Inglese o non inglese

Tutti sono d’accordo sul fatto che sia necessario conoscere le lingue. Quali debbano essere quelle da privilegiare nell’insegnamento è invece materia di accese discussioni. Sul primo piatto della bilancia ci sono le ragioni dell’economia e del mondo del lavoro, che indicano nell’inglese il veicolo indispensabile della comunicazione (e dell’economia) senza frontiere. Sul secondo piatto, invece, le recenti discussioni pongono la coesione e la solidarietà confederale, valori che indicano come prioritario l’insegnamento di una seconda lingua nazionale. La questione diventa particolarmente delicata nelle regioni linguistiche minoritarie, dove l’inglese si trova in concorrenza non con una ma con due lingue confederali e ad essere veramente penalizzato è l’insegnamento della lingua materna. Per fortuna non sta a me decidere. Vorrei tuttavia evidenziare alcuni aspetti di carattere storico e spazzare il campo da qualche luogo comune. Una lingua franca per la comunicazione su vasta scala è sempre esistita. I Romani, con le loro conquiste, hanno affermato in tutto il territorio del loro impero la lingua latina. Già in quel caso si trattava più della lingua del sesterzio che non di quella di Cicerone e di Virgilio. I Romani infatti non imponevano la loro cultura con la forza, ma imponevano il loro dominio politico e commerciale. Adeguarsi e parlare latino non era quindi obbligatorio ma risultava estremamente vantaggioso. Il dominio del latino si è rafforzato con la cristianizzazione dell’Europa ed è restato incontrastato per tutto il medioevo. Non è sorprendente infatti incontrare personaggi come San Tommaso d’Aquino (1225-1274), che studia a Montecassino e poi a Napoli, in seguito si trasferisce a Colonia per approfondire le sue conoscenze teologiche e filosofiche, per poi insegnare a Parigi. Il tutto sempre in latino. Anche il francese ha avuto il suo periodo di gloria. Già a partire dalla conquista normanna dell’Inghilterra, la lingua in uso nell’alta società è il francese (ironia della storia) e lo sarà fino alla guerra dei cento anni. Dal XVIII secolo il francese è l’incontrastata lingua della diplomazia. In tutte le corti europee del Settecento il francese è di rigore. È in quest’epoca di grande prestigio politico e intellettuale dell’idioma transalpino che si impone l’introduzione del francese nelle nostre scuole (e certo non per solidarietà con i romandi). A partire dalla fine della prima guerra mondiale è l’inglese ad imporsi come lingua franca planetaria, sostenuta dalla potenza economica, militare e politica degli Stati uniti. Oggi Internet, la televisione e l’economia globalizzata attribuiscono all’inglese il ruolo di dominio assoluto.

Pubblicato il

04.05.2001 14:00
Roberto Ruegger