È possibile sbagliare un calcio dal dischetto, come canta Francesco de Gregori (“Nino non aver paura/ di sbagliare un calcio di rigore”). Molto più difficile se la porta è vuota perché il portiere è stato espulso e non c’è nessuno che lo possa sostituire. Eppure, nelle elezioni amministrative per eleggere il nuovo presidente della Liguria, visto che il vecchio era finito in galera per i magheggi illeciti tra politica e affari, è successo proprio questo: il candidato del centrosinistra Andrea Orlando, accreditato all’inizio della campagna elettorale con un +10% sull’avversario di centrodestra, ha perso la sfida, sia pure per appena 9mila voti. In parole povere, le forze che si oppongono alle destre fasciste, leghiste e turbocapitaliste hanno preso la mira e invece di infilare il pallone nella porta sguarnita l’hanno buttato in tribuna. L’assist (involontario, motivato dalle leggi e non da pregiudizi antimeloniani) della magistratura genovese che ha svelato il malaffare nella regione è andato dunque sprecato.

 

Prima di analizzare le cause occasionali della sconfitta democratica conviene prendere il toro per le corna: ha votato il 45% dei liguri, il che significa che ben più di un elettore potenziale su due è rimasto a casa. Chi per rabbia e chi ormai per disinteresse verso la politica e verso chi dovrebbe gestire il bene comune. Dire che tanto sono tutti uguali è qualunquismo, resta però il fatto che gli elettori non vedono alternative concrete allo stato di cose presente, sono incazzati per i bassissimi salari e pensioni e per una sanità per soli ricchi perché i soldi per la salute vengono dirottati negli arsenali bellici: sono ciechi i cittadini, oppure effettivamente il campo democratico non è capace di proporre un’idea diversa di politica, di gestione del territorio, di progettare un modello sociale politico e amministrativo diverso da quello delle destre? Siccome i cittadini attuali non si possono cambiare con altri, sognandoli fedeli a un modo di governare fallimentare e a un sistema dei partiti che però si è sciolto come neve al sole, o cambia il paradigma o la destra-destra governerà per un ventennio. Non è già capitato in Italia?

 

Con Renzi non sarebbe andata meglio

In fondo, solo 9mila voti di differenza (lo 0,6%), scrivono appassiti commentatori sulla scia della misera autodifesa degli sconfitti; sarebbero bastati i voti di Renzi che Conte non ha voluto nel campo largo delle opposizioni per vincere le elezioni. Una sciocchezza: con Renzi in lista, neanche il miserrimo sopravvissuto 4,5% degli elettori che turandosi il naso hanno messo la crocetta sul M5S e sul candidato presidente Orlando si sarebbe presentato alle urne. E neanche quella minoranza di operai che ancora vota a sinistra avrebbe ingoiato il rospo Renzi, memore del criminale jobs act che ha picconato i diritti del lavoro. Conte ha incassato il peggior risultato della sua storia, complice e protagonista Beppe Grillo che pur di accettare una sorta di congresso straordinario del movimento per ridefinire regole, programma e alleanze future ha scatenato tutti i suoi dardi contro chi vuole togliergli un vitalizio da 300mila euro. Fino a disertare le urne e teorizzare lo scioglimento del M5S (e possibilmente anche di Conte nell’acido muriatico).

 

Povera sinistra

Nel PD di Elly Schlein le cose non vanno meglio perché è difficile governare un non partito fatto di correnti, lobby e centri di potere contrapposti che si dividono su tutto, a partire dai grandi temi come la pace e la guerra. I renziani del PD ora più che mai, dopo la sconfitta in Liguria, vanno all’attacco per incassare il ritorno del figliol prodigo che raccoglie il 2% dei consensi ma viene trattato da tutti, politica e informazione, come se ne avesse quanti ne aveva la DC cinquant’anni fa, o comunque lo si vuole come ago della bilancia. Pazienza se proprio a Genova governava con le destre e con l’ex sindaco che ora ha vinto la competizione regionale, Marco Bucci. Ma il PD è tornato primo partito in regione (nel senso che ha perso meno voti degli altri partiti) e a Genova città Orlando ha staccato di molti punti Bucci, è l’autodifesa di chi ha sbagliato il rigore a porta vuota. Sì ma l’Alleanza Verdi Sinistra è andata bene, oltre il 6%. E allora, non ci resta che brindare? Per non parlare dei tre candidati presentati da altrettanti partitini e coalizioni a sinistra del centrosinistra che hanno disperso poco meno del doppio dei voti mancati a Orlando per vincere. Ma chi può pensare che se quei partitini “comunisti” non si fossero presentati i loro pochi adepti sarebbero andati a votare per Orlando?

 

Dalla democrazia imperfetta alla postdemocrazia

Così si torna a bomba, e cioè all’astensione di massa che certifica il passaggio dalla democrazia imperfetta del Novecento alla postdemocrazia. Per di più illiberale, se si leggono le nuove leggi sulla sicurezza del governo Meloni; nonché xenofoba e autoritaria se si esaminano le parole con cui i giudici romani hanno fatto ricorso alla  Corte europea per i diritti umani contro il decreto legge governativo sui paesi sicuri, i cui migranti possono essere deportati in Albania: con i criteri del governo, “anche la Germania nazista sarebbe un paese sicuro”. Non è di questo che le forze democratiche dovrebbero occuparsi e preoccuparsi, e non di Matteo Renzi? La crisi della democrazia approfondisce il fossato che divide i cittadini dalla politica, li incattivisce e la rabbia cieca non fa crescere la sinistra ma la destra, non aumenta anzi cancella i valori della solidarietà e scatena la guerra tra poveri.

 

Elezioni regionali in Emilia Romagna e Umbria

Il 17 e 18 di novembre si vota in altre due regioni, l’Emilia Romagna e l’Umbria. In Umbria la candidata presidente del centrosinistra è una figura forte, capace di unire le forze democratiche ma scalzare dal potere la destra che da troppo tempo governa l’ex regione rossa sarà molto difficile. In Emilia Romagna continua la tradizione “riformista” (c’è chi la chiama più semplicemente renziana) ma continuano anche, purtroppo, le inondazioni e i disastri ambientali che non aiutano di certo chi dal dopoguerra amministra ininterrottamente la Regione e le città. È vero che il governo Meloni lesina gli aiuti ai nemici “rossi”, ma a interrare fiumi e torrenti che ora si riprendono il loro spazio non sono stati i fascisti ma chi qui ha sempre governato. Probabilmente il centrosinistra riuscirà a salvare la pelle, ma a dare per scontata la vittoria si commetterebbe un peccato di arroganza.

Pubblicato il 

30.10.24
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