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Il vero volto dell’Udc
di
Stefano Guerra
Ha ragione il presidente onorario dell’Unione democratica di centro (Udc) ticinese Alessandro von Wyttenbach quando scrive che «identificare l’Udc con Etter o strumentalizzare i suoi comportamenti per attaccare il partito non sarebbe solo ingiusto, ma moralmente iniquo» (Corriere del Ticino, 19 aprile 2003). Ed è chiaro che il partito non può «essere ritenuto responsabile dell’operato dei suoi singoli esponenti», come ha sottolineato la direttiva dell’Udc Ticino due giorni dopo l’arresto dell’ex granconsigliere Roger Etter, ora detenuto al penitenziario della Stampa con le accuse di appropriazione indebita, amministrazione infedele e assassinio mancato (subordinatamente omicidio mancato). Le barriere difensive erette dall’Udc non devono però far perdere di vista l’essenziale: e cioè che il comportamento personale di Roger Etter non può essere isolato dal contesto partitico – e dal relativo retroterra ideologico – nel quale l’ex deputato luganese si è costruito un nome negli ultimi quattro anni dopo la sua militanza senza infamia né lode nelle fila del Polo delle Libertà. Non si tratta di identificare il partito con Etter né di strumentalizzare i fatti, e nemmeno di inventare responsabilità inesistenti. Si tratta solo di illuminare i fatti con maggior luce. Rifiutando di correre assieme alla Lega dei ticinesi alle recenti elezioni cantonali e assumendo una posizione di ferma condanna nei confronti del consigliere nazionale Flavio Maspoli (giudicato colpevole lo scorso novembre di bancarotta fraudolenta), l’Udc si era profilata con successo come la destra bene del Ticino. La “questione morale” cavalcata durante la campagna elettorale era diventata uno dei suoi segni distintivi. In poche ore, però, «l’immagine di destra pulita da opporre a quella della Lega» è andata distrutta, scriveva Matteo Caratti su laRegioneTicino l’indomani dell’arresto di Roger Etter. I vertici del partito si sono detti indignati, traditi e – dopo aver scaricato il loro ex pupillo («Il caso è chiuso», ha sentenziato il presidente dell’Udc svizzera Ueli Maurer) – ora intendono introdurre nello statuto il principio dell’esclusione dalle cariche politiche di persone condannate per reati penali. Bene. Ma il caso non è chiuso. Affermarlo significa stendere un velo su silenzi e atti che non possono essere dimenticati. L’Udc nella quale Etter è nato e morto politicamente non è stata “in poche ore” defraudata della sua innocenza morale. Innocente, in realtà, questa Udc non lo è mai stata. Da quando l’ex partito agrario ha assunto una linea dichiaratamente blocheriana a seguito dell’avvicendamento alla presidenza fra Ulrico Feitknecht e Alessandro von Wyttenbach (giugno ’98), la posizione etica dell’Unione democratica di centro ticinese è stata a geometria assai variabile. Fatti recenti e meno lo dimostrano. Innanzitutto, il partito non ha mai assunto una posizione chiara sul primo “caso Etter”, scoppiato nel settembre 1999 quando il Sonntagsblick rivelò le simpatie dell’allora candidato al Consiglio nazionale per il nazionalsocialismo. Affascinato per «motivi d’interesse militare e storico», si difese Etter. La direttiva dell’Udc si limitò a parlare di «infamante campagna denigratoria» e di «vergognosa strumentalizzazione politica». I vertici del partito rinnovarono la fiducia al suo esponente sottolineando che lo stesso si identificava con il sistema democratico, ma non colsero l’occasione per prendere le distanze da qualsiasi manifestazione di simpatia per il nazifascismo. «La questione delle simpatie di estrema destra dell’Udc è stata messa via rapidamente. Probabilmente questo caso Etter avrebbe potuto essere evitato se il partito avesse adottato una posizione chiara a suo tempo», dice ad area Ulrico Feitknecht che una posizione di questo tipo la assunse con alcuni colleghi di partito proprio mentre lasciava un’Udc della quale non condivideva il nuovo corso blocheriano. Il secondo “caso Etter” non sarebbe stato evitato, ma una cosa è certa. L’Udc allora non mise alcun paletto, perse un’occasione per tracciare un chiaro confine fra ciò che è eticamente permesso al suo interno e ciò che non lo è, e non solo sulla questione del nazifascismo. Il disinibito comportamento dell’ex granconsigliere nella sua sfera privata e professionale non può essere separato dall’assenza di questi freni morali da parte del partito che rappresentava: è facendosi strada fra le larghe maglie etiche dell’Udc che Roger Etter è arrivato negli ultimi mesi ad assumerne di fatto il ruolo di portavoce morale, fra l’altro mentre lanciava pesanti insinuazioni sulla comunità calabrese in Ticino. Ma la consistenza della posizione etica dell’Udc ticinese la si è potuta misurare anche su altri fronti. Come si fa, come ha fatto di recente su Il Caffè il direttore de Il paese (l’organo ufficiale dell’Udc) Gianfranco Montù, ad essere credibili dal punto di vista morale quando si passa senza patemi d’animo da una giusta condanna delle malefatte del vicepresidente leghista Flavio Maspoli (motivo principale della mancata congiunzione delle liste alle ultime cantonali) a una relativizzazione dei reati commessi da Giuliano Bignasca? Come si fa ad affermare che «escluderemo dalla politica attiva chi si macchia di reati penali» e poi subito dopo a giudicare «non gravissimi» i reati di uso di stupefacenti e, soprattutto, di mancato pagamento di oneri sociali per i quali Giuliano Bignasca ha già pagato il conto alla giustizia ticinese? Non si possono nemmeno tacere, come del resto scrivevamo già diversi mesi fa (area, n. 24, 30 agosto 2002), gli ammiccamenti de Il paese all’estremismo di destra, i suoi appelli più o meno velati a sentimenti razzisti, xenofobi e anti-ebraici. E non è forse stato lo stesso Gianfranco Soldati ad aver dato uno degli esempi più chiari della bassa statura morale del partito che presiede quando, nel corso dell’ultimo dibattito pre-elettorale alla Tsi, si è rammaricato del fatto che l’assassinio di Ponte Capriasca fosse avvenuto dopo la votazione sull’iniziativa Udc (respinta dal popolo) in materia di asilo (area, n. 14, 4 aprile 2003? Le malefatte di Roger Etter rappresentano sì un caso isolato nella storia dell’Udc ticinese. Ma ora diventano anche marchio di un partito che – grazie anche e forse soprattutto all’ex deputato ora in carcere – ha perso definitivamente lo spirito agrario che lo caratterizzava fino a qualche anno fa acquisendo ormai – nelle parole e nei fatti – l’identità di un’Udc zurighese di periferia allineata alla statura morale del partito che copia. Il dramma di Etter, in fondo, non è solo personale. È anche il dramma di un partito che slitta sempre più verso posizioni di estrema destra e che più volte negli ultimi anni ha accolto nel suo seno personaggi non raccomandabili. Un’Udc che si specchia in quella zurighese non può ritenersi “pulita”, non è credibile quando si erge a paladina della questione morale. La persona Roger Etter, in fondo, è anche una sua creazione. Come dice bene Daniele Fontana su laRegioneTicino, «quello che [i responsabili dell’Udc] avevano visto sino a ieri bastava a rassicurarli? Bastavano, per la loro tranquillità, le sue simpatie nazionalsocialiste? Le sue letture? La divisa nazista che troneggiava all’entrata della sua milionaria casa di Rovio? Bastava al partito di Blocher che questa giovane promessa ticinese interpretasse nella maniera arcigna che tanto piace al tribuno zurighese la fobia dello straniero disseminatore di disordine e di crimine?». Sentir parlare ora di “tradimento” fa sorridere.
Pubblicato il
01.05.03
Edizione cartacea
Anno VI numero 17-18
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