Iraq, è sempre anno zero

Ricordate Tony Blair? «Saddam Hussein è in grado di colpirci – cito a memoria – nel giro di 45 minuti». E George Bush che si impegnava a difendere lo stesso territorio americano, a suo dire direttamente minacciato, dal tiranno di Baghdad ? E il sempre fedele Colin Powell che dalla tribuna dell’Onu mostrava fotografie di inesistenti basi missilistiche irachene, di inesistenti laboratori mobili su camion, per armi chimiche e biologiche, e altre amenità del genere? Bugiardi, non si sa quanto coscienti, ma pur sempre bugiardi perché già allora si sapeva che non era vero, gli ispettori dell’Onu lo avevano detto e ridetto, ma i grandi bugiardi li tacciarono di incompetenti, ingenui. E fu la guerra. Guerra di cui si sa ancora poco, perché non sono noti i reali danni, l’entità delle distruzioni e niente si sa realmente delle vittime, militari e civili. Vittime dei bombardamenti, dall’aria e di terra, delle bombe a frammentazione che quando non esplodono si trasformano in mine, delle incursioni aeree “mirate” che causarono solo morti innocenti (su cinquanta missioni dirette a colpire maggiorenti del regime, denuncia Human Rights Watch non una centrò il bersaglio designato, ma tutte si abbatterono su civili!). Parlo di quelli iracheni, perché l’unica contabilità che viene tenuta è riservata alle forze degli occupanti, i morti, i feriti che contano sono solo i loro. E si tenga presente che nelle guerre moderne, le perdite militari sono appena il 10 per cento del totale. Guerra che continua, sotto altre forme e che potrebbe assumere aspetti ancora più devastanti di quelli attuali, con il gravissimo pericolo di incendiare l’intera regione. L’Iraq sotto occupazione è diviso per etnia e confessioni. Spartizione reale, ma alla quale per la prima volta è stata data una valenza politica con la creazione da parte americana del consiglio di governo transitorio, che risponde appunto a questi criteri. Una scelta dovuta all’inesistenza di un apparato politico pluralistico, ma che rischia di sfociare nel confronto fra le varie componenti, nonostante le reiterate affermazioni sull’unità nazionale. L’intesa raggiunta a inizio mese sulla costituzione provvisoria non deve trarre in inganno: il compromesso è stato reso possibile dal fatto che si tratta appunto di un testo provvisorio. E dalle pressioni americane. Ma i dissidi restano e, ironia della sorte, i maggiori pericoli per la stabilità del paese vengono proprio dai due gruppi che o hanno appoggiato gli americani o si sono dimostrati, sino a questo momento, i meno ostili e cioè i curdi e gli sciiti. La costituzione provvisoria riconosce ai curdi l’autonomia di cui godono sin dal 1991 e il diritto di mantenere una propria milizia armata. I curdi però intendono allargare il proprio territorio alla regione petrolifera di Kirkuk, dove numerose sono le minoranze turcomanna e araba. E forti sono le spinte al loro interno per una vera e propria secessione, sia pure inizialmente mascherata nella forma di uno Stato caratterizzato da un accentuato federalismo. Una prospettiva che allarma tanto la Siria quanto la Turchia, che temono di vedere insorgere le loro minoranze curde. La Turchia, in modo particolare, ha già lasciato intendere che è pronta a usare la forza. Il fatto poi che ai curdi sia riconosciuto il diritto di mantenere una forza armata propria, legittima le altre parti a fare altrettanto: i pericoli di ulteriori violenze sono più che evidenti. Dal canto loro gli sciiti, che sono la maggioranza nel paese e che per decenni sono stati oppressi da Saddam Hussein, oggi rivendicano un ruolo dirigente e al loro interno fortissime sono le spinte per l’instaurazione di una repubblica islamica. Costituzione provvisoria che non ha ancora risolto un problema centrale: quale istituzione, quali forze traghetteranno l’Iraq verso elezioni generali (quando ancora non si sa) allorché il 30 giugno vi sarà il passaggio di poteri dagli americani agli iracheni? E di quali reali poteri si tratterà visto che le forze occupanti rimarranno in Iraq? Nel frattempo, in attesa degli avvenimenti futuri, si può constatare come l’avventura bellica contro l’Iraq di Saddam Hussein abbia causato solo disastri. Una vittima tanto illustre quanto designata è stata l’Onu. L’organizzazione delle Nazioni Unite è stata relegata in un angolo per essere riesumata dagli stessi affossatori quando quest’ultimi si sono trovati in difficoltà. È così che Bush ha chiesto la mediazione dell’Onu per portare gli iracheni al temporaneo compromesso su costituzione ed elezioni. Un’Onu da usare a piacimento, a seconda delle necessità dell’Impero Usa. Un’Onu à la carte, in rovinosa perdita di prestigio, esautorata. Altra conseguenza di questa guerra, che si voleva contro il terrorismo, è stata quella di alimentarlo. Che sarebbe andata in questo modo lo si sapeva già un anno fa. “Voi uccidete le nostre donne, i nostri figli, noi uccidiamo i vostri”. Lo si è letto in una rivendicazione per la carneficina di Madrid. Non è detto che sia autentica, autentici sono però l’odio, la sete di vendetta che traspaiono. Terrorismo e fondamentalismo: un fondamentalismo che permea anche l’inquilino della Casa Bianca. George Dabliu Bush è convinto di stare conducendo una crociata contro il Male. Male inteso in senso religioso, quale antagonista concreto, del Bene. «Noi siamo investiti di verità dalle quali mai ci discosteremo, il male è una realtà e dobbiamo combatterlo (…). Tutti gli americani sono minacciati e molti si sono accorti che nella tragedia, proprio nella tragedia, Dio ci è vicino». Così Bush nel discorso sullo Stato dell’Unione di due anni fa. Ma una guerra contro il Male può diventare una guerra infinita, ha scritto il Washington Post chiedendosi dove vuole giungere il presidente. Quando ci si lancia in operazioni belliche senza però avere prima studiato la strategia per uscirne, l’unica strada resta quella di passare a un nuovo campo di battaglia. Guerra infinita? Pulsioni religiose e precisi disegni egemonici che ben sappiamo sapersi bene accompagnare: così il controllo del Golfo, dei giacimenti e delle rotte del petrolio, dal Medio Oriente al Mar Caspio, saranno diventati la vittoria del Bene, alla maggior gloria del Signore. Una visione speculare a quella che hanno persone quali Bin Laden. Sotto quest’ottica, la sconfitta di George Dabliu Bush nelle elezioni di novembre è più che auspicabile.

Pubblicato il

19.03.2004 03:00
Gaddo Melani