Per giustificare la garanzia contro i rischi dell'esportazione a favore dello sbarramento idrico contestato d'Ilisu in Turchia, il Consiglio federale ha utilizzato un anno fa gli stessi argomenti avanzati dieci anni fa quando si era pronunciato a favore della diga delle Tre Gole in Cina. Nel frattempo, gli avvertimenti che a suo tempo erano stati ignorati dal Consiglio federale si sono confermati.

Verso fine giugno 2007, nel bacino di ritenzione dello Yangtsé (Cina), una parte dell'argine ha ceduto provocando un'onda di 50 metri d'altezza, la morte di quattro persone ed ingenti danni. Da anni, centinaia di frane si sono verificate lungo i 660 km del lago inondandone le rive. Numerose persone che già erano state evacuate al momento della costruzione della diga dovranno di nuovo fuggire.
Dalla metà degli anni '90, almeno 1,4 milioni di persone sono state evacuate forzatamente a seguito della costruzione della diga delle Tre Gole. Una parte di esse sono state ricollocate dal governo in zone lontane e popolate da minoranze etniche che si sono ribellate contro i nuovi abitanti. La sorte non è stata più clemente per le persone che sono potute rimanere nella loro regione: non c'erano abbastanza terre fertili di sostituzione. E coloro che avevano diritto ad un risarcimento sono stati spesso ingannati da funzionari corrotti. A causa della carenza di posti di lavoro, molti migranti sono rimasti privi di un reddito fisso.
Malgrado il bacino artificiale sia già pieno per tre quarti, l'approvvigionamento idrico delle città situate sulle rive del lago viene già minacciato. Le acque luride vengono riversate nel lago senza essere depurate e sotto la superficie dell'acqua si trovano circa 1'000 villaggi, con i loro detriti, fabbriche, centrali di carbone e miniere. I pesticidi ed i concimi favoriscono la formazione di alghe, i pesci muoiono. Da tempo, gli esperti e le Ong hanno messo in guardia contro questi problemi. Già nel 1993, Alliance Sud aveva preso una chiara posizione esprimendosi sui punti deboli del progetto. Un violento dibattito pubblico ha avuto luogo nell'autunno del 1996 quando Abb e Sulzer avevano chiesto alla Confederazione una garanzia contro i rischi delle esportazioni di oltre 365 milioni di franchi per la consegna di turbine e generatori. In effetti questa garanzia violava le linee direttrici Nord-Sud del Consiglio federale, in particolare in termini di diritti umani ed ecologia. Ma, siccome la Svizzera era in piena recessione, le voci critiche sono state accusate di "uccidere posti di lavoro".

Il cibo prima della morale

A quei tempi, Nicolas Imboden, delegato per gli accordi commerciali dell'Ufficio federale degli affari economici esterni (oggi Seco), valutava che il progetto contraddiceva gli obiettivi della politica di sviluppo del Consiglio federale. Il suo capo, Franz Blankart, invece non voleva nemmeno ascoltare le importanti obiezioni del collaboratore personale del presidente della Banca mondiale James Wolfensohn. Confrontato in un'intervista con la citazione di Brecht "prima il cibo, poi la morale", ha risposto alzando le spalle: «È così».
Ed è successo. Il 9 dicembre 1996, il Consiglio federale ha concesso una garanzia, otto settimane dopo la richiesta. Ha giustificato la decisione affermando che i vantaggi della diga erano maggiori rispetto alla questione dei diritti umani, in particolare gli impieghi in Svizzera, la produzione di energia pulita e la crescita economica della Cina. L'allora ministro dell'economia Pascal Couchepin ha dichiarato: «la realizzazione del progetto di diga si farà, con o senza la Svizzera. Più aziende straniere sono implicate nel progetto, maggiore è la concentrazione degli interessi internazionali. Questa focalizzazione dovrebbe incitare le autorità cinesi a procedere in modo corretto e a mostrarsi attente ai bisogni della popolazione quando arriverà il momento di evacuarla». E concluse: «la garanzia contro i rischi delle esportazioni non è uno strumento della cooperazione allo sviluppo».
Dieci anni dopo si è verificata la stessa identica cosa. Il 15 dicembre del 2006 il Consiglio federale ha autorizzato una garanzia contro i rischi delle esportazioni di più di 225 milioni di franchi per un progetto controverso di diga a Ilisu, nella zona conflittuale curda della Turchia. Le critiche sono le stesse di quelle della diga cinese: evacuazione forzata delle popolazioni senza previa consultazione, carenza di terre fertili di sostituzione e di alternative di lavoro per le circa 55'000 persone molto povere, risarcimenti esageratamente bassi. Anni fa gli esperti hanno previsto che la qualità dell'acqua si sarebbe deteriorata a causa della carenza di stazioni di depurazione nelle città situate sulle rive del lago, che quest'ultimo si sarebbe riempito di residui e che i pesci sarebbero morti. Le organizzazioni per i diritti umani riferiscono regolarmente di casi di repressione e di torture nel sud della Turchia. Infine, i paesi limitrofi al fiume Tigre – la Siria e l'Iraq – non sono mai stati consultati e non hanno avuto nulla da dire sui deflussi "residui".
Insomma, il progetto non corrisponde in nessun modo agli standard internazionali vigenti in materia d'ecologia e di diritti umani, anche se i costruttori affermano il contrario. Si tratta di imprese svizzere quali Alstom Svizzera, Colenco, Maggia e Stucki e di aziende tedesche ed austriache.

Tigre di carta

Il Consiglio federale ha giustificato la propria decisione a favore dell'Ilusu utilizzando praticamente le stesse parole usate per la diga delle Tre Gole dieci anni prima. Un anno fa, Doris Leuthard, ministra dell'economia, ha fatto notare durante una conferenza stampa che il suo compito era di mantenere gli impieghi in Svizzera e di crearne di nuovi. Non ha dimenticato di menzionare l'energia pulita e la crescita economica della Turchia. Ha pure aggiunto: «Che sia ben chiaro: Ilisu sarà costruito. Se la Svizzera non darà un segnale chiaro oggi, la diga sarà costruita da altri». Secondo la Consigliera federale, la Turchia realizzerà il progetto in modo migliore se saranno coinvolte ditte europee. «Abbiamo ottenuto le migliori disposizioni protettive possibili per le persone implicate». Il Consiglio federale, nel caso dell'Ilisu, ha aggiunto una nuova strofa al vecchio ritornello: ha chiesto determinate condizioni per l'approvazione definitiva del progetto. Una commissione internazionale di esperti, con una rappresentanza svizzera, è stata creata per controllare l'adempimento di queste condizioni. Inoltre, la Svizzera, la Germania e l'Austria hanno previsto di interrompere il versamento dei loro crediti, se la Turchia non dovesse rispettare queste nuove disposizioni. 
Nel marzo del 2007, il Consiglio federale ha valutato che le migliorie erano state realizzate e ha concesso la garanzia definitiva. Nel frattempo sono iniziate le evacuazioni di persone. In agosto, la Dichiarazione di Berna ha osservato in loco che i lotti alternativi mancavano e che le popolazioni implicate non ricevevano che miseri risarcimenti, in violazione del processo di espropriazione.
Peggio ancora: in settembre, la commissione internazionale di esperti ignorava che le evacuazioni di popolazioni erano già iniziate perché il suo corrispondente in seno all'amministrazione turca non era ancora stato designato. Questo esempio dimostra fino a che punto sia facile aggirare o eludere le disposizioni. Troppi quesiti sono rimasti senza risposta, troppo numerosi sono i ricorsi alla legislazione turca, che non corrisponde agli standard internazionali. La minaccia d'interruzione di finanziamento è una tigre di carta.
Il Seco non può riconoscere apertamente che i grossi sforzi investiti per il miglioramento del progetto sono sproporzionati rispetto ai miseri benefici sperati. Inoltre il processo laborioso di negoziati tra i quattro paesi implicati viene d'altronde considerato come un'eccezione, che non verrà ripetuta.
In futuro, la vecchia musica finirà con il solito ritornello: «l'assicurazione contro i rischi delle esportazioni non è uno strumento della cooperazione allo sviluppo».

Pubblicato il 

29.02.08

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