Ipocrisie, paradossi e non-senso

Si sfornano sempre più spesso paradossi, politici ed economici, che «espongono alla realtà» (diceva Dürrenmatt). Si sfornano sempre più non-senso e si sa, (e non è un gioco di parole) che un senso ha sempre più senso quanto più si avvicina al non-senso.


Industriali e banchieri ticinesi tutti a sostenere e a far votare, anche con elargizioni di mezzi, il cosiddetto decreto Morisoli. I primi perché «una prerogativa essenziale è quella di avere finanze sane» (sottinteso: pagare meno imposte). I secondi per «un principio sacrosanto: spendere i soldi che abbiamo, non quelli che non abbiamo» (sottinteso: noi facciamo il contrario, ma lo Stato non deve). Quindi: pareggio del conto economico entro la fine del 2025. Non passa un mese che, gli uni e gli altri, sono lì a pretendere i soldi da governo federale e cantonale per fronteggiare con urgenza una nuova ondata pandemica e le conseguenze della guerra in Ucraina. Con una giustificazione, tanto ipocrita quanto ricattatoria: «Altrimenti la conseguenza in termini di perdita di posti di lavoro sarebbe molto dolorosa». Il paradosso sta nella macroscopica contraddizione, ma anche nel dover accorgersi di aver dimenticato la società che non è un’astrazione teorica o un bilancio contabile-statale, ma una realtà immersa nella storia.


Ritorna l’infinito discorso dei costi della salute, che aumentano, e dei freni che non si trovano. Ci si accorge, in sincronia assurda, che le spese militari (spese per la morte) non aumentano come dovrebbero aumentare. I costi per la salute corrispondono a una realtà: la salute e quanto permette l’accesso alle cure e alla continuità del-la vita. Le spese militari si fondano su un’ipotesi: quanto di mezzi militari servirebbe a difenderci da un invasore. L’aspetto paradossale sta nel mettere a confronto la percentuale di prodotto interno lordo desinato alla “salute” (11,8 per cento) e l’esigua percentuale che si porta via l’esercito (1 per cento)... per giustificare un improrogabile aumento della spesa militare. Subito concesso. Un non-senso che dà senso a un interrogativo inevitabile: contano più la salute e la vita, qui e adesso, e i maggiori  investimenti e costi che comportano per assicurarle e mantenerle o l’armamentario militare per salvarci dall’ipotetica invasione futura? Demagogico, si dirà.


Prendono il volo i prezzi della benzina, del gasolio, dell’elettricità e i bilanci familiari sono sotto pressione. Chi esamina l’evoluzione dell’offerta e della domanda o il ricorso allo stoccaggio esistente, si accorge che qualcosa non quadra o che la guerra in Ucraina è pretesto per guadagnare di più. Spirando già aria di elezioni federali, ecco che la destra con l’immancabile partito della retorica del terrore profittevole (Udc) o quello del meno Stato (liberisti) monopolizzano le Camere per chiedere la riduzione delle tasse sui carburanti, deduzioni fiscali per le imprese, singolari sostegni finanziari alle imprese elettriche.

 

La sinistra chiede invece interventi per le assicurazioni sociali, per i premi delle casse malati, per potenziare l’offerta di energie verdi. Qui i paradossi o i non-senso sono almeno due. Dapprima si fa di tutto per dire all’offerta (chi produce e fornisce  i carburanti, elettricità) che può continuare così, speculando, la domanda sarà garantita, anzi sostenuta e incrementata dalla stessa Confederazione.

 

Poi si dimentica la parte essenziale del problema: i superprofitti di produttori e distributori di energia, che speculano sulla domanda cosiddetta inelastica (si consuma ugualmente, nonostante l’aumento dei prezzi). Secondo la stessa Agenzia internazionale dell’energia i superprofitti del settore superano il 40 per cento (200 miliardi di franchi).

 

Altrove (Inghilterra, Portogallo, Spagna, Italia, Francia e ora anche la Commissione europea) si è già passati o perlomeno proposto “la tassazione temporanea dei profitti eccezionali” delle imprese del settore energetico. Per quanto riguarda l’elettricità prodotta dalle nostre aziende, perlopiù pubbliche o parapubbliche, il controllo e il blocco delle tariffe dovrebbe essere obbligatorio, come il controllo dei bilanci.


 

Pubblicato il

15.06.2022 10:54
Silvano Toppi