L’economia e la politica che ne è succube, danzano spesso il valzer dei ricatti. In particolar modo quando si percuote la grancassa del sistema e chi ne approfitta o se si scardina la credenza che non c’è alternativa possibile a ciò che impongono. Si riesce a decidere (al Nazionale) che è cosa buona e giusta ricorrere ai guadagni della Banca Nazionale per alimentare un pilastro fondamentale per il bene comune, l’Avs. C’è anche una giustificazione valida. La politica monetaria, di cui la Bns è artefice, per favorire la stabilità del franco, evitarne la sovravvalutazione (rispetto all’euro), mantenere la competitività (con le esportazioni che quindi non rincarano), ha in pratica azzerato i tassi di interesse, rendendo la moneta nazionale meno attrattiva, meno bene rifugio. In ogni azione economica, all’aspetto positivo s’accompagna spesso un effetto negativo. Con quella politica hanno patito i fondi dell’Avs: minori o nulli interessi equivalgono a minori rendite, nutrimento di quei fondi. Ma ecco che sulla decisione scatta un doppio ricatto. L’uno di sistema: i compiti della Bns sono altri. E cioè mantenere la stabilità dei prezzi, tenendo conto della congiuntura, controllare la massa monetaria in circolazione; ora si dà il caso che, con i miliardi già iniettati per la pandemia e con la ripresa che si prospetta, i prezzi saliranno. Non è dunque né il caso né il tempo di versare miliardi all’Avs. Rendendola oltre tutto dipendente da un meccanismo incerto e falso. L’altro di scontata ritorsione: quei soldi mancheranno alla Confederazione per settori come la Difesa o l’Agricoltura (cari all’Udc) o il Sociale o i Trasporti pubblici (cari alla Sinistra) e si dovranno diminuire i versamenti ai cantoni (e il Consiglio degli Stati si opporrà). Non passa per la mente, ad esempio, che con la politica monetaria adottata si è penalizzato il risparmio dei lavoratori. E allora perché, come giustizia distributiva comanda, non far capo ai guadagni della Bns, la banca di tutti, riconoscendo i sacrifici assunti dai lavoratori per favorire l’economia nazionale, assegnandone almeno una parte all’assicurazione-pilastro che è di tutti, senza ricorrere ancora una volta per sostenere l’Avs all’aumento dell’Iva, l’imposta indiretta più antisociale, che più colpisce i redditi familiari medi-piccoli? Mentre altrove (Stati Uniti, Europa) si decreta, e non solo per necessità di recupero dopo gli interventi per la pandemia, il fallimento dell’equazione sinora imperante (più sgravi fiscali ai ricchi uguale più concorrenza, più crescita, più ridistribuzione della ricchezza) per i risultati opposti ottenuti e per l’ingiustizia fattasi sistema, la Svizzera ripesca una vecchia fisima, quella di abolire il diritto di bollo sull’emissione di capitale proprio. Un altro regalo alle grosse imprese che rilancia la disastrosa concorrenza, ingrasserà di dividendi alcuni azionisti, comporterà altri cedimenti attorno allo stesso nucleo fiscale e l’imposta anticipata (con un buco previsto di 2,5 miliardi per le casse federali). E qui arriva, puntuale, il ricatto più fragoroso: la “sostenibilità” (cioè l’impegno per salvaguardare il clima) è primordiale e va incoraggiata, bisogna quindi rendere la Svizzera attrattiva, togliendo ogni ostacolo allo sviluppo del mercato dei capitali, incoraggiando l’emissione di “obbligazioni verdi”, essenziali per salvare il clima. C’è da sperare che un referendum (già promesso dalla sinistra) seppellisca anche il valzer del ridicolo.
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