Invisibili ma necessari, come vent'anni fa

La condizione degli stranieri senza diritti non è cambiata molto. L'esperienza di alcune città laboratori solidali contro sfruttamento e precarietà

Il 25 aprile 2001, esattamente 20 anni fa, i sans papiers sono entrati per la prima volta nell’agenda politica elvetica. Tutto è cominciato con l’occupazione di una chiesa a Losanna, ispirata da forme di protesta simili avvenute in Francia nello stesso periodo. Da Losanna la protesta si è poi spostata in altre città e da quel momento i sans papiers sono diventati un soggetto politico scomodo. La loro richiesta era semplice: chiedevano di essere regolarizzati. La solidarietà in questi anni nei loro confronti non è mancata. Tuttavia, la loro condizione di fondo non è cambiata: sono molto richiesti come forza lavoro, come braccia, ma non hanno il pieno diritto di esistere all’interno della società svizzera.

 

Un esercito silenzioso

Sono tante le persone che vivono e lavorano nelle nostre città senza documenti. Per la Confederazione il loro numero è compreso tra le 58.000 e le 105.000 unità. Potrebbero essere anche 250.000 per la piattaforma nazionale sans papier. Secondo le autorità federali, e parte della popolazione svizzera, si tratta di persone che hanno violato la legge sugli stranieri. Lo stato di bisogno, il livello di integrazione che molti di loro hanno raggiunto e il contributo essenziale che forniscono alla società sembrano non essere considerati, se non in pochi casi specifici. Il Consiglio federale ha respinto recentemente qualsiasi ipotesi di regolarizzazione collettiva. Il sindacato Unia, insieme ad altre organizzazioni, è da anni impegnato nella battaglia a favore dei sans papier e, recentemente, ha pubblicato un dossier in diverse lingue che illustra i diritti delle persone che vivono in Svizzera senza documenti e i servizi a loro dedicati.

 

Le donne

Molti sans papier sono donne. Per molte di loro questa situazione può diventare un incubo. Non sono mancati infatti in questi anni casi di donne senza documenti che hanno subito violenza domestica senza poter denunciare il fatto alla polizia. Le donne di Unia sono consapevoli di questa situazione e anche per questo continuano a sostenere una regolarizzazione di massa delle e dei sans papiers. Per Marie Saulnier Bloch, segretaria nazionale Unia per la migrazione (si veda il dossier), «è fondamentale che le lotte e le rivendicazioni femministe includano anche le sans papiers. Purtroppo, siamo consapevoli che al momento non ci sono i numeri per raggiungere il nostro obiettivo. La recente presa di posizione del governo federale lo conferma, ma d’altra parte lascia anche margini di manovra alle autorità cantonali o cittadine. Questo non è da sottovalutare». Alcune città svizzere hanno cominciato a occuparsi seriamente del tema e sono diventati dei laboratori solidali che dovrebbero fare scuola.

 

Operazione papyrus

A Ginevra il problema della regolarizzazione dei sans papier è stato affrontato di petto. Grazie all’operazione papyrus, in cui è stato coinvolto direttamente tutto il fronte sindacale cittadino con servizi di assistenza dedicati, negli scorsi anni si è potuti arrivare alla regolarizzazione di centinaia di persone. Per Saulnier, si è trattato di un buon esempio «di regolarizzazione individuale di massa». Ogni singola persona, oppure ogni famiglia, ha dovuto infatti depositare un dossier e richiedere una regolarizzazione del soggiorno dimostrando, tra le altre cose, di aver raggiunto un buon livello di integrazione, di aver lavorato regolarmente e di essere domiciliato da anni nel cantone senza interruzioni. Questa possibilità di regolarizzazione è prevista anche dalla legge federale, ma i criteri troppo stringenti rendono molto rischioso depositare domande. A Ginevra hanno risolto il tutto con un po’ di pragmatismo, ovvero ammorbidendo notevolmente i criteri per accedere alla regolarizzazione.

 

Le city cards

Un'altra strada che stanno considerando alcune città elvetiche è quella delle cosiddette city cards, ovvero documenti di riconoscimento cittadini per tutta la popolazione che permettono, anche a chi non possiede il permesso di soggiorno, di ovviare ai controlli delle autorità di polizia e di usufruire di servizi di diversa natura. Si tratta insomma di una forma di cittadinanza urbana che, pur non risolvendo tutti i problemi, alleggerisce la situazione di migliaia di persone. La città di Zurigo è l’apripista in questo senso: in primavera si dovrà votare a favore dell’introduzione della Züri City Card (zuericitycard.ch), o meglio, di un credito per metterne a punto la realizzazione. Sarah Bonavia, una delle tante volontarie che si battono da anni a favore di questo documento, è consapevole che non sarà facile ottenerlo: «dobbiamo puntare sulla solidarietà, ma anche far capire che dalla Züri city card ne può trarre giovamento tutta la popolazione perché ha il merito di semplificare molti processi. Se in primavera il popolo confermerà quanto vuole il governo cittadino, Zurigo diventerebbe la prima città in Europa ad avere una carta del genere. New York e altre città nordamericane hanno dimostrato che funziona come strumento solidale e innovativo».

 

Una rete mondiale

La piattaforma Moving City raccoglie molte delle città del mondo che hanno attivato politiche solidali in materia migratoria. Zurigo è addirittura tra le 28 città scelte come caso privilegiato di analisi proprio perché intende introdurre una City Card per facilitare la vita dei sans papiers. Le altre città svizzere menzionate dalla piattaforma sono Berna e San Gallo. Per saperne di più occorre visitare il sito in tedesco, inglese o greco: https://moving-cities.eu/de

 

Pubblicato il

21.12.2021 13:27
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