In Ticino dignitoso fa rima con miseria

Il governo fissa tra i 18,75 e 19,25 franchi l’ora la misura di politica sociale del salario minimo per contrastare la povertà nel cantone. Tante critiche e pochi applausi

Chi si aspettava un guizzo di coraggio dal governo cantonale è andato deluso. Al contrario del governo neocastellano, il Dipartimento delle finanze ed economia ticinese ha giocato al ribasso scegliendo indicatori che gli consentissero di fissare il salario minimo tra i 18,75 e i 19,25 franchi l’ora, contro i 20 neocastellani. Secondo il sindacato è un’occasione persa per restituire dignità al lavoro nel territorio locale e consentire l’accesso ai residenti, ma pure a discapito dell’economia regionale. «Finché ci sarà il vantaggio competitivo di accedere a un bacino di forza lavoro per dei salari miserevoli, non si creeranno mai le condizioni quadro affinché l’insieme dell’economia ticinese possa fare un balzo avanti all’altezza delle tendenze dell’economia globale» aveva detto ad area Christian Marazzi, economista e ricercatore sociale di fama mondiale, riferendosi all’introduzione di un salario minimo dignitoso in Ticino.


«Una giornata molto triste per i salariati e la popolazione di questo Cantone» ha commentato a caldo il sindacalista Enrico Borelli di Unia uscendo dalla sala stampa dove il governo aveva appena presentato la sua proposta di salari minimi differenziati in Ticino (intervista a Enrico Borelli, si veda articolo correlato a fianco).

 

Dal cilindro di Christian Vitta, capodipartimento finanze ed economia, sono usciti salari tra i 3.372 e i 3.462 franchi mensili per chi lavora 41,5 ore alla settimana. All’anno sarebbero poco più di 40.000 franchi lordi. Una cifra dignitosa per vivere in Ticino, stando ai quattro quinti del governo cantonale. Non tutto l’esecutivo, poiché il socialista Manuele Bertoli si è detto contrario in ragione degli importi ritenuti insufficienti.
Vediamo come i quattro quinti del governo siano arrivati a quelle cifre.


Il dignitoso ribassato
Salario minimo o differenziato, era il primo nodo da sciogliere per l’autorità cantonale. Il governo ha scelto il secondo, appellandosi al testo dell’iniziativa approvata in votazione, sebbene gli iniziativisti abbiano più volte ripetuto al tavolo di lavoro sull’applicazione dell’iniziativa di preferire il salario unico. Ma il Cantone ha fatto orecchio da mercante, prediligendo un salario differenziato per 77 settori economici, in una forchetta tra 18,75 franchi l’ora (3.372 mensili con 41,5 ore alla settimana) e 19,25 (3.462 al mese). I lavoratori che si vedrebbero alzare lo stipendio sarebbero diecimila, di cui 3.400 residenti.
Per dare un’idea delle dimensioni ricordiamo che, grazie a delle elaborazioni dell’Ufficio statistico cantonale, area aveva pubblicato che nel caso di un salario minimo di 20 franchi, i lavoratori toccati sarebbero stati 14.627 (5.185 i residenti), mentre con 21 franchi erano 20.370, di cui 8.124 residenti (si veda area n.13).  
La seconda scelta a cui era chiamato il Dfe era quale meccanismo di calcolo adottare per definire l’importo del salario minimo. Il Canton Neuchâtel aveva scelto le prestazioni complementari dell’Avs/Ai. Il Canton Ticino ha invece scelto una più bassa, affiancando la soglia d’accesso alle assicurazioni sociali cantonali (Laps) a quelle federali. Questo spiega perché a Neuchâtel il salario minimo governativo si aggira sui venti franchi, mentre in Ticino scende a 18,75 franchi l’ora. Una concezione di salario dignitoso a geometria cantonale, dunque.
La scelta di riferirsi alla soglia Laps non è neutra, ma  frutto di decisioni politiche del Dfe. Molto probabilmente la scelta al ribasso è stata presa per non irritare le associazioni padronali, molto impegnate nel difendere quel 10% di imprese sul territorio che attuano un’economia parassitaria sulla collettività, poiché lo Stato deve aiutare a vivere quei dipendenti il cui datore versa stipendi insufficienti. Le associazioni padronali hanno salutato positivamente l’impostazione del messaggio governativo.


La via di fuga dei ccl
Non solo i contratti decretati di forza obbligatoria (ossia validi per tutti), ma pure quelli siglati tra sindacati e associazioni di categoria saranno esclusi dall’obbligo dei salari minimi cantonali. Anche in questo caso si tratta di una scelta diversa da quella adottata dal Canton Neuchâtel, dove tutti i ccl devono adeguarsi al minimo prescritto (unica eccezione, agricoltura). In Ticino però l’errore sta nel manico, ossia nel testo costituzionale dell’iniziativa dei Verdi approvata in votazione popolare, poiché l’esclusione dall’obbligo dei ccl è sancita dall’articolo 13.
Dei ccl nazionali, uno solo scamperebbe alla proposta minimalista del governo, ossia quello degli interinali che prevede paghe attorno ai 16 franchi per il solo Ticino. Per contro, esistono una miriade di ccl aziendali ben al di sotto del minimo proposto dal governo. Uno su tutti, l’industria dell’abbigliamento (nei fatti il Gruppo Zegna) dove i minimi ammontano a 14,12 franchi.
I 15 contratti normali di lavoro, cioè quelli decretati d’autorità del cantone per manifesto abuso salariale, dovranno invece essere rialzati al minimo previsto.
Ocst si è detta entusiasta della misura di favorire il dialogo del partenariato sociale.


Il ruolo dei presunti sindacati
All’introduzione dei salari minimi differenziati, il governo affianca un rafforzamento dell’Ufficio di conciliazione affinché «faciliti la sottoscrizione di ccl». Una misura che nasconde alcune insidie, si veda il tema della rappresentatività dei lavoratori e il conseguente rapporto di forza nella trattativa per siglare dei ccl.
L’esempio recente arriva dal tavolo di lavoro istituito dal governo per l’elaborazione di un ccl nella vendita al dettaglio. A quel tavolo il consigliere di Stato Christian Vitta, oltre le associazioni padronali, aveva invitato quattro associazioni indicate come rappresentanti dei lavoratori. Su Unia e Ocst non vi sono dubbi sulla loro reale rappresentanza del numero di affiliati impiegati nella vendita. Serie perplessità invece sollevano la Società svizzera degli impiegati di commercio (Sic) e i Sindacati indipendenti ticinesi (Sit).
Due fiduciari, un dirigente bancario, un responsabile di agenzia interinale, un importatore di aloe, un libero professionista e il titolare di un negozio di sport. È la composizione del comitato direttivo della Società degli impiegati di commercio (Sic), presieduta da Claudio Moro, ex sindaco Plr per 12 anni a Chiasso e pure lui contitolare di una fiduciaria. Una composizione che pone più di un interrogativo sulla rappresentatività dei salariati di questa organizzazione. Tanto più che i dati sugli iscritti non sono pubblicati.
Ancor più fumosa la legittimità del Sit, che interpellata da area si rifiutava di dichiarare il numero dei suoi iscritti. Da quel che avevamo potuto appurare, a questa sigla sono iscritti il consigliere agli Stati Fabio Abate, il consigliere nazionale Giovanni Merlini, i granconsiglieri Quadranti, Celio, Badaracco, Farinelli, Pini e il consigliere di Stato Christian Vitta. Ironicamente si potrebbe desumere che il Sit, più che tutelare i salariati, difenda gli interessi dei politici liberi professionisti iscritti al Partito liberale radicale. E poiché le decisioni al tavolo venivano prese a colpi di maggioranza, dove una sigla contava un voto, ben si capisce l’importanza di una partecipazione ai tavoli decisionali di queste due sigle definitesi sindacali. Se per Ufficio di conciliazione rafforzato s’intende la partecipazione del Sit e Sic, non sarebbe da escludere una crescita di ccl siglati con salari inferiori alla già minimalista proposta governativa.


Occhi sul Gran Consiglio
Il messaggio governativo sui salari minimi seguirà ora il suo iter, passando dalla commissione legislazione per poi approdare sui banchi del Gran Consiglio. A quel momento potrebbero essere apportate delle modifiche al messaggio governativo. Sarà interessante osservare il comporta-
mento dei partiti e dei singoli eletti in merito a un tema a cui l’opinione pubblica ticinese è estremamente sensibile negli ultimi anni. Sarà condiviso l’importo di salario dignitoso proposto dai quattro quinti del governo? Sarà condivisa l’idea di escludere dei ccl dal rispetto del salario minimo o saranno possibili delle modifiche al testo approvato in votazione? E alla fine del percorso legislativo, ci saranno dei ricorsi giuridici alla legge o saranno lanciati dei referendum o delle iniziative popolari? La partita non è dunque finita e di certo area continuerà ad aggiornarvi.

Pubblicato il

16.11.2017 10:12
Francesco Bonsaver

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