In nome del camoscio

Ignaro, nel suo placido ruminare quotidiano, il camoscio del Monte Generoso non sa di aver smosso le montagne dell’opinione pubblica ticinese. Per lui una singolar tenzone si protrae da mesi tra la legione dei suoi difensori e il Dipartimento del territorio che ne ha permesso la sua caccia dal 7 al 9 settembre, al di fuori della bandita. Singolare davvero perché mai come in questo caso una schiera tanto vasta e variegata si è mossa per una causa apparentemente modesta. Tredicimila firme in un mese per una petizione a difesa non di tutti i camosci del cantone ma di uno in particolare: quello del Monte Generoso. Il Gotha intellettuale, culturale, artistico e politico del Ticino ha compattato le fila in un coro d’indignazione contro una decisione del Governo stigmatizzata come “insensata”, “vergognosa”, “arrogante”, per citare alcuni degli aggettivi usati tra coloro che hanno firmato. Una levata di scudi partita da più parti e che per una volta ha trasceso i confini ideologici e gli steccati di destra o sinistra. Molti non si sono limitati alla semplice firma ma hanno aderito alla petizione scrivendo lettere a Dipartimento del territorio, ai giornali, intervenendo nel sito (www.camoscio-mg.ch) che gli “Amici del camoscio” hanno inaugurato in suo onore. Di tutto e di più è stato scritto in questo periodo sulla diatriba tra i favorevoli e i contrari che vedono celarsi dietro il quadrupede un vandalo delle colture presenti sul territorio. Una semplice domanda che abbiamo posto ad alcuni dei firmatari, per capire le ragioni della loro adesione alla “causa”, ha portato alla luce ragioni che, in genere, potremmo definire «di cuore» per mutuare le parole usate da Sergio Barenco, direttore della Ferrovia Monte Generoso e tra i promotori della petizione (vedasi articolo sotto). «Chi ha incontrato un camoscio sul Monte Generoso ha vissuto un’esperienza indimenticabile al punto tale che è del tutto naturale che si attivi in ogni modo per difenderlo ora che è minacciato», afferma. Ragioni che non s’insinuano negli impervi cammini degli ecologisti tout court, di coloro, per intenderci, che si ritrovano in prima linea quando si tratta di difendere il cantone, ed in particolare alcune delle sue regioni, da insidie quali l’inquinamento da traffico su strada, il pericolo ozono e il deturpamento del territorio da un’espansione edilizia e stradale incontrollata. «Sono un animalista convinto ed essendo anche presidente della Protezione animali di Lugano, ci mancherebbe che non l’avessi firmata», spiega Pierre Rusconi, deputato Udc al Gran consiglio. Che aggiunge: «Non trovo plausibili le motivazioni che il governo ha addotto a sostegno dell’apertura della caccia. Non stanno in piedi. Per ridurre i danni causati dai circa 350 camosci presenti nel Mendrisiotto, che ammonterebbero a 30mila franchi, si dà il via libera alla caccia di quella trentina di camosci presenti sul Monte Generoso. Il risparmio complessivo per quei pochi capi abbattuti sarebbe di circa 2'500 franchi all’anno. È francamente ridicolo e visto che non vi sono neanche problemi di tipo sanitario (i camosci sono sani) non vedo altra ragione nella decisione governativa se non quella di accontentare un manipolo di cacciatori». Sui cacciatori “buoni” e quelli “cattivi” il fossato scavato sul fronte del camoscio è diventato profondo nel giro di qualche mese. Ed ecco Luciano Canal, ex deputato della Lega al Gran consiglio, che dice di capire «i veri cacciatori, quelli che vanno in alta montagna, che studiano la selvaggina, le loro abitudini, il loro habitat e si confrontano in modo onesto con la loro passione. Intendiamoci non sono un “verde” al cento per cento e posso accettare la caccia laddove ci sono problemi di sovrappopolamento di certe specie di animali. Ma che interesse può avere un cacciatore ad uccidere una bestiola che ti arriva a venti metri di distanza, incuriosita e festante, perché si fida di te? Sarebbe come sparare al proprio gatto o cane. Il vero cacciatore non può provare piacere nel far questo: la sua sarebbe un’uccisione a sangue freddo, un atto quasi diabolico». Meno passionali, anche se decisi e pragmatici, i toni dell’editore Fiorenzo Dadò, cacciatore egli stesso. «Ho firmato perché convinto che sul Monte Generoso gli interessi di carattere turistico-ambientale siano prioritari. Non condivido affatto la richiesta dei vertici della Federcaccia che, irrigidendosi sulle proprie posizioni, hanno dato origine ad una serie di reazioni, rivelatesi un vero e proprio autogol non solo per loro ma per l’intera categoria dei cacciatori. Credo che, in generale, la caccia debba essere gestita tenendo conto dei pro e contro, non prescindendo da quanto la popolazione esprime. Io sono dissenziente e a mio parere i cacciatori avrebbero dovuto ritirarsi. Non solo: i contrari avrebbero dovuto opporsi apertamente.» Sul fronte degli artisti, lo scultore Pierino Selmoni si lascia sfuggire che ha firmato senza troppa convinzione e che «non mi piace la piega che ha preso il tutto» Poi c’è chi come lo scrittore e storico Mario Agliati ammette di aver firmato «forse più per far un piacere a degli amici che stimo molto. Non ho studiato a fondo la questione in particolare, anche se mi ritengo un amico della natura e mi rincresce vedere ammazzare degli animali inoffensivi quali il camoscio. Certo, riconosco che la questione è complessa perché ci sono anche dei viticoltori che hanno avuto dei danni. Però amo gli animali e mi pento di aver fatto del male ad un gattino quand’ero ragazzino: l’avevo dovuto affogare perché la cucciolata era troppo numerosa e non si potevano tenere tutti i piccoli. E quest’episodio mi è sempre rimasto impresso come un rimorso.» Tra i sostenitori convinti invece troviamo il gallerista d’arte Mario Matasci che è riuscito a raccogliere da solo e nella sola Tenero ben 200 firme. «Sono un animalista convinto: rispetto gli animali e le persone e quindi sono contrario alla caccia in genere. La caccia non è più una necessità. Amo molto camminare nei boschi ed è emozionante poter a volte incontrare un capriolo o una marmotta». Nel coro spiccano le voci di coloro che da sempre aborriscono la caccia tout court. Come quella di Andrea Ghiringhelli, storico e direttore dell’Archivio di Stato: «Ho aderito perché sono visceralmente e costituzionalmente contrario alla caccia e firmo ogni petizione o iniziativa che vada in questo senso. Credo che ogni essere vivente abbia diritto a vivere la sua vita». O dello scrittore Alberto Nessi, che di recente ha dedicato al camoscio una sua poesia: «Mi piacciono i camosci vivi e non morti. Il provvedimento che le Autorità hanno preso, di aprire la caccia a questi animali, è assurdo e non trova giustificazioni. È semplicemente una questione di buon senso. Prendiamo il cinghiale, a me personalmente non da fastidio ma posso capire che qualcuno lo detesti perché gli ha rovinato l’orto o una coltura e voglia eliminarlo. Ma trovo incomprensibile che qualcuno cacci il camoscio, così mansueto e discreto con la sua presenza». Ma cosa succede? Viene da chiedersi. Possibile che il camoscio poté arrivare laddove invece battaglie ad oltranza degli ecologisti sulla salvaguardia del territorio (camosci compresi) non poterono? Possibile, o almeno così traspare dalle testimonianze che portano tracce di un ecologismo bucolico, forse idealizzato, un po’ da libro “Cuore”. Se gli “Amici del camoscio” non hanno ancora messo il copyright sull’effigie dell’ungulato, ci pensino coloro che mirano al consenso popolare su battaglie più ostiche: usino il simbolo del camoscio, perché “in hoc signo vincet”. "Una causa dal valore simbolico" «Come possono le Autorità cantonali ignorare il coro di 13 mila voci contrarie che si sono levate dal territorio? E si badi bene, le firme sono state raccolte in agosto quando quasi tutti erano in vacanza. Sono sicuro che se la raccolta di adesioni fosse stata fatta in maggio o in settembre si sarebbe potuti arrivare alle 35mila firme se non di più». Così Sergio Barenco, direttore della Ferrovia Monte Generoso e tra i promotori della petizione (cfr articolo principale). «Ciò che accomuna i firmatari e promotori della petizione, credo sia l’amore per la natura, per gli esseri viventi. Probabilmente il venire a sapere che un animale così mansueto e affascinante come il camoscio possa essere messo in pericolo per il piacere di un gruppo di cacciatori li ha allarmati. Sparare ai camosci del Monte Generoso, come ho avuto già modo di dire, è come sparare a delle galline dentro un pollaio. Non trovo sia serio per un cacciatore uccidere un animale che ti viene incontro e che non fugge alla vista dell’uomo». Dal canto suo l’architetto Tita Carloni, anch’egli tra i promotori della petizione, ancora non si capacita dell’eco riscossa dalla petizione. «Per capire la portata di una tale e massiccia adesione – ci dice – sarebbe interessante fare un’analisi geografica delle firme raccolte. Così, di primo acchito, sembrerebbe che la petizione abbia raccolto consensi soprattutto nelle zone più urbanizzate del cantone mentre pare sia stata pressoché ignorata nelle zone montane. La mia impressione è che questa causa abbia assunto un carattere simbolico contro la trasformazione sconsiderata del Mendrisiotto e mi pare di capire che contenga una certa dimensione di sfiducia nei confronti del governo». Per l’architetto Carloni, il motivo del successo è probabilmente da ricondursi al carattere concreto della petizione. «Un successo che fa riflettere e che mi porta a supporre che se si fissano obiettivi chiari, limitati e identificabili la gente risponda, più di quando si pongono problemi sì importanti ma più generali. Ma ripeto, sono solo impressioni e il tutto andrebbe analizzato con calma, cosa che ci ripromettiamo di fare non appena si concluderà questa campagna». Ma, cosa oramai risaputa, la levata di scudi in difesa dei camosci del Monte Generoso non basterà a salvarlo: per il Dipartimento del territorio la caccia fuori dalla bandita, dal 7 al 9 settembre ,“s’ha da fare”. «Il camoscio è il simbolo della sopravvivenza di uno degli ultimi bastioni naturalistici – interviene ancora Barenco – che fa da controcanto al piano del Mendrisiotto fortemente danneggiato dagli insediamenti urbanistici. Come direttore delle Ferrovie del Monte Generoso vorrei ricordare che noi non vendiamo posti a sedere sul treno o buoni-pasto per il ristorante in vetta ma promuoviamo momenti d’immersione in un ambiente naturale che vorremmo si mantenesse integro. Finora non abbiamo mai preteso un franco allo Stato, che invece ha elargito finanziamenti milionari a tutte le altre imprese di trasporto di montagna. E alla nostra unica richiesta di risparmiare il Monte Generoso dalla caccia le Autorità rispondono picche. La sensazione è quella di essere, più che inascoltati, presi in giro». Intanto nei giorni funesti della caccia, gli Amici del camoscio hanno organizzato passeggiate didattiche (tra gli accompagnatori anche l’architetto Tita Carloni) aperte al pubblico così da contrastare l’opera dei cacciatori. Una raccomandazione agli escursionisti: non indossate giacche scamosciate.

Pubblicato il

03.09.2004 04:30
Maria Pirisi
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