Il venerdì di Antonio

Antonio è un capo cantiere. Vanta una lunga esperienza nei cantieri di mezzo paese. È un capo "onesto"; conosce bene il suo mestiere e rispetta gli operai. Venerdì 2 dicembre, la giornata di mobilitazione cantonale ticinese degli edili, Antonio gestisce nel Sopraceneri un cantiere importante, dove tre gru svettano nel cielo sfiorandosi quasi miracolosamente. Vi lavorano una quarantina e forse più di uomini tra ferraioli, casseratori, muratori e artigiani vari. Nei giorni precedenti, gli edili hanno discusso e deciso l'adesione alla giornata di mobilitazione. Antonio, seppur favorevole, è esonerato dal parteciparvi per accordi sindacali. Il suo ruolo di capo cantiere, fra l'incudine dell'impresario e il martello degli operai, va rispettato e non messo in difficoltà. L'impresa preme sui muratori affinché non aderiscano alla mobilitazione. Tra interinali, lavoratori anziani o appena assunti, vi sono comprensibili paure di ritorsioni. Il mutuo e la famiglia da mantenere sono preoccupazioni che assillano tutti.
Quel venerdì 2 dicembre si presenta l'assistente di cantiere, pronto a stilare la lista degli operai intenzionati ad aderire alla protesta sindacale. Velatamente l'assistente minaccia ritorsioni. La pressione psicologica ha successo. Dopo intense discussioni, gli operai esitano, si dividono e alla fine rinunciano. Son coscienti che senza contratto è in gioco il loro futuro, ma la paura per il presente ha la meglio.
A Bellinzona, 2mila edili manifestano «per un mercato che non si sa regolare, nel contratto la responsabilità sociale». In mezzo a loro Antonio, l'inaspettato capo cantiere. Confida di essere amareggiato per i suoi colleghi e di aver lasciato il cantiere per lanciare un segnale: «non capiscono che se non lottano per i loro diritti, la loro vita inevitabilmente peggiorerà». I timori di perdere il posto li ha anche Antonio, così come li hanno i duemila edili presenti. Ma la dignità prevale sulla paura. Amano il loro lavoro e vogliono difenderlo dalla spirale di degrado imperante. Non solo, vogliono migliorarne le condizioni. Antonio e i 2mila colleghi non sono né caporali né schiavi. È di persone come loro che la società ha bisogno per progredire. I diritti sono il frutto di lotte coraggiose. Non certo dei vertici degli impresari che invocano meno regole per incassare maggiori profitti. Tutto «per riportarci indietro a cent'anni fa nell'ignoranza, lo sfruttamento, l'oppressione e la povertà» parafrasando il gruppo musicale Banda Bassotti.

Pubblicato il

09.12.2011 00:30
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