Il tavolo dei grandi

Il grande problema del momento, in Italia, è che nessuno invita Berlusconi a tavola coi grandi. Non c’è da stupirsi. Se lo inviti a tavola coi grandi, non spunta su dalla sedia. Meglio metterlo a tavola coi bambini, dove gira meno alcool, e dove quindi la naturale tendenza di Berlusconi a dire stronzate non rischia di venire alimentata dalle libagioni inebrianti tipiche dei super-vertici. Ma, detto ciò, non si può non provare umana simpatia per il povero Silvio che viene snobbato dai grandi e che arriva ai summit solo quando le pizzette se l’è mangiate tutte Schröder. È naturale che poi il Berlusca tenda a strafare, per dimostrare di essere degno di sedersi al tavolone degli adulti. Tra un po’, per provare la sua ferrea fedeltà atlantica, il presidente operaio invaderà da solo il primo stato musulmano che troverà. E con le sue conoscenze geografico-storiche, rischia di essere la Sicilia. Insomma il Cavaliere vuole dimostrare di essere più americano degli Americani. Ha voluto anche organizzare, insieme a Giuliano Ferrara (l’unica vera fortezza galleggiante di cui disponga l’Italia), una marcia di solidarietà con gli Usa. Non sarebbe stata una brutta idea, il 12 di settembre. Ma oggi, francamente, sembra un po’ come fare una manifestazione di solidarietà per un dobermann intento a sbranare uno yorkshire terrier. Ma le vie del premier sono misteriose. E, un po’ come Cavour volle partecipare alla guerra di Crimea con il Piemonte, per permettere al regno dei Savoia di sedersi al tavolo coi vincitori, così anche Berlusconi vuole partecipare alla «guerra contro il terrorismo» per poter almeno essere invitato per il caffè. Certo se imparasse a collegare il cervello prima di aprire la bocca per celebrare i fasti della superiore civiltà occidentale, sarebbe meglio. Il Cavaliere vuole far la guerra al terrorismo dissodando l’Afghanistan a suon di Cruise, ma poi fa approvare una legge sulle rogatorie internazionali che, oltre a mettere al sicuro il presidenziale deretano, renderà molto più difficile la lotta transnazionale contro i medesimi terroristi. Un altro dettaglio che non aiuta l’Italia a dare un’immagine di affidabilità. Per non parlare del fatto che, dopo aver trattato a pesci in faccia l’opposizione (notoriamente composta da terroristi rossi essa stessa), difficilmente Berlusconi può aspettarsi un sostegno bipartisan (che parolaccia schifosa) per l’entrata in guerra dell’Italia. Insomma, a fronte delle magagne che il suo governo contribuisce a perpetuare, quando non a creare di bel nuovo, l’unico modo che il cavaliere trova per «far contare» l’Italia è mettere a disposizione soldati, bombe e mezzi in questa strana, discutibilissima «guerra al terrorismo». Un’equazione semplice e vagamente oscena del tipo: sono disposto a usare un po’ di tritolo e qualche morto, per poi avere maggiore potere negoziale. Come si chiama questa politica? Vi do un suggerimento, comincia con «t».

Pubblicato il

09.11.2001 12:30
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