La mano invisibile

Tema dominante economico (che non è solo economico) è l’inflazione, o l’aumento generalizzato dei prezzi. Per due motivi. Se aumentano i prezzi di beni e servizi, cala la tua possibilità d’acquisto (potere d’acquisto) e corrono seri rischi non solo la tua stabilità economica e il tuo benessere, ma tutta l’economia perché le viene meno un motore: il consumo. Si presuppone che abbia strumenti per  calmare o frenare l’inflazione la Banca Nazionale con la politica monetaria. La quale (come si dice in gergo) fa da pompiere: spegne il fuoco rendendo più difficile e costoso il credito (aumento dei tassi di interesse), ciò che frena investimenti e consumi.


Preoccupazione che si accompagna ora all’inflazione (e può essere in parte una conseguenza del freno tirato dalla Banca Nazionale) è la stagflazione. Cioè stagnazione (rallentamento della crescita) con il permanere dell’inflazione. In termini concreti: se attualmente il tasso di inflazione è del 3,3 per cento e la crescita economica è dello 0,7 per cento, appare subito una disparità che non sembra positiva, come appunto non è positiva la stagflazione. C’è però di più: si dice che la crescita ha ancora tenuto per il consumo, quel motore essenziale dell’economia. Appare allora una sorta di cane che si mangia la coda perché frenando il consumo per spegnere l’inflazione si corrode la crescita. Appare però anche un paradosso sociale: si va proprio a colpire maggiormente chi già di per sé ha i soldi contati.


Ne deriva dunque una prima questione fondamentale: identificare le cause dell’aumento dei prezzi. La seconda: considerare il modo con cui si vuole farvi fronte (e impedire anche di creare “nuovi poveri”).
Una prima cosa risulta chiara: il rincaro attuale non è dovuto alla domanda (supponiamo a una richiesta esplosiva di beni ecc.), ma all’offerta (ai problemi di cui soffrono le imprese per riuscire a far fronte alla domanda sul mercato dei prodotti, conseguenza ancora sia della pandemia, sia della guerra, sia della rottura delle catene di approvvigionamento in energia, materie prime, prodotti semifiniti).

 

Una seconda cosa emerge altrettanto chiara: l’inasprimento continuo della politica monetaria (come sta avvenendo con gli aumenti progressivi dei tassi di interesse) aggrava la situazione economica nella misura in cui le imprese (sia industriali, agricole o di servizio, sia immobiliari) dovendo pagare interessi più elevati (costo del capitale) finiranno per peggiorare la situazione riversando i maggiori costi sui prezzi di vendita di beni e servizi e sulle pigioni. Con un’altra via d’uscita più subdola ma già in atto: comprimere i costi del lavoro, i salari e quindi penalizzando maggiormente il potere d’acquisto.
Il potere d’acquisto dipende dai prezzi ma anche dal reddito. L’aumento del reddito diventa una via obbligata se si tien presente che il mantenimento della crescita economica è attribuita principalmente al motore del consumo.

 

Spesso, in particolar modo nel Ticino, si è sbandierata e applicata la politica degli sgravi fiscali alle imprese e ai possidenti come incentivo e strumento competitivo dell’economia. Si potrebbe ora perlomeno suggerire, se si fosse economicamente logici e onesti, degli sgravi fiscali proporzionali all’aumento dei salari concessi. Si permetterebbe alle imprese di accrescere le rimunerazioni (potere d’acquisto e quindi domanda, crescita economica) senza diminuire la loro competitività, che è solitamente l’arma di ricatto per non concedere aumenti salariali.

Pubblicato il 

08.03.23
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