«Se non ci sono più infortuni sui cantieri, è solo una questione di fortuna. Perché negli ultimi anni il livello di sicurezza si è notevolmente abbassato, per usare un eufemismo». Parola di Carlo*, profondo conoscitore dell’edilizia cantonale grazie all’esperienza professionale maturata in quarant’anni di lavoro. Carlo ha scritto ad area dopo aver letto l’articolo relativo agli infortuni gravi e letali sui posti di lavoro, «L’inaccettabile morte al lavoro». Lo abbiamo incontrato. «Ho lavorato in grandi cantieri ticinesi, sempre in qualità di capocantiere per imprese diverse. In quarant’anni, ho ricevuto la visita degli ispettori della Suva una sola volta. E ne ero stato informato due giorni prima. Un controllo assolutamente inutile» spiega indignato Carlo. Ai suoi occhi, la Suva ha una pesante responsabilità sul tema prevenzione della sicurezza. «Ci vogliono molti più controlli e, soprattutto, non preavvisati. Alla Suva è stato delegato questo importante compito, ma non lo assolve come dovrebbe». Sebbene concorda che due soli funzionari della Suva siano insufficienti per controllare i numerosi cantieri attivi sul territorio cantonale, non si giustifica la latitanza dei controlli. Ma vi è un altro problema agli occhi di Carlo. La vera prevenzione della sicurezza passa forzatamente dalla capacità di sanzionare in modo efficace i trasgressori. «Il ragionamento è semplice. L’impresa fa due conti su quanto gli convenga rispettare le norme e quanto dovrebbe pagare nel remoto caso fosse controllata. L’unica cosa che capiscono è il portafoglio. E di cantieri chiusi per mancato rispetto delle norme di sicurezza, in quarant’anni non ne ho mai sentiti». Tanto, poi, se qualcosa va male, la responsabilità la si scarica sul capocantiere, aggiungiamo noi. «È vero. Personalmente, ho avuto la fortuna di lavorare a lungo con impresari intelligenti. Quando spiegavo loro perché mi opponevo a certe pratiche, insensate anche dal punto di vista finanziario, seppur inizialmente litigavamo, poi finivano per darmi ragione. Oggi però la situazione si è talmente deteriorata, che la logica nelle imprese non ha più diritto di parola. Se provi a dir qualcosa, ti fanno fuori». Carlo, al pari di molti suoi colleghi capicantiere, punta il dito contro i committenti. «Gli stretti tempi di consegna impongono dei ritmi assurdi. Di recente, ho lavorato in un cantiere dove abbiamo costruito una trentina di appartamenti in sette mesi. Solo poco tempo fa, li avremmo realizzati in tre anni. Le lascio immaginare la qualità dell’opera, per non parlare della sicurezza. Il fatto che nessuno si sia fatto male, è pura fortuna». Carlo non accetta la giustificazione soventemente evocata della guerra dei prezzi. «Fare un’offerta sottocosto, può starci una volta. Ma se lo fai ripetutamente, la cosa non quadra. Vuol dire che in un modo o nell’altro, ci guadagni. Altrimenti fallisci». E qui si tocca un altro tasto dolente, denunciato dal sindacato ripetutamente negli ultimi anni. «Non è possibile fallire, lasciando scoperte paghe e oneri sociali, per poi riaprire come nulla fosse il giorno dopo con un altro nome, gli stessi macchinari e identiche maestranze». In definitiva, a far infuriare Carlo è l’omertà che ammorba l’intero settore. «Tutti lo sanno e nessuno dice nulla. Non c’è nessuna volontà politica di risolvere il problema. Sono arrivato alla conclusione che a tutti vada bene così».
* nome di fantasia
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