In piazza contro i licenziamenti facili

Migliaia di francesi ai cortei di proteste contro la riforma del lavoro di Macron, che è però riuscito a dividere i sindacati

Prima giornata di mobilitazione contro la nuova riforma del lavoro, con 180 cortei in tutta la Francia, martedì 12. “È un successo per un inizio”, ha commentato Philippe Martinez, segretario della Cgt, l’organizzatore principale della protesta, assieme a Solidaires, Fsu e gli studenti dell’Unef.  

Il braccio di ferro non fa che cominciare. Per il governo e per il presidente Macron si inizia un periodo ad alto rischio: sul tavolo non c’è solo la riforma del codice del lavoro, destinata a modificare in profondità le relazioni tra padronato e dipendenti nel settore privato, ma seguiranno a ruota con le prime proposte già a fine mese una ristrutturazione complessiva del diritto ai sussidi di disoccupazione, una rifondazione della formazione professionale e, nel 2018, un’altra potenziale bomba sociale, la riforma del sistema pensionistico, che mira alla convergenza dei sistemi in vigore. Per non parlare della riforma fiscale, con un taglio alla patrimoniale, che fa dire all’opposizione che Macron è “il presidente dell’ingiustizia sociale” che impone una svolta di stampo liberista, “degna degli anni ’80”, secondo la socialista Martine Aubry.


Macron parte con un handicap: il crollo nei sondaggi dell’estate, che hanno trasformato il giovane presidente eletto a maggio su un’onda di speranza e in un clima di ritrovato ottimismo, nel più impopolare della Quinta Repubblica dopo i primi 100 giorni all’Eliseo. Difficoltà aggravate anche dall’ultima polemica verbale: “non cederò” nulla, ha detto Macron, “ai fannulloni, ai cinici e gli estremisti”, come ai “pessimisti”. Jean-Luc Mélenchon, il leader di France Insoumise arrivato quarto al primo turno delle presidenziali ma ora diventato il principale oppositore a Macron, ha subito invitato con pesante ironia “imbecilli, cinici, fannulloni, tutti in piazza il 12 e il 23 settembre”. Mélenchon ha dimenticato una data, il 21 settembre, altro giorno di protesta organizzato dalla Cgt, la vigilia della presentazione delle “ordinanze” della riforma del lavoro in Consiglio dei ministri. Difatti, con un cinismo che rimprovera agli avversari, Macron considera in privato di avere uno spazio di manovra anche grazie alle divisioni dell’opposizione: alla manifestazione del 12 settembre non hanno aderito le altre grandi organizzazioni sindacali, Cfdt e Force ouvrière (anche se alcune federazioni locali hanno disobbedito alla direzione e preso parte ai cortei), mentre è in atto una rivalità tra la Cgt e France Insoumise, che organizza il 23 settembre una marcia contro quello che Mélenchon definisce “un colpo di stato sociale”. Il Ps è nell’imbarazzo, si oppone alla nuova riforma del lavoro, ma deve far dimenticare la legge El Khomri, fortemente contestata nel 2016.


I sindacati arrivano divisi di fronte alle “ordinanze”, cioè l’iter parlamentare accelerato scelto dal governo per la riforma del lavoro. La Cfdt si è detta “delusa” dal testo, ma non partecipa alle manifestazioni. Force ouvrière, che era stata all’avanguardia della protesta contro la Loi Travail El Khomri l’anno scorso assieme alla Cgt, ha scelto di non manifestare, il segretario Jean-Claude Mailly sostiene di essere riuscito a modificare il testo di legge ed evitare il peggio pur mantenendo dei “punti fondamentali di disaccordo”. La Cgt rifiuta invece in blocco “una Loi Travail XXL”, che “mette fine al contratto di lavoro”. I leader sindacali si sono però incontrati all’inizio di settembre: «le analisi (sulla riforma) sono molto meno divergenti che ai tempi della legge El Khomri», afferma il sindacalista Fabrice Angei (la Cfdt aveva appoggiato la Loi Travail).   
La ministra del Lavoro, Muriel Pénicaud, assicura che «non ci sarà nessun passo indietro sociale» con la riforma e che l’obiettivo è «stimolare la voglia di assumere nelle imprese proteggendo al tempo stesso i dipendenti e sviluppando il dialogo sociale» con l’obiettivo di combattere la disoccupazione. Il metodo adottato è stato accolto con favore da quasi tutti i sindacati: la riforma era stata annunciata in campagna elettorale e ci sono stati una cinquantina di incontri con rappresentanti padronali e sindacali, che hanno portato alla redazione finale delle “ordinanze”, che entreranno in vigore a fine mese.


Il voto al parlamento senza discussione a causa dell’iter accelerato è contestato, ma è scontato grazie alla grande maggioranza di deputati della République en Marche (Rem), a cui dovrebbero aggiungersi i voti di parte della destra. Il Medef (principale organizzazione padronale) parla di “testo importante per le imprese”, in particolare per le piccole e medie. Difatti, il padronato ottiene molte soddisfazioni: un tetto agli indennizzi in caso di licenziamento, per avere meno incertezza (ma i sindacati ottengono in contropartita dei minimi e un aumento del 25% per tutti i casi); per le multinazionali, possibilità di licenziare per ragioni economiche tenendo conto solo dei risultati in Francia (e non nel mondo, come stabilisce attualmente la legge); contratti di missione non solo più nell’edilizia (“contratti kleenex” per i sindacati); per la piccola e media impresa possibilità di negoziare con delegati non iscritti al sindacato (fino a 50 dipendenti, il padronato e la destra chiedevano fino a 300); semplificazione della rappresentanza sindacale nelle imprese. I sindacati sono riusciti a conservare i contratti di categoria, sulla durata e numero dei contratti a termine, punto importante per limitare il precariato. La riforma Pénicaud non è la spallata al diritto del lavoro che sognava la parte più aggressiva del padronato. Ma non è neppure una modernizzazione innovativa delle relazioni sociali, la “flexi-sicurezza” scandinava e la cogestione sono ancora lontane. Le 5 “ordinanze”, con 36 misure più importanti trattate in circa 200 pagine di testo, sono destinate a introdurre in Francia una forte dose di contrattazione nelle relazioni tra parti sociali. La ministra del Lavoro, Muriel Pénicaud, parla di “scommessa” a favore del “dialogo” e della “fiducia”, per dare alle imprese “più flessibilità per adattarsi”. I sindacati citano i numerosi economisti che mettono in dubbio la correlazione tra maggiore flessibilità del lavoro e dei licenziamenti e aumento delle assunzioni.

Pubblicato il

13.09.2017 16:14
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