Iraq, la guerra è sempre possibile

La data fissata dall’Onu era quella dell’8 dicembre. Baghdad ha però annunciato che anticiperà al 7, cioè domani, la diffusione del documento, chiesto dalla risoluzione 1441 del consiglio di sicurezza. Da Saddam Hussein si esige un elenco delle armi di distruzione di massa in suo possesso o in progettazione. Dal rais di iracheno ci si può certo aspettare di tutto, ma fin dall’inizio di quest’ultima crisi ha dichiarato di non essere in possesso di alcun tipo di armi di questo genere. È difficile pensare che ora venga ad ammettere il contrario, a dirci di avere arsenali micidiali o di essere in procinto di costruire ordigni altamente letali. Per Baghdad, ed è ineccepibile, l’onere della prova sta a chi muove l’accusa. Per lui, gli ispettori dell’Onu sono là proprio per questo. Il fatto è però che per gli Stati Uniti i termini della questione sono totalmente rovesciati. Washington parte dall’assunto che l’Iraq possegga queste armi. Per l’Amministrazione Bush, Saddam Hussein non ha vie d’uscita: o ammette di possedere il terribile arsenale che gli viene attribuito, o bara e quindi va punito. Se gli ispettori dell’Onu non trovano queste armi non è perché non esistano, ma per il semplice motivo che sono state troppo ben nascoste. (Una convinzione questa, detto fra parentesi, che si può riscontrare anche in alcuni resoconti giornalistici, quando non essendo state trovate armi si sente – si legge – che l’ispezione si è «conclusa senza successo» ma questo non potrebbe invece essere un «successo»?) Il segretario alla difesa, Donald Rumsfeld nei giorni scorsi è stato quanto mai esplicito. Riferendosi all’8 dicembre, annunciato come il momento della verità, il numero uno del Pentagono ha ammonito Saddam Hussein avvisandolo che se non fornirà un elenco particolareggiato finirà in un mare di guai . E Bush ha rincarato la dose ammonendo che non tollererà “bugie” (altrui). La marcia di avvicinamento all’evento bellico è in pieno corso. I raid aerei nel nord e nel sud dell’Iraq sono ormai quotidiani. Si tratta di incursioni contrarie al diritto internazionale in quanto le famose no-fly-zones furono imposte da Usa, Gran Bretagna (e Francia, poi ritiratasi dall’avventura) e mai riconosciute dall’Onu. L’Iraq ha quindi il diritto di difendersi. E quando Kofi Annan ha ricordato che così facendo l’Iraq non viola affatto la risoluzione 1441 (come affermato dagli Stati Uniti), il solito Rumsfeld ha replicato che le opinioni di Annan «non sono quelle dell’Onu e nemmeno il centro di gravità del Consiglio di sicurezza». Gli ispettori rendono noto che il lavoro procede in modo soddisfacente? Prontamente, Bush replica che i segnali che vengono da Baghdad non sono «incoraggianti». Annan si affretta a smentirlo, ma per Washington, il segretario generale conta solo quando acconsente. E visto che l’opinione pubblica mondiale (quella americana compresa) non pare molto convinta che Saddam Hussein costituisca la gravissima minaccia alla pace mondiale che si vorrebbe, il fido Blair è corso a dare una mano, ma in modo quanto mai maldestro. Londra ha infatti pubblicato un documento sul regime di terrore instaurato dal dittatore iracheno, cosa di cui nessuno dubita. Ma l’uso strumentale del documento è stato subito stigmatizzato da Amnesty International e pare inutile ricordare che mai sono state dichiarate guerre per porre fine a regimi sanguinari, molti dei quali hanno goduto (godono?) del pieno sostegno anglo-americano. Anche se da più parti, comprese quelle dell’amministrazione americana, si ripete che la guerra «non è inevitabile», non si vede come possa essere scongiurata. È stato detto e ripetuto sino alla noia che essa risponde pienamente alle esigenze strategiche degli Stati Uniti, o, per meglio dire, dell’attuale classe dirigente statunitense. E non si tratta solo di controllo delle risorse petrolifere irachene. L’obiettivo è il consolidamento dell’egemonia statunitense su scala mondiale, tanto che molti commentatori stanno riportando un auge un termine che appariva desueto: imperialismo. Militarmente ormai tutto è pronto ed è molto difficile pensare che un tale dispiegamento di forze venga smantellato senza che se ne faccia uso: un’ipotesi del genere non rientra nella mentalità di chi l’ha progettato e attuato. Quando verranno lanciate le prime bombe? In Kosovo l’offensiva scattò subito dopo la partenza degli osservatori dell’Osce. Ora si avvicinano le feste natalizie ed probabile che gli ispettori si prendano un po’ di vacanza, e allora…

Pubblicato il

06.12.2002 03:00
Gaddo Melani