Imbrogli in provetta

Torniamo a parlare del laboratorio Las (Laboratorio di analisi speciali chimico-cliniche) di Breganzona. Laboratorio che opera col marchio della Unilabs. Ne riparliamo perché ci sono delle novità. Allora ce ne eravamo occupati da un punto di vista squisitamente sindacale. E ne era emerso un quadro sconcertante. Dalle testimonianze di ex dipendenti siamo venuti a sapere di casi conclamati di mobbing, di licenziamenti arbitrari. Ciò che portava inevitabilmente ad un frequente ricambio di personale. L’offerta di lavoro Ma le scorrettezze della Unilabs non si limitano, si fa per dire, a questioni strettamente lavorative. Lo dimostrano nuovi fatti di cui siamo venuti a conoscenza e che descriveremo ripercorrendo le vicissitudini di una signora, cittadina italiana, che ha avuto a che fare col laboratorio di Breganzona. Da questi fatti scopriremo che il Las si è macchiato di ben altre irregolarità e di una certa rilevanza. I fatti risalgono ad un anno fa. La signora venne contattata da un’agenzia di reclutamento internazionale con sede a Lugano. Alla signora, forte di una specifica laurea italiana e di un titolo di PhD (Philosofical doctor) conseguito negli Stati Uniti, propongono una posizione all’interno del laboratorio di Breganzona: dovrebbe assumere la responsabilità del reparto di analisi immunologiche. La proposta è certamente allettante e, tuttavia, occorre essere cauti. L’agenzia in questione, è specializzata nella collocazione di figure professionali alte. Un’agenzia rinomata e che si può dunque considerare affidabile. Il lavoro offerto è, appunto, da svolgere presso il laboratorio Las di Breganzona. Il Las in pratica risulta, come appare sull’intestazione del modulo per la richiesta di analisi, «membro del gruppo Unilabs». Dunque la candidata prima di accettare il lavoro raccoglie qualche informazione sulla Unilabs e verifica facilmente che si tratta di un gruppo consolidato, con una rete di laboratori in tutta Europa. Di più, la Unilabs è il leader europeo dei laboratori di analisi cliniche e, tanto per rendere l’idea, nel corso del primo semestre di attività 2001/2002 ha realizzato un fatturato record. In questi termini l’offerta, si capisce, appare seria e la nostra interlocutrice si risolve per il trasferimento, stabilendosi nel Comasco. Il primo di gennaio entra in servizio presso il laboratorio di Breganzona e lì cominciano i guai. Il permesso di soggiorno negato A partire dalle pratiche relative al permesso di soggiorno. A novembre la signora aveva già consegnato regolarmente e per tempo tutti i documenti necessari. Eppure il permesso non arriva. Prima ancora di partire si informa presso la Unilabs per sapere a che punto sono le pratiche per l’ottenimento del permesso. I responsabili la rassicurano, tanto che lei si fida e si stabilisce provvisoriamente in zona di confine, sicura che la faccenda si sarebbe risolta assai in fretta e in modo da poter finalmente trasferirsi in Ticino più vicina al nuovo posto di lavoro. Come si arguisce dal seguito della storia è invece probabile che in quel momento la Unilabs stesse nascondendo delle difficoltà di cui era al corrente e la faccenda era ben lungi dall’essere appianata. Infatti in data 15 febbraio 2001 alla Las viene recapitata una lettera da parte dell’Ufficio della manodopera estera con la quale si comunica che la domanda per il permesso di lavoro della signora è respinta. Vengono alla luce due cose poche chiare. La prima è che la lettera si riferisce ad una richiesta per un permesso di breve durata. Cosa strana per una persona che è stata chiamata a ricoprire una funzione di tale responsabilità all’interno del laboratorio. La seconda cosa, ancor più grave, è che l’Ufficio della manodopera nega il permesso di lavoro perché la funzione di immunologa non si spiega all’interno di un istituto che «non dispone dell’autorizzazione cantonale per eseguire analisi di immunologia» (cfr. documento). Questo è il punto: il Las di Breganzona conduce analisi di tipo immunologico pur non avendone l’autorizzazione cantonale. Analisi non autorizzate Abbiamo verificato presso l’Ufficio della sanità cantonale che tale laboratorio non dispone tuttora di autorizzazioni per le analisi immunologiche. Eppure nel formulario per la richiesta di analisi è offerto anche questo servizio. Va detto poi che la faccenda non è proprio all’acqua di rose visto che in questo tipo di analisi rientrano gli accertamenti di malattie anche gravi quali il diabete, ad esempio. E di altre malattie autoimmunitarie, in gran parte poco diffuse ma gravi, quali la sclerosi multipla, la colite ulcerativa, l’artrite reumatoide e altre. È chiaro che un errore di risultato può esser pagato caro dal paziente. A questo si aggiunge il fatto che il personale impiegato presso il reparto di analisi immunologiche del Las spesso non aveva le competenze per svolgere queste mansioni. Si trattava di persone che erano poco più che dei tecnici. A questo proposito alla signora era poi venuto il sospetto che l’urgenza con cui si è cercata una figura di immunologo qualificato fosse stata pensata proprio per ovviare alla bell’e meglio ad una situazione di inettitudine a svolgere delle analisi che comunque il Las offre. Niente stipendio a fine mese Tornando alle vicende personali di questa signora è chiaro che, stando così le cose, si sia risolta per l’abbandono dell’impiego. Tanto più che ai problemi legati alla concessione del permesso di lavoro se ne aggiungono degli altri. Alla fine del mese di gennaio non le viene versato lo stipendio. E tutti tentativi fatti per cercare di ottenerlo si vanificano. Se a questo aggiungiamo quel sentore di tante cose poco chiare che avvenivano nella ditta capiamo bene che la nostra interlocutrice non ha potuto far altro che dimettersi e rivolgersi ad un avvocato. Non contenti i responsabili della Las, cogliendo al balzo la notizia del permesso di lavoro non concesso, negano che ci sia mai stato un rapporto di lavoro con la querelante. E per suffragare la delirante ipotesi sostengono di essere in possesso di quindici dichiarazioni firmate da dipendenti del laboratorio dove si testimonia che la signora non ha mai lavorato presso il Las di Breganzona. Diciamo «deliranti» perché parallelamente si chiede alla signora di restituire le chiavi del laboratorio. Ora, come si spiega che una persona sia in possesso delle chiavi di un laboratorio dove non ha mai lavorato? L'indagine recente Apprendiamo da un ampio servizio apparso su «La borsa della spesa», periodico dell’Associazione delle consumatrici della Svizzera italiana (Acsi) che negli ultimi due anni l’Ufficio del farmacista cantonale ha effettuato dei controlli sui laboratori d’analisi mediche in Ticino. Ne è risultato che su nove laboratori autorizzati due sono stati multati proprio per aver eseguito delle analisi senza averne il permesso. Mentre per un terzo laboratorio è in corso una procedura di contravvenzione. Noi non sappiamo se il Las di Breganzona risulti tra i laboratori multati, né se sia messo in regola con le autorizzazioni. Quello che sappiamo è che il Dos prossimamente diramerà un comunicato stampa sui risultati dell’inchiesta condotta. Inchiesta è scaturita da una vera e propria emergenza. Come informa sempre «La borsa della spesa», si calcola infatti che il Ticino detiene un vero e proprio record per quanto concerne le analisi mediche condotte da laboratori esterni. Nel nostro cantone se ne eseguono il 70% in più rispetto alla media svizzera. E si stima che gli sprechi ammontino a circa 10 milioni di franchi. Tali costi straordinari, evidentemente, finiscono per riversarsi sulle Casse malati e, dunque, su chi ne paga i premi mensili. Stiamo parlando di tutti noi. Perché c’è una richiesta così forte di analisi cliniche nel nostro cantone? Purtroppo non ci sono in Ticino fattori che spieghino o giustifichino dei costi così alti né dal profilo epidemiologico che da quello della morbilità della popolazione. In buona sostanza non è provato che i ticinesi siano più ammalati del resto della popolazione elvetica. Quello che si sospetta è che ci siano delle «collusioni» tra i committenti delle analisi (i medici) e gli esecutori (i laboratori). Si pensa in particolare a sconti concessi dai laboratori che non sono andati a beneficio del paziente, come prevede la Legge sull’assicurazione malattia (Lamal), ma di medici o di altri intermediari tra medico e laboratori.

Pubblicato il

15.02.2002 01:30
Sabina Zanini