Come faccio spesso, approfitto di un viaggio professionale negli Stati Uniti, questa volta a San Diego, per fare un salto in Nicaragua a vedere come procedono i diversi progetti dell’Associazione di aiuto Medico al Centro America (Amca). Arrivo a Managua la sera di mercoledì 9 aprile. La mattina dopo faccio un sopralluogo all’ospedale Bertha Calderón dove Amca sta facendo un investimento di un milione di franchi (la metà coperta dalla Confederazione) per il rifacimento delle cure intense neonatali: un reparto importante, dato che un neonato su cinque, soprattutto per le condizioni sociali precarie, richiede cure speciali per poter sopravvivere. I lavori, iniziatisi a gennaio, proseguono spediti e probabilmente il nuovo reparto sarà inaugurato il 19 luglio, festa nazionale. Da ammirare anche l’organizzazione logistica per il periodo di ristrutturazione: non scontata, viste le quasi 13.000 nascite annuali (nessun ospedale in Ticino arriva alle mille nascite). Visito poi il reparto di gineco-oncologia, ristrutturato da Amca un paio di anni fa: è oramai insufficiente e discuto con la direzione la possibile costruzione di nuovi spazi. Nel primo pomeriggio mi incontro con la ministra della sanità, Sonia Castro, e discutiamo quasi due ore dei progetti di Amca. Rientro in albergo e improvvisamente verso le 17.20 sento dapprima un boato, e poi una forte e prolungata scossa, tutto trema e sobbalza… Schizzo a mettermi sotto lo stipite della porta. Passati la scossa e lo spavento, tutti gli ospiti si raccolgono nel patio. Il pensiero va al devastante terremoto del 1972, che a Managua aveva fatto più di 10.000 morti. Presto apprendiamo che la scossa è stata di 6,7 sulla scala Richter (sul momento mi pare di ricordare più o meno come all’Aquila), con epicentro a 20 chilometri a nord di Managua, ma a una profondità di varie decine di chilometri: nel 1972 era stato molto superficiale e proprio in mezzo alla città. Questo spiega, mi si dice, che i danni questa volta siano molto più limitati. Continua però lo sciame sismico con una scossa più o meno ogni ora. A notte inoltrata parla alla nazione il presidente Ortega e dichiara l’allarme rosso: tutte le attività scolastiche e lavorative sospese, ospedali parzialmente svuotati dai pazienti meno gravi, per far posto a eventuali eventi catastrofici, perché si temono scosse ancora più forti. Il giorno dopo mi reco al centro di ricerche mediche dell’università per discutere di possibili progetti sui tumori infantili, gestiti dall’oncologo ticinese dottor Francesco Ceppi, che fa regolarmente la spola tra Montréal e Managua. Proprio mentre stiamo discutendo, ci sorprende un nuovo terremoto. Segue un nuovo sciame sismico, più marcato del precedente… Decido quindi che sia più saggio accorciare la mia permanenza in Nicaragua e partire per Cuba. Lì apprenderò che oltre a due morti e 30 feriti, alla fine più di 2.000 case sono state distrutte, mentre uno dei principali ospedali nicaraguensi è oramai inservibile. Anche il nostro Barilete di Colore ha avuto gravi danni, per cui è tuttora inagibile e dovremo fare un grosso investimento per rimetterlo in funzione. Sicuramente potremo contare sulla solidarietà della popolazione ticinese. Sarebbe sicuramente stato più facile se la solita pachidermica Rsi avesse colto l’occasione, come hanno fatto alcune radio private e portali, di intervistare qualcuno dei ticinesi presenti a Managua durante le ore calde del terremoto... |