Una volta li chiamavano "raider", cioè razziatori, predoni, scalatori (in borsa). Poi sono stati definiti "squali della finanza". Ora sono diventati "cavallette". Qualche giornale benpensante preferisce adoperare ancora termini educati come "investitori" o "finanzieri" (eventualmente "d'assalto"). Cambiano i nomi, ma loro sono sempre gli stessi: sono i capitalisti che s'impossessano di un'impresa solida, senza debiti e dotata di riserve di liquidità possibilmente ampie, e la spolpano, le succhiano il sangue, magari la smembrano, e poi, dopo averne ricavato il massimo profitto possibile, l'abbandonano. E se non ci riescono al primo attacco, ci riprovano con un secondo o un terzo, magari passando la mano ad un altro di loro.

Non tutti i finanzieri, per fortuna, agiscono così. Alcuni sono, o sembrano, più cauti, forse benintenzionati, ma alla fine risultano essere sempre troppo sfortunati: gli affari non vanno come volevano e perciò vendono, smembrano, ristrutturano. Insomma, anche quando dicono di avere una strategia industriale, si disfano rapidamente dei loro acquisti e passano ad un'altra impresa. I primi esempi di finanzieri d'assalto in Svizzera risalgono agli anni Ottanta. Si chiamavano, per esempio, Werner K. Rey oppure Tito Tettamanti. Quest'ultimo è ancora in attività, e negli ultimi mesi si è dato da fare intorno alla Sig (materiali da imballaggio) ed alla casa editrice Jean Frey, sempre, com'è nel suo stile, con un occhio rivolto agli affari ed un altro alla politica ed alla ribalta mediatica.
L'ultimo esempio di attacco ripetuto dei finanzieri-cavallette è quello che si sta consumando ai danni della Saurer, le cui prime energiche ristrutturazioni negli anni Ottanta e Novanta vennero guidate proprio da personaggi – ma guarda un po' – come Tito Tettamanti. All'assemblea degli azionisti dello scorso 11 maggio pareva che la situazione si fosse calmata, ma nel giro di quattro mesi tutto è tornato ad essere incerto per questa impresa di Arbon (canton Turgovia), il cui nome rimane mitico nell'industria meccanica svizzera, anche se oggi occupa in patria appena 330 dei quasi 12 mila dipendenti a cui dà lavoro e la sua attività è limitata alla produzione di macchine tessili e di sistemi meccanici di trasmissione di potenza.
Il 14 luglio 2005 la società britannica Laxey Partners, un "hedge-fund" (fondo comune per investimenti speculativi), aveva acquistato il 7,6 per cento delle azioni Saurer. Tanto per capirsi, la Laxey era la stessa società che si era insinuata nel gruppo Swissmetal. In meno di un anno la sua partecipazione nel gruppo industriale di Arbon era salita al 28 per cento del capitale azionario. Che cosa volesse la Laxey lo si è capito subito: in primavera chiedeva una riduzione del capitale (con conseguenti rimborsi agli azionisti), che il consiglio d'amministrazione (Cda) della Saurer rifiutava di prendere in considerazione; poi, all'assemblea degli azionisti di quest'anno, il presidente del fondo speculativo, l'inglese Preston Rabl, faceva una doppia proposta: la distribuzione agli azionisti di un dividendo straordinario di 9.45 franchi per azione, invece di 1.80 franchi proposti dal Cda, e la sua elezione a membro dello stesso Cda.
L'assemblea eleggeva Rabl nel Cda, ma respingeva la sua proposta di far fuori le riserve dell'azienda. Un certo ruolo l'hanno avuto i lavoratori di Saurer, che per l'occasione avevano  organizzato un volantinaggio per mettere in guardia gli azionisti contro gli "squali", che vogliono soltanto «dissanguare finanziariamente le imprese». All'assemblea prendeva poi la parola Beda Moor, membro della direzione del settore industria del sindacato Unia, con un discorso breve ma efficace: alla Laxey manca una chiara e stabile strategia industriale, quindi ogni considerazione per il patrimonio dell'impresa e per il futuro dei lavoratori della Saurer.
Visto che il colpaccio d'incassare decine di milioni di franchi non era riuscito, il 29 agosto Preston Rabl chiedeva la convocazione di un'assemblea straordinaria per far destituire i membri del Cda che gli opponevano resistenza. Ancora una volta la Saurer ha dovuto difendersi come poteva, rifiutandosi di cedere ad una richiesta che comunque pochi giorni dopo, il 6 settembre, veniva ritirata. Il motivo era che, a dispetto delle precedenti dichiarazioni circa il proprio interesse verso Saurer «in una prospettiva di lungo termine», la Laxey s'era stancata e all'inizio di settembre aveva venduto la sua partecipazione azionaria alla Unaxis, incassando comunque un incremento di valore delle azioni per un'ottantina di milioni di franchi.
In apparenza una buona soluzione, perché la Unaxis è in pratica il vecchio gruppo tecnologico Bührle finito, qualche anno fa, in mano a due speculatori austriaci, Georg Stumpf e Ronny Pecik. Ma in realtà Saurer è caduta dalla padella nella brace, perché i due finanzieri viennesi hanno fatto della Unaxis un conglomerato industriale senza capo né coda, che si occupa di tutto. Insomma, uno strumento in mano a due "cavallette" che, con l'aiuto della Banca cantonale di Zurigo, hanno puntato soprattutto a farne crescere il valore delle azioni in borsa. L'acquisto del 24,1 per cento delle azioni Saurer, più le opzioni su un altro 26,1 per cento, darebbero il controllo assoluto (50,2 per cento) dell'impresa di Arbon al gruppo Unaxis, di cui fanno salire cifra d'affari e quotazione in borsa.
Stumpf e Pecik non hanno neppure nascosto le loro intenzioni speculative, lanciando l'obbligatoria offerta d'acquisto agli altri azionisti al prezzo minimo di mercato. Come dire: tenetevi pure le vostre quote, tanto a noi basta aver superato la soglia critica di un terzo e poter conquistare agevolmente la maggioranza, non per gestire l'impresa a lungo termine, ma per controllarla e replicare il meccanismo collaudato con Unaxis: far crescere il valore borsistico del gruppo per attirare i piccoli risparmiatori e guadagnarci a man bassa. Per l'industria elvetica è l'ora delle cavallette.

Il ruolo di Tito Tettamanti

Definire Tito Tettamanti finanziere d'assalto significa fargli torto. Lui si considera ancora peggio: un sovversivo. In un'intervista al Tages-Anzeiger del 18 aprile 2005, a una domanda sul suo modo sovversivo di procedere con le società nelle quali decideva d'intrufolarsi, rispose: «Sovversivo? Io? Lo sento molto volentieri. Ho sempre inteso tutta la mia vita quale rivoluzionario. Come disse Marx, sono i capitalisti i migliori rivoluzionari».
Naturalmente il finanziere si riferiva anche alle sue idee, alla sua attività di saggista e di filosofo dell'economia, al suo essere "visionario", come dicono nella Svizzera tedesca, cioè al suo sforzo di divulgare e mettere in pratica le sue concezioni politiche dell'economia e della società. Insomma, uno che ci crede; e che per giunta possiede i mezzi finanziari per tentare di mettere in pratica le sue idee.
Tutto questo, però, più in apparenza – cioè per i media e per l'opinione pubblica – che in realtà. Abituato a saltare come una cavalletta da un'industria all'altra, sul terreno concreto Tettamanti s'è comportato né meglio né peggio di qualsiasi altro "squalo" della finanza che agisce senza fare tante chiacchiere. Ancora una volta, è stato lui stesso a dirlo nella citata intervista: «Il periodo alla Saurer è stato per me molto interessante ed istruttivo. Ho imparato quanto sia difficile essere un industriale. L'ho fatto con passione; e posso dire a ragione di aver contribuito al salvataggio della Saurer. Ma la mia inclinazione naturale è un'altra: io sono un finanziere, e questa è l'attività che mi piace».
Viva la sincerità. Del resto, i suoi innumerevoli precedenti sono lì a dimostrare quali sono i metodi da lui applicati. Sulzer, Saurer, Rieter, sono soltanto alcuni dei nomi più famosi nel nutrito elenco di operazioni concepite da Tettamanti per guadagnare denaro o influenza. L'anno scorso, per esempio, la sua società d'investimenti Sterling, servendosi dell'impresa svizzera Sika, è riuscita ad entrare con oltre il 5 per cento nella multinazionale Sarna (polimeri). Più sensazione ha però fatto l'attacco della Sterling al gruppo Sig, alla cui assemblea generale nel marzo del 2005 chiese che venisse ceduta la produzione di bottiglie di plastica e che il presidente del consiglio d'amministrazione si dimettesse. Tettamanti perse quella battaglia in assemblea, ma il braccio di ferro è proseguito dietro le quinte e le tensioni sono ancora vive.
Altrettanto dura è la battaglia che Tettamanti ha condotto, e sembra adesso aver concluso, nel gruppo editoriale Jean Frey, il cui prodotto più interessante è il settimanale Weltwoche. Qui il finanziere ticinese è il maggiore azionista dal 2001. Vi era entrato con il preciso scopo di rimettere al suo posto il direttore del settimanale, Roger Köppel, un giornalista d'idee neoliberiste come le sue. Köppel era stato allontanato in seguito alla crisi aziendale (con cambio di proprietà) che aveva insediato Filippo Leutenegger, futuro consigliere nazionale del Plr, quale direttore generale del gruppo, e Martin Wagner quale presidente del consiglio d'amministrazione.
Questi due avevano concordato con il neodirettore del settimanale, Jürg Wildberger, una linea certamente liberale, ma aperta agli altri partiti borghesi a partire dall'Udc. Tettamanti sognava invece una Weltwoche ultraliberista, con un chiaro orientamento filocapitalista di destra. La redazione s'è subito spaccata e sono cominciate le tensioni e le lotte interne durate sino ad oggi. In breve, Wildberger s'è trovato in mezzo al fuoco incrociato dei suoi due vicedirettori attestati su posizioni contrapposte. Il primo a farne le spese è stato il capo della redazione "interni" del giornale, Markus Schär, che ha preferito dimettersi e passare al concorrente Facts. Ma il gruppo dei duri ha preso decisamente il sopravvento dopo che, a fine marzo di quest'anno, un colloquio di Tettamanti e Gerhard Isler (il secondo maggiore azionista) con Wildberger aveva fatto emergere l'incolmabile differenza di vedute tra i due proprietari e il direttore sull'orientamento del settimanale.
La sorpresa è arrivata in luglio, con l'annuncio che Roger Köppel, definito "figlio spirituale" di Tettamanti, sarebbe tornato non soltanto alla guida della Weltwoche, ma addirittura come proprietario al 60 per cento dell'intero gruppo Jean Frey. Ovviamente, tutti si sono chiesti come fosse possibile che questo Köppel avesse tanto denaro da investire in una tale operazione. La risposta sta in due circostanze. La prima, assolutamente visibile, è che a tirar le fila c'è il "burattinaio" Tettamanti, con i suoi soldi e la sua voglia di riportare su posizioni neoconservatrici la storica testata.
La seconda (meno trasparente, come del resto tutto quanto accade dentro ed attorno al gruppo Jeran Frey ed alla Weltwoche) è costituita dalle relazioni personali di Köppel. Pare che i soldi gli siano stati prestati dalla banca Swissfirst, diretta da Thomas Matter (sotto inchiesta per insider trading a danno di diverse casse pensioni aziendali), il cui padre è stato a lungo nel consiglio d'amministrazione della Ems-Chemie e viene considerato un amico di Christoph Blocher. E Blocher, si dice, per la festa di compleanno di Köppel pare sia persino andato apposta a Berlino (dove il giornalista nel frattempo lavorava presso Die Welt dell'editore tedesco Springer).
Ora a sentir ballare la poltrona sono Filippo Leutenegger e Martin Wagner. Chi partirà per primo?   

Pubblicato il 

29.09.06

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