In 15'000 in piazza per chiedere salari decenti

Equità salariale, condizioni di lavoro più giuste e pensioni dignitose. Queste le rivendicazioni al centro della grande manifestazione sindacale tenutasi sabato scorso a Berna, dove oltre 15.000 persone provenienti da ogni angolo della Svizzera (circa 600 dal Ticino) hanno dato vita per le vie del centro ad un lungo, rumoroso e colorato corteo.

 

A scandire slogan e a sorreggere striscioni contro il degrado delle condizioni di lavoro, contro il furto delle pensioni, contro il dumping sociale e salariale e per un'equa ripartizione della ricchezza c'erano lavoratrici e lavoratori di tutti i settori professionali, militanti di tutte le federazioni dell'Uss, molte donne e molti giovani. Ciascuno con la sua storia, con i suoi problemi, con le sue incertezze, con le sue paure, ma anche con la consapevolezza della necessità di condividere con gli altri la lotta per una società più giusta, per il diritto a una vita dignitosa in cambio del duro lavoro.


Il lungo corteo, baciato da un sole splendente (quasi a fare da contraltare alle preoccupazioni per un futuro nebuloso) ha raggiunto a metà pomeriggio la Piazza federale. E dunque il Palazzo del Parlamento, dove «si sta preparando un attentato», ha tuonato dal palco il presidente dell’Unione sindacale svizzera (Uss) Paul Rechsteiner riferendosi ai progetti di controriforma del Consiglio federale in materia di Avs e di secondo pilastro. Progetti, ha detto, che rappresentano «il più violento attacco contro le pensioni che la Svizzera abbia mai conosciuto». Di qui la necessità di «una svolta» nella politica sociale di questo paese.


Una svolta che s'impone anche nell’ambito della gestione della libera circolazione delle persone, di cui «alcuni datori di lavoro senza scrupoli abusano, allo scopo di ridurre i salari e i di mettere in concorrenza i lavoratori con il passaporto svizzero con quelli che non l’hanno», ha dal canto suo denunciato la co-presidente del sindacato Unia e vicepresidente dell'Uss Vania Alleva, auspicando in particolare l’adozione di norme più incisive contro il dumping salariale, di più controlli, di sanzioni più severe per chi sgarra e approfitta. «Senza un rafforzamento di queste misure la libera circolazione è in pericolo» ha ammonito a due riprese la sindacalista.


Serve in particolare l’introduzione di un salario minimo legale di 4.000 franchi (come chiede l’iniziativa popolare dell’Uss, che proprio nei giorni scorsi è stata bocciata dal Consiglio degli Stati e che verso la metà dell’anno prossimo sarà posta in votazione popolare), così da garantire a tutti i mezzi sufficienti per vivere.
«È forse chiedere troppo? In questo modo il sindacato mette in pericolo il “modello di successo elvetico”, come affermano certi politici borghesi e i capitani dell'economia?», si è chiesta provocatoriamente Vania Alleva ricordando alcuni dati di fatto sulla «vita nella ricca Svizzera», dove «quasi un milione di bambini, di adolescenti e di adulti vivono in povertà o quasi, dove ci sono quasi 200.000 disoccupati che subiscono dolorose perdite salariali e dove quasi mezzo milione di salariati riceve retribuzioni troppo basse».


Quei signori raccontano insomma il «mondo alla rovescia». «Non siamo noi che minacciamo la Svizzera e il suo modello di successo, ma l'avidità dei manager e la precarizzazione delle condizioni di lavoro. La Svizzera è in pericolo a causa del modo iniquo con cui viene spartita la torta che noi realizziamo con le nostre capacità, perché pochi super-ricchi e certi salari da capogiro se la mangiano quasi tutta e a noi restano le briciole», ha concluso Vania Alleva.

 

Pubblicato il

25.09.2013 22:37
Claudio Carrer