Integrazione fra la laicità dello Stato e le diverse religioni

Il risveglio di interesse per le religioni che caratterizza questo inizio di millennio ha colto quasi tutti di sorpresa. I motivi possono essere diversi, come diverse sono le forme che assume. Innanzitutto, come ricorda Habermas, non va dimenticato che le grandi religioni sono all’origine dello sviluppo delle civiltà e, con esse, della stessa ragione, quindi hanno radici profonde. In secondo luogo i dubbi e le paure legate allo sviluppo scientifico da una parte e ai cambiamenti sconvolgenti indotti dal progresso tecnologico e dalla globalizzazione dall’altra possono indurre a cercare un rifugio – convinto, superficiale, esasperato, fanatico, integralista che sia – nelle certezze e nei valori che le religioni offrono. Ma come deve comportarsi lo Stato laico di fronte a questo revival? Jürgen Habermas (Tages Anzeiger del 9 settembre) e Giuliano Amato (La Repubblica del 31 agosto) danno una risposta interessante e per molti versi nuova e simile. Per Habermas (che sul tema ha scritto un libro intitolato “Zwischen Naturalismus und Religion”) le regole definite dalla Costituzione (e dalle leggi) di uno Stato liberale, quindi ideologicamente neutrale, sono legittime solo se sono comprensibili da parte di tutti sulla base di ragioni imparziali e se possono essere giustificate allo stesso modo (indipendentemente dal fatto che siano condivise) nei confronti di cittadini credenti di fedi diverse o non credenti. Poi deve essere costruito un clima di riconoscimento reciproco basato sulla «volontà di ascoltare gli altri» anche qualora i cittadini religiosi fondassero le proprie ragioni su argomenti religiosi nel caso in cui non sapessero tradurli in termini laici. Altrimenti si arrischia di tagliar fuori dal dibattito pubblico potenziali risorse per affrontare i molti nuovi problemi dell’uomo, quelli per i quali non possiamo guardare all’esperienza del passato. D’altronde lo Stato costituzionale è nato anche per rendere possibile un presenza pluralistica pacifica delle religioni. Tuttavia un limite deve essere posto verso quei raggruppamenti religiosi di qualsiasi fede che assumono atteggiamenti fondamentalisti, che non sono pronti, né interessati ad accettare le Costituzioni basate sul pluralismo. Verso costoro non deve esserci tolleranza. Amato definisce Stato laico “alla francese” quello Stato che attribuisce a tutti i suoi cittadini gli stessi diritti a prescindere dalla loro appartenenza religiosa e che pretende da tutti lo stesso riconoscimento nei principi e nei valori di una Costituzione e di leggi definite nelle sedi istituzionali a ciò legittimate. Poi le religioni appartengono agli interessi privati dei cittadini e perciò vengono estraniate dalla sfera pubblica. Una estraniazione che Amato riconduce agli anni nei quali la laicità dello Stato doveva affermarsi contro il confessionalismo, contro la religione di Stato. Oggi, sostiene Amato «le identità religiose tendono ad entrare con forza nella sfera pubblica», per la problematicità delle nuove questioni (bioetica ad esempio), per gli intrecci tra sfera pubblica e privata (scuola, sanità, morte…) e per i possibili conflitti tra le religioni che non si risolvono emarginandole nella sfera privata. A questo punto Amato chiede un «aggiornamento della nozione stessa di laicità» nel senso di «apertura critica al confronto con le religioni e i loro valori e tra le religioni alla ricerca dei principi in cui tutte e tutti si possono riconoscere». Questo se i due fronti (laico e religioso) sono disposti a ridiscutere i propri “assoluti”. Da una parte, ad esempio, la libertà senza limiti della scienza, il diritto totale di poter disporre di sé, vita compresa, dall’altra il riconoscimento che le “verità di fede” non possono essere imposte, ma devono entrare nella coscienza di chi le fa proprie e non coartare quelle degli altri. Concludendo Amato afferma «tutti dobbiamo essere laici (nel senso del rispetto delle regole democratiche, ndr) e tutti, per esserlo, dobbiamo misurarci con i valori degli altri, religiosi e non religiosi». Una visione, quella di Habermas e di Amato che possiamo ricondurre all’ottimismo della volontà. Una visione che tuttavia contrasta con il pessimismo della ragione alimentato dai fondamentalismi (che non sono solo quelli islamici), da chi usa la religione per seminare odio (ma «i profeti dell’odio sono anche in Occidente», Bernardo Valli), di chi usa la religione per discriminare le persone in base al concetto di “peccato” (nell’ambito sessuale piuttosto che in quello economico), di chi usa la religione come arma per conquistare il potere e gestirlo in modo immorale, di chi «intreccia alleanze politico-culturali tra big businnes e fondamentalismo cristiano» (Guido Viale). Ma che la lotta per un mondo di pace e di giustizia non sia una lotta facile non è una novità.

Pubblicato il

23.09.2005 15:00
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