In discussione il modello VW

Dopo aver fatto calare drasticamente le vendite per quasi tutti i marchi tedeschi, la crisi del settore automobilistico ora mette a rischio anche l'identità – non solo i bilanci – del modello Volkswagen. L'azienda a partecipazione statale, che negli anni scorsi aveva fatto parlare di sé per la progressiva riduzione dell'orario di lavoro come alternativa ai licenziamenti, per gli esperimenti di compartecipazione dei lavoratori agli utili e per essere da sempre in prima fila nella pratica della cogestione, ora rischia di perdere la sue caratteristiche "sociali" a causa dei problemi strutturali che l'attanagliano. Attualmente nei dieci stabilimenti del marchio Volkswagen in Germania occidentale si lavora solo quattro giorni (per la precisione 28,2 ore) la settimana e i salari degli operai sono del 20 per cento superiori ai parametri stabiliti dal contratto federale dei metalmeccanici. «Privilegi non più sostenibili» a sentire Bernd Pischetsrieder, presidente del gruppo, secondo cui «gli operai devono essere disposti a sacrificarsi se vogliono mantenere i loro posti di lavoro.» A sentire il presidente e gli altri top manager della Volkswagen, la settimana lavorativa dovrebbe tornare immediatamente a 35 ore senza alcun adeguamento salariale.

Aperte le trattative sindacali

Uwe Stoffregen, portavoce del sindacato dei metalmeccanici tedeschi (Ig Metall) guarda con fiducia alle trattative con la Volkswagen che si apriranno lunedì prossimo. Anche se la casa automobilistica vuole imporre un consistente aumento della settimana lavorativa a parità di salario, Stoffregen sa che a Wolfsburg e negli altri stabilimenti del gruppo la sua organizzazione ha da sempre le sue roccaforti, con quote d'iscrizione che superano spesso il 90 per cento.

I manager della Volkswagen chiedono agli operai di lavorare di più e stringere la cinghia. Fino a dove arriveranno le vostre concessioni, ora che avete accettato di trattare?
"Abbiamo detto sì al confronto con l'azienda proprio perché vogliamo salvare l'attuale contratto che prevede il blocco dei licenziamenti fino al 2011. Siamo disponibili a concedere qualcosa sul prolungamento dell'orario di lavoro, ma la loro richiesta di 6 ore in più la settimana a costo zero è una provocazione. Inoltre la Volkswagen deve garantire agli stabilimenti della Germania occidentale la produzione di nuovi modelli, così da assicurare un futuro agli operai e alle loro famiglie anche dopo il 2011."
Quanto ha inciso lo scandalo a base di mazzette e prostitute, che nei mesi scorsi ha travolto la commissione interna della Volkswagen, nei rapporti di forza con la proprietà?
"La crisi della casa automobilistica di Wolfsburg nasce da molto lontano e ha a che fare con scelte sbagliate a livello strategico e di marketing. I vertici dell'azienda in certi casi hanno dimenticato che lo storico successo della Volkswagen era legato alla costruzione di utilitarie dai prezzi accessibili a tutti e hanno tentato di fare concorrenza a marche più esclusive. Inoltre la crisi di cui ora scontiamo gli effetti è legata ad un generale arretramento delle vendite che ha colpito un po' tutti, in Germania e non solo, negli ultimi cinque anni. Quindi lo scandalo, che certo non ha giovato alla nostra immagine, a mio avviso non ha inciso più di tanto sull'attuale offensiva dei grandi azionisti. Al massimo parlerei di un loro vantaggio psicologico."
Molti però puntano il dito contro i costi del modello Volkswagen: 28 ore di lavoro la settimana e salari del 20 per cento superiori a quelli previsti dal contratto nazionale sono un'eccezione in tutto il panorama europeo.
"Nonostante la crisi, la Volkswagen rimane un esempio in fatto di conquiste dei lavoratori. A Wolfsburg e negli altri stabilimenti della Germania occidentale abbiamo fatto passare le 35 ore quando nelle altre aziende se ne lavoravano 48 e più e in seguito siamo riusciti a diminuire progressivamente la settimana lavorativa fino ai livelli attuali. Va ricordato che la diminuzione dell'orario ha evitato licenziamenti e prepensionamenti e ha permesso nuove assunzioni. La nostra battaglia all'insegna del motto: "lavorare meno, lavorare tutti" è stata accettata a denti stretti dalla proprietà, ma in seguito anche i vertici si sono fregiati della fama di "impresa dal volto umano". Ora che la crisi non ci lascia alternative, la Ig Metall è pronta a ridiscutere l'orario di lavoro e ad accettare qualche ritocco verso l'alto. Ma di un aumento di 6 ore la settimana a salario invariato non se ne parla neanche."

Pubblicato il

15.09.2006 04:00
Tommaso Pedicini
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