In Svizzera i musulmani sono ben integrati

In Svizzera la presenza di comunità musulmane non è nuova, relativamente nuova è invece la problematizzazione di questa presenza da parte dei partiti di destra che fanno leva sulle paure dei cittadini per accaparrarsi voti. Chi sono, quanti sono e come vivono i musulmani in Svizzera, anche alla luce delle tensioni sorte nell’ultimo decennio?

 

Secondo i dati raccolti dall’Ufficio federale di statistica (Ufs), nel 2012 in Svizzera la ripartizione religiosa dei residenti con più di 15 anni vedeva il 38,2 per cento di cattolici romani, il 26,9 di evangelici riformati, il 4,9 di fede islamica, lo 0,3 di ebrei e il 21,4 senza alcuna appartenenza religiosa. La categoria “musulmani” è passata dallo 0,2 del 1970 al 4,9 del 2012. Secondo il rapporto pubblicato nel 2010 dalla Commissione federale della migrazione “Vita musulmana in Svizzera”, questa categoria demografica è stata trasformata da questi stessi dati pubblicati dall’Ufs negli anni e dai media (che hanno esacerbato la portata di alcune rivendicazioni), in una categoria sociale e politica tenuta in un certo qual modo a render conto di tutto ciò che viene fatto nel mondo in nome dell’Islam.


Sempre stando al rapporto della Commissione federale della migrazione (Cfm), una buona parte dei musulmani nel nostro paese non si riconosce nell’insieme delle rivendicazioni portate avanti dai leader associativi o religiosi che si esprimono a loro nome. Inoltre, il fatto di essere di fede islamica non implica un insieme di valori e pratiche condivise e immutabili: i musulmani in Svizzera hanno posizioni molto diverse tra loro rispetto all’Islam, alle sue pratiche culturali e alla sua posizione di fronte alla secolarizzazione della società svizzera. Più che di comunità musulmana al singolare, si dovrebbe quindi parlare di gruppi che esprimono modi diversi di concepire la propria religione, secondo la nazionalità, la cultura e il percorso migratorio.


Chi e quanti sono i musulmani che vivono in Svizzera? La maggioranza è arrivata negli ultimi vent’anni e secondo la rilevazione strutturale 2010 dell’Ufs i residenti con più di quindici anni di fede islamica sono circa 296.000, più del 30 per cento dei quali possiedono la cittadinanza elvetica. I musulmani praticanti sono circa il 10-15 per cento, percentuale che corrisponde a quella delle altre religioni. Secondo il rapporto 2012 del Servizio per la lotta al razzismo, la prima generazione d’immigrati è quella che si dimostra meno interessata alle questioni religiose e vive l’Islam più come un aspetto della propria cultura e come supporto nelle occasioni importanti (riti di passaggio) e nei momenti di crisi. In Svizzera è maggioritario l’islam sunnita (di origine europea), si tratta principalmente di persone provenienti dai Balcani e dalla Turchia (circa il 90 per cento).
La presenza musulmana in Europa e in Svizzera non è una novità, come ha scritto su Le Temps del 12 gennaio Stéphane Lathion, ricercatore nel gruppo di ricerca sull’Islam in Svizzera (Gris): «Quello che sembra porre problemi è la visibilità che accompagna questa presenza: i veli che si moltiplicano e le rivendicazioni per un miglior riconoscimento (cimiteri, luoghi di culto, scuole...). Dal 2004, con l’iniziativa sulle naturalizzazioni facilitate, passando per il voto anti-minareti del 2009 e aspettando la futura iniziativa contro il burqa (in Ticino già votata – ndr), le paure e le tensioni non diminuiscono. La tragedia del massacro di Charlie Hebdo del 7 gennaio 2015 non modificherà questa tendenza. Questo malessere non è nuovo e sarebbe tempo di prenderne coscienza se vogliamo essere in grado di proporre degli elementi di risposta ed evitare un escalation di violenza».


Che cosa vuol dire essere musulmano in Svizzera oggi e come si può riuscire ad attenuare le tensioni che si sono create nell’ultimo decennio? Ne abbiamo discusso con Hassan el Araby, direttore della biblioteca islamica di Chiasso.
Signor El Araby, che cosa vuol dire oggi essere musulmano in Svizzera? La convivenza tra musulmani e non musulmani in Svizzera è cambiata con le tensioni degli ultimi anni? Penso alle votazioni federali del 2004 sulle naturalizzazioni facilitate, del 2009 sul divieto di costruire minareti e la recente iniziativa antiburqa approvata in Ticino...
A livello individuale la convivenza è sana, non ci sono problemi legati alla religione, anzi, posso dire che per quanto vedo, in Ticino è certamente migliore rispetto alla vicina Italia.
Come musulmano che vive in Svizzera, sono prima di tutto un cittadino e vivo il mio essere di fede islamica attraverso il Corano e la Sunna, che guidano il mio comportamento. L’Islam è una religione di pace. Questo è perfettamente compatibile con le leggi e i costumi svizzeri.


Quindi, almeno in teoria, non c’è nessun problema di convivenza?
I problemi ci sono a un altro livello. Con quello che succede nel mondo oggi: con i crimini che vengono attribuiti all’Islam, ma che non hanno nessun legame con l’Islam, perché il Corano dice di avere misericordia per il creato, e uccidere brutalmente qualcuno, come fanno i terroristi, non mi sembra faccia parte di questo credo. A causa di questi fatti c’è una diffidenza ingiustificata nei confronti dei musulmani, che oggi fanno fatica a trovare un lavoro o un alloggio per la semplice appartenenza religiosa e devono continuamente certificare di essere brave persone.
I bambini a scuola vengono chiamati Isis o Al Qaida. Ogni tentativo di chiedere un permesso di soggiorno per un imam o un educatore religioso viene ostacolato dal 2004 per la comunità islamica nel canton Ticino, non riusciamo ad ottenere luoghi di culto o di cerimonia, siamo privati dei nostri diritti fondamentali. In questo modo però si spingono le persone verso l’emarginazione.


Da un rapporto del 2010 della Commissione federale della migrazione, emerge che una delle difficoltà principali per i musulmani residenti in Svizzera è il fatto di dover sempre giustificare i crimini commessi da forsennati in nome dell’Islam e di dover spesso mettere in chiaro di non essere un terrorista. Come si può riuscire a superare questo pregiudizio?
Sì, hanno individuato perfettamente il problema, come ho spiegato prima, ma purtroppo non ci vengono date né le soluzioni né i mezzi per risolverlo.
I politici hanno come mandato quello di individuare i problemi delle minoranze deboli, che subiscono ad esempio le battaglie come quelle domenicali in Ticino, e cercare di tutelare queste minoranze per una buona convivenza generale.

 

Pubblicato il

29.01.2015 21:47
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