sindacato, parla di liberismo arrivando ad aprire il confronto con quelle forze che contro esso si battono in Italia e nel mondo. È una novità di non poco conto, dopo la vistosa e miope assenza della maggioranza della Cgil dalle giornate di Genova, e libera forze e coscienze dentro il corpaccione anchilosato ma non ancora paralizzato del maggior sindacato italiano, che non potranno essere ridotte al silenzio quand’anche cambiassero la fase politica e sociale, gli avversari, i governi. A questa radicalizzazione almeno annunciata della Cgil hanno contribuito certamente gli attacchi concentrici allo Statuto dei lavoratori, in particolare all’articolo 18 che garantisce il reintegro in fabbrica o in ufficio dei lavoratori ingiustamente licenziati, cioè senza «giusta causa», e alle pensioni, e alla scuola pubblica. E al diritto di manifestare protesta e dissenso nelle strade, come minaccia Berlusconi dopo Genova e prima del vertice Nato a Pozzuoli e della Fao chissà dove. La critica di Cofferati non salva una parte della sinistra, del suo stesso partito incapace di fare una vera opposizione alle destre, ingabbiato da una «cultura di governo» che spinge a cercare inciuci e compromessi anche quando al governo c’è una coalizione liberista, razzista e fascista. Cinque anni di governo dell’Ulivo, invece di liberare forze e culture di sinistra sono serviti solo ad aprire la strada alla deregulation (e alla guerra), ingabbiando un sindacato che ora finalmente, e faticosamente, cerca di riprendere la sua strada. Ma alla svolta – parliamo del presente, non ci compromettiamo sul futuro – di Cofferati ha certamente contribuito la scelta coraggiosa della Fiom, guidata da Claudio Sabattini, di portare fino in fondo la battaglia per il rinnovo del contratto dei metalmeccanici, fino alla rottura con la linea suicida perché subalterna della Fim-Cisl e della Uilm. E l’autunno inizierà e si farà caldo proprio con le manifestazioni dei metalmeccanici della Cgil contro l’accordo separato siglato all’inizio dell’estate da Fim e Uilm con la Federmeccanica. La Cgil è sola in questa «battaglia di classe»? Certo, la rottura sindacale ha toccato il punto più alto da trent’anni. La Cisl e la Uil viaggiano su un altro treno, altri sono i macchinisti e i proprietari della locomotiva. Ma la Fiom, e con essa la Cgil se la svolta precongressuale non si ridurrà a un balletto di fine estate, ha dalla sua intere generazioni di lavoratori, quelli che non sono disposti a cedere i diritti e quelli che li pretendono. Quelli che il lavoro non hanno e quelli che non vogliono perderlo. I metalmeccanici della Fiom non saranno soli in piazza a manifestare per il contratto: con loro tornerà il popolo no global. Non per rendere una cortesia (la Fiom a Genova c’era, in massa e compatta), ma perché la lotta contro il liberismo è una sola.

Pubblicato il

07.09.2001 06:00
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