Siamo stati distratti. A settembre dall’attacco alle Torri Gemelle, a novembre dalla guerra in Afghanistan, e ci siamo lasciati sfuggire quello che succedeva altrove. In Messico, per esempio. Il 4 settembre, durante una riunione della Commissione del Codex Alimentarius, l’agenzia mondiale che si occupa di sicurezza dei cibi, un funzionario del governo messicano rivela che negli stati di Oaxaca e di Puebla sono state scoperte piante di mais autoctono contaminate con geni provenienti da mais transgenico. Il 17 settembre, il ministero per l’ambiente divulga i dati preliminari di una propria ricerca in cui risulta la stessa cosa. Non ci sono reazioni ufficiali da parte degli scienziati che lavorano per conto delle multinazionali agrobiotech. In privato, si limitano a prendersela con l’allarmismo ingiustificato di verdi e altri estremisti, e con il sentimento anti-yanquì prevalente in Messico. Sennonché il 29 novembre, esce un articolo su Nature. La rivista è prestigiosa, la firma pure: Ignacio H. Chapela dell’università della California a Berkeley è uno dei grandi esperti della genetica del mais, studia da anni le varietà del suo Oaxaca natale, usa i metodi d’indagine più recenti e sofisticati, e non ha conflitti di interesse, avendo sempre lavorato con enti pubblici. Dalle foto del Dna che pubblica insieme all’articolo, è indubbio che nella Sierra Norte, nelle montagne collegate soltanto da sentieri alla strada tra Oaxaca a Tuxtepec, al mais tradizionale criollo è successo una cosa strana. Gli è arrivato nei geni del Dna alieno, uguale a quello che si trova nel mais Novartis Bt11 (marchio registrato). E come ci è arrivato, si domanda Chapela, visto che in Messico dal 1998 c’è una moratoria sulle coltivazioni di Ogm? Dal 7 al 9 febbraio scorso, specialisti del mais venuti da Cina, Messico, Stati Uniti, e da vari paesi africani ed europei (Svizzera compresa) si sono ritrovati a Firenze e hanno invitato rappresentati delle multinazionali e dei sindacati di coltivatori. Per riflettere su come evitare altri inquinamenti come quello del mais criollo. Temono che ancora una volta l’opinione pubblica si distragga. Sarebbe un peccato, per una volta che un dibattito produce raccomandazioni giudiziose invece di posizioni pro o contro gli Ogm, più ideologiche che ben informate. E a proposito di posizioni, vorrei dire la mia. Diversamente da parecchi lettori, non sono contraria per principio alle piante transgeniche. Credo che alcune potrebbero risolvere problemi reali senza crearne di peggiori e aspetto che l’utilità o la dannosità sia dimostrata nei vari contesti in cui si pensa di coltivarle. Invece non credo proprio che quelle prodotte dalle multinazionali serviranno mai a sfamare il terzo mondo come dice la loro pubblicità. Dopotutto, le multinazionali hanno lo scopo di arricchire i propri azionisti, mica di distribuire cibo ai poveri. Per loro stessa definizione, non sono organizzazioni umanitarie non profit. Quindi la smettano di spacciarsi per tali che tanto non ci casca nessuno.

Pubblicato il 

15.02.02

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