Due condanne per omicidio colposo e due assoluzioni. È il verdetto del processo teso a chiarire la dinamica e le responsabilità dell'incidente nel quale persero la vita Andrea Astorino e Salvatore Di Benedetto il 21 gennaio 2005 mentre lavoravano nel cantiere Alptransit di Bodio.

Una sentenza tutto sommato storica. In particolare, negli sforzi della Procura pubblica e della Corte nella caparbietà dimostrata nel tentativo di rispondere al perché due giovani vite siano state stroncate mentre erano al lavoro. Il produttore dei trenini da cantiere e l'operatore addetto al controllo del traffico ferroviario sono stati condannati a 180 aliquote a testa, per due importi diversi stabiliti dal reddito (54 mila per il costruttore, 9mila franchi per l'operatore). Assolti invece il capocantiere e il responsabile del materiale rotabile del traforo alpino. Una laboriosa ricerca delle cause dell'incidente mortale «affinché non potesse essere liquidata con la formula della "tragica fatalità"» ha sottolineato il giudice Zali. Si trattava di capire perché quel maledetto giorno non tutti i vagoni del trenino stracarico di materiale di scavo abbiano cambiato binario, viaggiando in parallelo per 700 metri, schiantandosi contro un altro trenino e uccidendo i due operai.
Una ricerca della verità dovuta, nel rispetto del dolore dei parenti e amici delle vittime. Non sarà certo la verità processuale a restituire i loro cari, ma forse aiuterà a elaborare il lutto, la comprensione di quanto accaduto quel maledetto giorno. In secondo luogo, era un atto dovuto per evitare il riprodursi di drammi simili nei posti di lavoro.
La sentenza è la tappa finale di un percorso iniziato subito dopo l'incidente, con l'avvio dell'inchiesta condotta dalla procuratrice Chiara Borelli. Una fase istruttoria rivelatasi lunga e complessa, combattuta dai difensori degli imputati a suon di perizie atte a smontare l'ipotesi della dinamica dell'incidente formulata dai periti giudiziari. Pur dichiarando di non essere alla presenza di certezze assolute, il giudice ha motivato la sentenza proprio partendo dai fatti accertati dalla perizia giudiziaria. Nessuno ha contestato che le molle dei vagoni fossero rotte, così come è stato accertato che le nuove molle installate dopo l'incidente non avessero più causato problemi, né ai trenini né ai dispositivi d'allarme. Dispositivi che invece scattavano ripetutamente prima dell'incidente («fino a 50 volte in una giornata» è stato detto in tribunale), tanto che fu tolto il sonoro per non disturbare, «facendo calare la tensione necessaria agli operatori» ha rimarcato il giudice. Questo però non ha evitato la condanna dell'operatore, colpevole secondo il giudice di non aver seguito comunque il protocollo che prevedeva di contattare il macchinista per capire se c'era realmente un problema o meno. Il costruttore di trenini invece è stato ritenuto colpevole perché in base alle sue conoscenze professionali non poteva non sapere dei rischi derivanti dalle molle dei vagoni rotte. Avvisato dai responsabili di cantiere due mesi prima dell'incidente, ha sottovalutato i rischi non agendo tempestivamente. Colpevole di omicidio colposo per negligenza, dunque. Capocantiere e responsabile del materiale rotabile sono stati assolti perché in base alla loro formazione professionale, non potevano sapere il grado di pericolosità delle molle rotte. Entrambi «hanno sbagliato nel non chiedere garanzie di assenza del pericolo al costruttore di trenini, ma non è possibile imputare loro una colpa oggettiva» ha motivato il giudice nella lettura della sentenza.
Gli avvocati difensori dei due condannati, la procuratrice Borelli e l'avvocato dei familiari di Astorino, Sergio Sciuchetti, hanno annunciato di ricorrere in appello.

Pietro Mirabelli, inchiesta da rifare

La corte dei reclami penali (Cpr) del Tribunale di appello ha annullato il decreto di non luogo a procedere emanato dal Procuratore pubblico Zaccaria Akbas sulla morte di Pietro Mirabelli, minatore deceduto nel cantiere Alptransit di Sigirino il 22 settembre 2010. La Cpr ha quindi accolto il ricorso presentato dall'avvocato Sergio Sciuchetti in rappresentanza dei famigliari di Mirabelli.
In sintesi, i ricorrenti lamentano"una carenza nell'istruzione" condotta dal procuratore pubblico Akbas, dove sono stati tralasciati aspetti centrali per appurare quanto sia successo nell'incidente mortale. Nel ricorso sono stati evidenziati una serie di fatti tali da ipotizzare che nel cantiere di Sigirino «era in uso un tipo di lavorazione nella fase di avanzamento che imponeva agli operai di recarsi fisicamente in una zona di cantiere (...) allorquando questa non era ancora in sicurezza». In altre parole, prima la produzione e poi la sicurezza. Mirabelli, deceduto sotto il peso di un masso staccatosi dalla parete di avanzamento, vantava una grande esperienza in materia di sicurezza nei lavori sotterranei.Minatore fin da giovane, per quasi 10 anni è stato attivo nei lavori dell'Alta velocità Bologna-Firenze quale rappresentante dei lavoratori alla sicurezza. Secondo il procuratore pubblico invece l'incidente di Mirabelli è stata «una tragica casualità». Anzi, secondo il procuratore, il minatore si sarebbe trovato in quel posto a causa di un suo «comportamento imprevidente».
Ora il procuratore dovrà riaprire le indagini, completandole di quegli aspetti da lui trascurati nella prima inchiesta.

Pubblicato il 

23.12.11

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