Il governo ticinese ha deciso di allentare ulteriormente la presa sulle attività lavorative, allargando notevolmente le maglie la prossima settimana per industrie e cantieri, alzando in particolare il numero di dipendenti autorizzati a lavorare. Senza il rispetto delle prescrizioni sanitarie, si rischia una ripartenza dei contagi. Unia, a differenza delle associazioni padronali e Ocst, non ha sottoscritto la nuova richiesta di “finestra di crisi cantonale” poi accettata dal Consiglio federale. Giudicata frettolosa l’apertura in assenza dei necessari correttivi, il sindacato ha preferito non accodarsi. Nell’impossibilità oggettiva di garantire un controllo capillare, Unia aveva proposto il coinvolgimento dei lavoratori nella verifica del rispetto delle precauzioni. Il governo ha accolto le richieste padronali di aumentare il numero dei dipendenti da impiegare mentre ha rifiutato di accrescere i controlli con la partecipazione dei lavoratori. Ne parliamo con Vincenzo Cicero, responsabile industria di Unia Ticino e della sezione sindacale sottocenerina. Vincenzo Cicero, iniziamo dalle recenti dichiarazioni di Stefano Rizzi, direttore della divisione economica del Dfe, quando ha affermato che i controlli sono «efficienti e in buona parte a sorpresa». Oggi le autorità parlano di controlli super efficienti nelle fabbriche, mentre sappiamo senza timore di essere smentiti che anche in questi giorni la Suva preannuncia le visite. Lunedì eravamo stati informati dai lavoratori dell’Agie di Losone che martedì avrebbero ricevuto il controllo della Suva, puntualmente avvenuto. In altre aziende controllate sempre dalla Suva, il funzionario è rimasto venti minuti nella fabbrica (tempo limite dato dal rischio contagio), non ha parlato con nessun lavoratore ma unicamente con la direzione. L’unico organo che interviene a sorpresa è la polizia, ma si limita a verificare la distanza sociale, perché gli agenti non hanno le competenze per andare oltre. Il terzo attore è l’ispettorato del lavoro, che già in regime normale non ha nessun potere sanzionatorio, neanche economico. Nel caso l’ispettorato rilevi un’infrazione tanto grave da sfociare nel penale, ha l’obbligo di segnalarla al Ministero pubblico. In tutti gli altri casi, si limita a invitare l’azienda a sanarlo. Questi fatti inducono alla conclusione che la tutela della salute, con i relativi controlli nei posti di lavoro, non è mai stata una priorità politica. Le industrie sono, rimangono e rischiano di rimanerlo a lungo, dei luoghi chiusi a chi fa i controlli. Nelle recenti risoluzioni governative sulle aperture, si delega la verifica della sicurezza alle direzioni lavori nell’edilizia e ai vertici aziendali nelle fabbriche. È giusto che l’azienda sia responsabilizzata nel mettere in atto tutte le precauzioni previste, strutturando la produzione in tal senso. Ma è altrettanto giusto che vi siano delle figure che possano individuare e segnalare delle eventuali criticità lungo l’intero processo produttivo nelle sue molteplici fasi. La nostra rivendicazione dunque verte sulla creazione di persone liberate perlomeno parzialmente dal tempo di lavoro, per occuparsene regolarmente, e che siano tutelate dal licenziamento. La richiesta di far partecipare ai controlli della sicurezza anche i lavoratori è stata oggetto di discussione sulle “finestre di crisi” concordate a livello cantonale. Che il padronato si sia opposto per principio, è facilmente prevedibile. Le autorità invece quale posizione hanno assunto? Il Cantone è rimasto alla posizione identica che aveva prima del Covid. Quando il sindacato segnalava delle irregolarità, le autorità non comunicavano l’esito del controllo, invocando la tutela della privacy delle aziende. Nemmeno i lavoratori avevano il diritto di conoscere i risultati. Anche oggi, nel contesto di accresciuta sicurezza, l’autorità cantonale continua a rifiutarsi d’informare i diritti interessati o i loro rappresentanti sindacali. La trasparenza invocata si ferma dunque ai cancelli delle industrie? In un periodo eccezionale dove si limitano fortemente le libertà individuali con divieti di assembramento o di spesa per gli anziani, che in periodi normali sarebbero considerati inaccettabili e incostituzionali, non si vuol dare la possibilità ai lavoratori o ai rappresentanti sindacali di verificare il rispetto delle norme. È perlomeno singolare che si domandi al cittadino di responsabilizzarsi individualmente, sacrificando delle libertà, mentre non si chiede una responsabilità collettiva alle aziende. Incitare i cittadini ad allertare la polizia se il vicino sta facendo una grigliata con dieci persone va bene, mentre fornire ai lavoratori gli strumenti per tutelarsi, viene liquidata come una richiesta scandalosa. Le segnalazioni che ricevete dai lavoratori, dove vanno a finire? Sono due i tipi di segnalazioni che riceviamo. Quelle che riguardano delle possibili violazioni delle autorizzazioni eccezionali di lavorare di un’azienda, le trasmettiamo allo Stato maggiore di condotta. Se invece si riferiscono al mancato rispetto delle prescrizioni di sicurezza nelle fabbriche, le inoltriamo all’ispettorato che interviene con la polizia, mentre nell’edilizia è di competenza della Suva. Dell’esito dei controlli, non sappiamo nulla. Dai lavoratori sappiamo se i controlli sono avvenuti, ma nemmeno loro sono a conoscenza dell’esito. La trasparenza non regna sovrana sul regime dei beneficiari di autorizzazioni e controlli. Tra la popolazione, da quel che emerge dai social, vi sono molti dubbi sulla loro applicazione. Io esprimo due certezze, derivanti dai fatti. Ho inoltrato due segnalazioni d’imprese sospettate di produrre altro da quello per cui avevano ricevuto l’autorizzazione. La polizia è intervenuta, ha parlato con la direzione e questa ha risposto che la produzione era conforme alla richiesta. Con tutta la buona volontà, gli agenti non sono in grado di valutare se quella scheda elettronica serva al settore medicale o ad altri rami. Senza il coinvolgimento dei lavoratori, è impossibile conoscere la verità. In una quindicina di minuti di controllo, non si può pretendere di conoscere l’intero processo produttivo della durata di 24 ore di una fabbrica. I controlli attuali hanno una funzione dissuasiva, ma non possono andare in profondità. E la seconda certezza? A fronte di decine di controlli dichiarati dalle autorità, non ho visto una sola intimazione di chiusura o una multa a una fabbrica. Da questo dato, ognuno può trarre le sue conclusioni. Il numero dei contagi dice che l’emergenza è stata superata e si sta andando verso una riapertura normalizzata. Poiché lo stato d’emergenza va scomparendo, perché chiedere l’installazione di figure straordinarie? Oggi abbiamo superato l’emergenza, ma seguirà una fase che ci accompagnerà fino a quando non avremo un vaccino, durante la quale dovremo modificare i nostri rapporti sociali e i comportamenti sui posti di lavoro. Quando entreremo in questa fase, l’attuale apparato di controllo di oggi non potrà essere mantenuto. Non si potrà continuare ad inviare la polizia nelle fabbriche o avere la ventina d’ispettori della Suva provenienti da altri cantoni. La nostra proposta, la figura del delegato dei lavoratori incaricato di sorvegliare il rispetto delle norme di sicurezza, risponde all’esigenza di un controllo capillare, efficace e poco dispendioso, soprattutto per le casse pubbliche. Il padronato elvetico la ritiene una proposta inconcepibile. In molti altri paesi europei, avere degli operai preposti alla verifica delle condizioni di sicurezza con la possibilità d’intervenire immediatamente, magari fermando la produzione, è la normalità. È solo in Svizzera che è proibito. Mentre ero in visita allo stabilimento Ducati, l’operaio delegato alla sicurezza ha fatto bloccare le macchine perché la temperatura raggiunta nei locali era troppo elevata, mettendo a rischio la salute dei lavoratori. Da noi invece la normalità sono le numerose cause aperte dal sindacato contro delle aziende che hanno licenziato dei lavoratori perché avevano segnalato alla Suva dei pericoli. I lavoratori devono avere il diritto di tutelare la loro sicurezza senza temere delle ritorsioni aziendali. Non si può costringere il lavoratore a dover scegliere tra la salute e il posto di lavoro.
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