In Ticino investiti 2,5 miliardi per gli impianti idrici

Ogni giorno, noi tutti in Ticino, facciamo gesti che riteniamo naturali, ovvi oseremmo dire. Apriamo il rubinetto della cucina di casa e scorre acqua pulita. Entriamo nella doccia e pensiamo che sia scontato, normale avere acqua in abbondanza. Non pensiamo mai che tutto ciò abbia un costo e un costo elevato. Solo nel canton Ticino, sono stati investiti 2,5 miliardi di franchi in infrastrutture tecniche per permetterci di avere un’acqua depurata degna di questo nome. «Questi costi non sono comunque i costi sostenuti per ottenere dell’acqua potabile», ci spiega Mario Camani della sezione del Dipartimento del territorio che si occupa della protezione dell’aria, dell’acqua e del suolo. «In pratica si tratta degli investimenti effettuati per rimettere nel circolo naturale un’acqua depurata da determinate sostanze inquinanti. Toccherà alla natura fare il lavoro di renderla ottima da bere». Ma vediamo in dettaglio come sono suddivisi questi 2,5 miliardi di franchi. «1,5 miliardi rappresentano gli investimenti fatti negli ultimi 30 anni per canalizzazioni e impianti di depurazione». «Altri 500 milioni – continua Camani – sono investimenti attuati prima degli anni ’70. Un altro mezzo miliardo è il costo delle opere che ancora mancano per arrivare al termine delle canalizzazioni previste e sono investimenti che verranno realizzati nel corso dei prossimi 10 anni». Questo riguarda le acque luride prodotte dagli esseri umani. Non quelle prodotte dalle industrie che sottostanno ad altre regole. «Le acque industriali che arrivano ai depuratori sono pre-trattate. Con questo processo la maggior parte del carico inquinante viene rimosso. Quindi questi costi non ricadono più sulla collettività ma sostenuti da chi inquina», ci spiega Camani. Le infrastrutture attuali andranno però rinnovate. Quindi dovremo aspettarci, prima o poi, di pagare l’acqua a tariffe più elevate di adesso. Proviamo a fare un semplice calcolo. Ipotizziamo una durata media di 100 anni degli impianti, anche se i depuratori durano molto meno. Questo vuol dire che per il prossimo secolo dovremo spendere altri 2,5 miliardi di franchi. In pratica si tratta di un investimento medio 25 milioni l’anno. Cifra che non è molto distante da quanto abbiamo già speso fino a oggi. C’è un però. Finora tali costi sono stati sopportati in larga parte dall’ente pubblico (Confederazione, cantoni e comuni). Non sarà più così in futuro. «La nuova Legge federale sulla protezione delle acque dice che chi inquina, paga. Quindi, un costo che in passato è stato sopportato dalla collettività, è ribaltato sugli utilizzatori», continua il responsabile della sezione protezione aria, acqua e suolo. Questo cosa vuol dire concretamente? «Significa che i costi per l’uso dell’acqua, per ciascuno di noi, diventeranno molto più elevati. Stime di costo parlano di 5-10 franchi al metro cubo. Queste cifre sono già realtà in altri paesi, come in Germania. Oggi, in Ticino, paghiamo, per esempio, circa 50 centesimi a metro cubo». Quindi, anche se in Svizzera non siamo alla mercificazione e alla privatizzazione dell’acqua la sua utilizzazione inciderà di più sui bilanci familiari? «Questo discorso – ci spiega Camani – non ha direttamente a che fare con la liberalizzazione dell’acqua. Dobbiamo anche distinguere tra la nostra situazione e quella di altri paesi, dove manca l’acqua per i bisogni elementari. Da noi di acqua ce n’è in abbondanza e molto spesso la consumiamo senza ritegno (per lavare l’auto, riempire le piscine, lavare le strade ecc…). È giusto allora che chi la usa la paghi. È un modo anche per disincentivare lo spreco e sensibilizzare su una risorsa così delicata». Cosa avviene nell’industria? «In questo settore, molto spesso si sfruttano pozzi di captazione propri. Dopo l’uso, l’acqua è (era) immessa nelle canalizzazioni che portano ai depuratori. Oggigiorno, grazie a una capillare opera di sensibilizzazione e anche perché alcuni consorzi di depurazione fanno pagare lo smaltimento di queste acque, non è più così. L’industria cerca, nel limite del possibile, di riutilizzare le acque, per esempio di raffreddamento. In questo modo il consumo si è ridotto molto e le aziende risparmiano anche somme ingenti». I depuratori non sono comunque la panacea a tutti i mali che noi facciamo all’acqua. Lo scopo dei depuratori è, in primo luogo, quello di togliere il fosforo legato al problema dell’eutrofizzazione e quindi della crescita delle alghe. Tale problema era diventato drammatico negli anni ’70. Con i depuratori si eliminano anche i metalli pesanti e certe sostanze organiche che finiscono nelle acque. Altre sostanze, ormoni, antibiotici ecc…, i depuratori attuali non sono in grado di trattenerle. «Si sta lavorando, a livello di ricerca, a processi depurativi di nuova concezione che trattengano anche queste sostanze. La via più efficace è comunque quella di fare in modo che non arrivino negli scarichi, almeno nei quantitativi di oggi». Tali sostanze sono immesse da noi attraverso le acque luride delle città o degli allevamenti. Un altro metodo efficace per far rivivere l’acqua è quella di rivitalizzarne i corsi, conclude Camani. «In passato si sono intubati e coperti molti corsi d’acqua. Riportarli alla luce, ristabilendo il ciclo naturale, è un modo per salvaguardare l’acqua e per rendere più gradevole il paesaggio, anche all’interno delle città».

Pubblicato il

23.05.2003 03:30
Generoso Chiaradonna