Il tempo Divoora(to) non si concilia

Nessuna intesa tra il sindacato Unia e l’azienda di delivery che continua a esigere lavoro gratuito dai dipendenti con un nuovo contratto al ribasso

Tra chi non vuol pagare ai dipendenti il tempo messo a disposizione dell’azienda e chi vorrebbe invece esser retribuito, non c’è nulla da conciliare. È fallita la procedura di conciliazione presieduta dal consigliere di Stato Christian Vitta tra l’azienda di consegne Divoora e il sindacato Unia.

A sancirne il fallimento, l’invio di Divoora ai suoi dipendenti di un nuovo contratto mentre la procedura era ancora in corso. Infranta così la regola sull’astensione delle parti in causa di qualsiasi atto “ostile” durante la conciliazione. L’Ufficio cantonale prende atto e non formula nessuna raccomandazione per sanare la situazione. Rimane silente pure il Consiglio di Stato, informato del fallimento conciliatorio. Politicamente è il dato più rilevante. Non è dato a sapere se il governo approvi o disapprovi il pagamento just in time introdotto dall’azienda di consegne luganese.


Dallo scorso novembre, la ditta paga i suoi dipendenti al minuto 35 centesimi giusto il tempo della consegna. Tutto il resto del tempo è regalato (controvoglia) dai dipendenti a Divoora. Uno sdoganamento contrattuale della gratuità che potrebbe assurgere a modello aziendale nell’indifferenza della politica cantonale. Un caso esemplare dello “spirito del tempo” delle metamorfosi nascoste del mondo del lavoro descritto nel saggio “La gratuità si paga” di Marazzi, Greppi e Cavalli, consigliato a chi volesse approfondire il tema. Va precisato che l’autorità cantonale del caso se ne sta occupando con le verifiche dell’ispettorato del lavoro. I risultati arriveranno forse in estate. Tempi tecnici contro tempi politici.

 

Per il sindacato, quel che conta è il tempo rubato ai dipendenti. Anche perché, col nuovo contratto entrato in vigore il 1° maggio, la situazione non migliora. «I contraenti pattuiscono che il tempo tra un servizio e l’altro non è da considerarsi “tempo d’attesa”, “di prontezza” o “di disponibilità”» e quindi non retribuito, si legge nel contratto. Giangiorgio Gargantini, segretario regionale di Unia, chiarisce: «Se devi consegnare pasti ai clienti entro pochi minuti dall’ordine, devi disporre di personale in attesa. Altrimenti non riuscirai. Si tratta palesemente di tempo di lavoro, come legalmente definito».

 

Oltre a mantenere l’idea di retribuirli just in time, si sono aggiunte delle indennità giudicate irrisorie, illustrate da Unia lo scorso giovedì in conferenza stampa. Ad esempio, i 17 centesimi di rimborso a chilometro, ben lontani dai 70 centesimi indicati dal Tcs. Ugualmente dicasi per i rimborsi del cellulare. «I rimborsi non coprono le spese effettive dei corrieri. Devono quindi pagare per lavorare?» ha chiesto Chiara Landi, responsabile terziario di Unia Ticino in conferenza stampa.

 

La paura di perdere il seppur scarso reddito ha indotto dei corrieri a sottoscrivere il contratto ugualmente, ben consci di esser lontani da condizioni dignitose. La sindacalista ha spiegato che quelle condizioni, seppur sottoscritte, sono nulle perché «i lavoratori non possono rinunciare ai loro diritti sanciti dalla legge, sottoscrivendo un contratto al ribasso». 

Pubblicato il

01.01.2022 14:02
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