PARIGI. C’è stato un terremoto politico in Francia, con le elezioni europee del 9 giugno vinte dal Rassemblement National, seguite dalla convocazione precipitata di legislative anticipate dove la conquista del potere dell’estrema destra è stata bloccata dal “fronte repubblicano”? Dal punto di vista delle alte cariche dello stato tutto è rimasto uguale: alla presidenza dell’Assemblée Nationale è stata riconfermata Yaël Braun-Pivet, dell’area Macron, mentre il governo Attal, che ha dato le dimissioni, resta in carica per gli “affari correnti”, con l’avvicinarsi delle Olimpiadi. Per il Nuovo Fronte Popolare, la delusione è grande: il blocco di sinistra è arrivato in testa al secondo turno delle legislative, ma in mancanza di coalizione con altre forze, non è riuscito a far eleggere il proprio candidato, il comunista André Chassaigne, alla presidenza dell’Assemblée. Yaël Braun-Pivet, arrivata terza al primo turno, ha risalito la china ed è uscita vittoriosa al terzo round (in cui bastava la maggioranza semplice), per 13 voti e promette “nuovi metodi” e “nuove soluzioni” per l’Assemblée Nationale, diventata il centro della politica francese. Il Nfp pensa a fare ricorso, in nome dell’anomalia della presenza in aula e al voto di 17 deputati che restano al tempo stesso ministri in esercizio, anche se ufficialmente dimissionari: un conflitto di interesse che però, secondo i costituzionalisti, non trova una soluzione nei testi fondatori. La tensione tra i tre blocchi – sinistra, centro, estrema destra – è tale che non è stato possibile mettere d’accordo gli 11 gruppi politici in cui si è organizzata la Camera, per nominare le cariche del “bureau” dell’Assemblée (21 posti, tra cui 6 vice-presidenti, 3 questori e 12 segretari). Sabato, altro rompicapo: deve essere scelto il presidente dell’importante commissione Finanza, carica che è ricoperta dall’opposizione. Ma chi è opposizione? Sugli 11 gruppi, 8 si sono dichiarati di “opposizione”, cioè contro il governo Attal, che è però in attesa di venire sostituito. L’ultima parola è del presidente Macron, che ha affermato di attendere “la strutturazione” dell’Assemblée, per decidere. L’elezione di Braun-Pivet ha però delineato una possibile alleanza per il prossimo governo, i voti del centro dell’area Macron si sono uniti a quelli della destra gollista, che ora si chiama Droite Républicaine (ex Lr). Il leader, Laurent Wauquiez, che si prepara alla scalata all’Eliseo per il 2027, ha negoziato dei posti-chiave nel “bureau”, ma rifiuta, per il momento, di concludere un accordo di governo con i macronisti. In ogni caso, questa eventuale intesa non sarà sufficiente per avere la maggioranza. L’obiettivo del centro, che pur avendo perso (un centinaio di deputati in meno per l’area Macron) ritiene di aver conservato un ruolo di equilibrio che nessuno può eludere, è di riunire un’ampia coalizione, dai social-democratici alla destra repubblicana. In Francia manca una cultura di coalizione Giovedì, è stato significativo il contrasto del voto al Palais Bourbon con quello a Strasburgo, dove gli europarlamentari hanno riconfermato Ursula von der Leyen (Cdu) alla presidenza della Commissione: al parlamento europeo, S&D (di cui fa parte il Ps francese) ha votato a favore della cristiano-democratica tedesca e così ha fatto il gruppo dei Verdi, ma in questo caso gli eurodeputati francesi si sono distinti, votando contro, perché “non ci sono le condizioni”, mentre per gli altri ecologisti europei von der Leyen è il meno peggio, in un momento di crescita dell’estrema destra ostile alle norme climatiche. Per la maggioranza dei Verdi europei è stato più importante salvare il salvabile del Green Deal, a scapito di uno schieramento ideologico. Il Nfp rivendica il primo ministro, ma rischia di farsi scippare la vittoria. I 4 partiti che formano il blocco non sono finora riusciti a mettersi d’accordo su un nome comune, 6 candidati sono stati bruciati da veti incrociati, del Ps e della France Insoumise (Lfi), ultima l’economista ecologista Laurence Tubiana, che è stata la mediatrice per l’Accordo di Parigi del 2015, rifiutata dagli amici di Jean-Luc Mélenchon. Giovedì, alla manifestazione in place de la République, la segretaria della Cgt, Sophie Binet, ha mandato un messaggio: “non deludeteci prima ancora di aver governato”. Per il momento, prevalgono le invettive contro il risultato del voto per la presidenza dell’Assemblée. Il socialista Boris Vallaud parla di “fronte opportunista” che ha fatto perdere Chassaigne, che parla di “voto dei francesi rubato da un’alleanza contro-natura”, tra centro e destra. Per Eric Coquerel (Lfi), “quando il gioco delle alleanze traveste il risultato democratico, c’è un problema”. La Destra Repubblicana ha giustificato il voto per la macronista Braun-Pivet: “la Francia sarebbe stata il solo paese, con Cuba e la Corea del Nord, ad avere un comunista in un’alta carica dello stato”. |