Iloti

La storiella di Carletto, il viagra e le tre ragazze svedesi. Irriferibile, per rispetto dei lettori di questo giornale. L’ha raccontata Silvio Berlusconi suscitando il gelo nell’uditorio, aggiungendo poi alcune considerazioni sulla manovra che il governo Conte sta cercando di far approvare per una lotta efficace all’evasione fiscale, in pratica un tetto di mille euro ai pagamenti in contanti e una sanzione penale severa per chi evade le imposte oltre i 50.000 euro.

 

Ecco le perle di saggezza snocciolate dal capo della destra nella sua caratteristica prosa lombarda: «Con tassa e spendi, spendi e tassa della sinistra si è aggiunto tassa e ammanetta, tassa e metti in galera, perché dire che uno ha fatto un’evasione fiscale sopra i 50.000 euro, se uno ha un minimo di presenza nella società, è un gioco da ragazzi». E per non essere frainteso: «Con l’arresto oltre 50.000 euro chiunque può essere preso. È un attacco alla libertà».


La domanda è questa: se chi racconta barzellette imbarazzanti di solito fa anche discorsi qualunquistici sulle tasse, allora può valere anche il contrario? Cioè chi fa discorsi così e così sulle tasse, prima o poi racconterà storielle come quella di Carletto? In un dibattito televisivo prima delle elezioni per il Consiglio nazionale, ossia il consiglio d’amministrazione di chi gode i frutti dell’evasione fiscale italiana, uno dei partecipanti ha fatto la proposta di pagare di meno i lavoratori frontalieri «perché il costo della vita in Italia è inferiore». Nessuno si è scandalizzato.


Oggi si chiama Karadeniz Ereğli, città sulla costa turca del Mar Nero, 170.000 abitanti, acciaio e pesca. Nell’antichità si chiamava Heraclea Pontica, fondata a metà del VI secolo a.C. da coloni greci provenienti da Megara, la città da sempre antagonista di Atene. All’arrivo dei coloni, quel territorio era occupato dai Mariandini, una popolazione dall’origine sconosciuta. I coloni greci li sottomisero privandoli di ogni diritto, ma con un patto: non li avrebbero mai venduti all’estero come schiavi: una schiavitù “paternalistica”. Condizione dunque simile a quella degli iloti, gli antichi abitanti della Laconia sottomessi dai conquistatori dori spartani: potevano essere vessati e sfruttati in ogni modo ma non venduti come schiavi.


Quando si trattò di descrivere le rivolte degli schiavi in Sicilia avvenute nel II secolo a.C., Diodoro Siculo attinse largamente alle Storie oggi perdute di Posidonio di Apamea, filosofo e scienziato che aveva viaggiato in Spagna, in Gallia, nel Nordafrica, in Sicilia, aveva visto gli schiavi al lavoro nelle miniere, la loro vita breve, la loro disperazione, e giudicava questa cosa intollerabile. A lui risale la distinzione fra la schiavitù consistente nel vendere e comprare gli uomini come animali e la schiavitù “naturale” come quella dei Mariandini o degli iloti spartani. I braccianti africani che nel sud dell’Italia e della Spagna oggi producono quasi gratis la verdura e la frutta per tutta l’Europa sono i nostri schiavi. Invece i lavoratori svizzeri costretti a dormire all’estero per privarli del diritto di esprimersi sulle condizioni di lavoro, sono i nostri iloti.


La traduzione e il commento al testo di Diodoro Siculo sono del professor Luciano Canfora, che ha rivolto con la stessa emozione di Posidonio il suo sguardo di studioso sui dannati della terra.

Pubblicato il

07.11.2019 09:57
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