L'intervista

di

red

Pressioni sul posto di lavoro, stress, necessità di conciliare vita professionale e familiare e oltretutto percependo salari bassi. Questa è la situazione che vivono molte donne in Svizzera. La presidente nazionale di Unia Vania Alleva in questa intervista illustra le rivendicazioni che il più grande sindacato del paese porta avanti nel quadro della mobilitazione che sfocerà il 14 giugno prossimo in un nuovo sciopero delle donne. E spiega pure i benefici che gli uomini trarrebbero dalla parità.

Presidente Alleva, cosa si aspetta dal 2023?
Sarà sicuramente un anno impegnativo. Soprattutto con la mobilitazione per lo sciopero delle donne. Mi rallegro di lavorare e collaborare con molte e molti militanti sindacali.


Sono trascorsi meno di quattro anni dall’ultimo storico sciopero del 2019. Per ottenere progressi sul piano della parità le donne saranno presto costrette a scendere nelle piazze ogni anno?
Dovremo continuare a lavorare fintanto che non sarà raggiunta la parità. La pressione esercitata dalle piazze e nelle imprese è estremamente importante. Al momento, le cose stanno andando indietro invece che in avanti. Ecco perché il  richiamo allo sciopero delle donne del 2023 è ancora “rispetto, più salario, più tempo”.


Le stesse richieste del 2019…
Sì, perché invece di avanzare si sta arretrando: in termini di salari, di pensioni e di ripartizione del lavoro di cura. Visto sull’intero arco della vita lavorativa, il reddito delle donne è ancora inferiore del 43,2% rispetto a quello degli uomini. E dal 2016 il divario salariale è tornato a crescere. Si assiste inoltre a una stagnazione dei salari nei settori a prevalenza femminile. E ancora: le donne percepiscono rendite pensionistiche mediamente inferiori di un terzo di quelle degli uomini. Per quanto riguarda la ripartizione del lavoro retribuito e di quello non retribuito, durante la pandemia abbiamo visto chiaramente che sono state soprattutto le donne a doversi occupare della didattica a distanza e della cura dei bambini. Tradotto in franchi, il valore del lavoro non retribuito svolto principalmente dalle donne ammonta a 315 miliardi. È inoltre importante sottolineare che quando parliamo di parità, non parliamo solo di donne, ma di una società più equa e sociale, che rappresenta una rivendicazione storica del movimento sindacale.


Le organizzazioni femministe hanno già iniziato a pianificare la mobilitazione del 14 giugno 2023. E Unia come si sta preparando in vista di questo appuntamento?
Sosteniamo i movimenti femministi. Come sindacato, vogliamo concentrarci soprattutto nelle aziende in cui lavorano molte donne. Per le lavoratrici e i lavoratori dei rami professionali definiti essenziali che durante la pandemia hanno ricevuto tanti applausi non è migliorato nulla in termini di salari e condizioni di lavoro. Di qui il nostro impegno in favore delle donne attive nel commercio al dettaglio, nell’ambito delle cure o nell’industria orologiera. Saremo al fianco di tutte coloro che sono pronte ad azioni di sciopero nelle loro aziende.  


Nel commercio al dettaglio lavorano in maggioranza donne. Molte di loro, nonostante il buon andamento degli affari, si ritrovano però con meno soldi in tasca. Come giudica la situazione?
È deludente. Perché la grande distribuzione allo stesso tempo aumenta i prezzi e cerca disperatamente lavoratori qualificati! È dunque incomprensibile che i salari non vengano interamente adeguati al rincaro. Un discorso simile si può fare anche per l’industria chimica: si pensi a Roche, che ha deciso solo aumenti salariali individuali.


In altri settori i sindacati sono riusciti a ottenere dei successi?
Nel settore alberghiero e della ristorazione e in quello dell’orologeria abbiamo per esempio ottenuto una piena compensazione dell’inflazione. Le trattative salariali non sono ancora tutte concluse, ma nel complesso avremo un aumento salariale del 2,5%. Non è male, ma rimane insufficiente. Per molti lavoratori e lavoratrici l’inflazione e l’esplosione dei premi dell’assicurazione malattie saranno dolorose. Ora è necessario un minimo di 4.500 franchi al mese per i lavoratori non qualificati e di 5.000 franchi per i lavoratori con formazione. È inoltre importante che la compensazione automatica dell’inflazione venga inserita in tutti i contratti collettivi di lavoro. È stato decisivo indicare una rotta già la scorsa primavera alla luce del processo inflazionistico all’orizzonte, quando abbiamo rivendicato delle misure immediate per compensare il rincaro. Uscivamo da un decennio senza inflazione e molti datori di lavoro non erano disposti a negoziare seriamente gli aumenti salariali. Questo ha un impatto ancora oggi in quei settori in cui non è stata compensata nemmeno l’inflazione. Pertanto, l’aumento dei salari minimi rimarrà una rivendicazione centrale nel 2023.


Dolori destinati a persistere fino all’età di pensionamento visto che le donne in media ricevono ancora un terzo di pensione in meno rispetto agli uomini e ora devono oltretutto lavorare più a lungo. Cosa va fatto dopo il sì alla Riforma AVS 21?
C’è rammarico per la sconfitta di misura che abbiamo subito nella votazione del 25 settembre [AVS 21 è stata approvata dalla maggioranza del popolo con uno scarto di poco più di 30.000 voti, ndr]. Soprattutto per le donne colpite, che già percepiscono salari e rendite pensionistiche più basse e che ora devono pure lavorare un anno in più. Ad aver prodotto questa situazione sono state soprattutto persone con redditi elevati e in maggioranza uomini. Molti fautori della riforma hanno riconosciuto l’esistenza della discriminazione, ritenendo però che AVS 21 non fosse il contesto giusto per eliminarla. Semplicemente grottesco.
Ma il vero scandalo è il comportamento dei politici borghesi che prima del voto sostenevano che la discriminazione pensionistica nei confronti delle donne dovrebbe essere corretta nell’ambito della revisione della Legge sulla previdenza professionale. Ma le proposte attualmente in discussione in Parlamento dimostrano chiaramente che quelle erano solo vane promesse. I politici borghesi vogliono realizzare una riforma del secondo pilastro a spese delle persone con bassi redditi, quindi soprattutto delle donne. Seguiremo con attenzione l’evolversi della discussione. E se il Parlamento non correggerà il tiro, lanceremo il referendum. Come sindacati abbiamo poi anche una soluzione pronta per ottenere un aumento immediato delle pensioni dell’8,3%: con una tredicesima rendita Avs, oggetto di una nostra iniziativa popolare.


Le donne hanno pensioni più basse anche perché spesso lavorano part-time per occuparsi dei figli o di altre persone a carico.
Questo lavoro part-time forzato da parte delle donne ha due cause. Da un lato, vi sono le difficoltà nel conciliare vita familiare e professionale. Ma dall’altro vi sono anche casi in cui il tempo parziale è una scelta obbligata a causa delle pressioni e del forte stress che fanno ammalare. Si pensi per esempio al settore delle cure, dove molti sono di fatto costretti a ridursi il carico di lavoro a proprie spese.


Una situazione particolarmente drammatica?
Ogni mese 300 infermieri abbandonano la loro professione. Eppure l’iniziativa per cure infermieristiche forti [accolta dal popolo nel novembre 2021, ndr] non è ancora attuata. Serve urgentemente migliorare le condizioni di lavoro. E la riduzione dell’orario di lavoro ne è una parte importante. Ciò migliorerebbe anche la conciliabilità tra famiglia e lavoro. L’Austria ha per esempio già introdotto una riduzione dell’orario di lavoro per le professioni infermieristiche e sociali.


E in Svizzera?
L’ospedale di Wetzikon ha dato l’esempio: gli infermieri nei reparti con turni lavorano adesso 38 ore a settimana, senza alcuna variazione di stipendio. Questo esempio deve fare scuola. Nelle trattative per il contratto collettivo dell’industria orologiera, rivendichiamo una settimana di 36 ore, con la stessa retribuzione, gli stessi ritmi di lavoro e senza riduzioni del personale. La riduzione dell’orario di lavoro sarà una questione centrale in tutte le trattative contrattuali. La riduzione dell’orario di lavoro è anche finanziabile. Tra il 2015 e il 2020, la produttività è aumentata di quasi l’8%, mentre i salari reali sono aumentati solo di circa il 2,5%. C’è insomma abbastanza spazio per una ridistribuzione attraverso un aumento del tempo libero.


Tuttavia, le proposte della destra economica vanno in una direzione completamente diversa.
Ci troviamo di fronte a numerose proposte parlamentari in favore di una deregolamentazione dell’orario di lavoro da far rizzare i capelli. Lo si è visto bene durante le trattative sul nuovo Contratto nazionale mantello dell’edilizia in cui gli impresari costruttori volevano portare l’orario di lavoro settimanale a 58 ore. Fortunatamente, siamo riusciti a evitarlo. Ma oltre a bloccare progetti simili, è anche importante passare all’offensiva.


Quali offensive sta pianificando Unia per il 2023?
Oltre alla parità e alla riduzione dell’orario di lavoro, che vogliamo promuovere con lo sciopero delle donne, saranno centrali nel contesto delle importanti trattative contrattuali nell’artigianato, nell’industria orologiera e nell’industria meccanica, elettrica e metallurgica anche gli aumenti dei salari minimi. E con una 13esima rendita Avs vogliamo fare un passo in direzione di rendite di sussistenza.

Pubblicato il 

25.01.23
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