Abbassare il tasso di conversione del capitale di cassa pensione al 6,4 per cento fa solo gli interessi dei grandi gruppi assicurativi. E non è necessario per garantire a lungo termine il finanziamento del secondo pilastro: nella peggiore delle ipotesi infatti il sistema sarà sempre in grado di finanziare un livello delle rendite ben superiore.
Uno studio di Jacques Grivel, direttore dell'istituto di ricerca Fundo, lo dimostra: le ipotesi su cui si sono basati governo e parlamento per ridurre al 6,4 per cento il tasso di conversione delle rendite del secondo pilastro sono del tutto irrealistiche e non giustificano in nessun caso un taglio delle prestazioni (cfr. riquadrato sotto). Il secondo pilastro è dunque un sistema perfettamente in grado di finanziarsi, anche in un periodo congiunturalmente difficile come quello che stiamo vivendo. Lo studio di Grivel verrà presentato oggi in una conferenza stampa dall'autore stesso e dal sindacato Unia, che lo ha commissionato. A chi serve allora il taglio delle pensioni? Una risposta indiretta ci viene da Carsten Maschmeyer, uno dei più grossi azionisti del gruppo assicurativo Swiss Life. Il 6 giugno 2005 Maschmeyer, quando ancora era il boss del suo gruppo di servizi finanziari Awd, poi venduto a Swiss Life, disse: «siamo di fronte al più grosso boom che il nostro settore abbia mai vissuto. Lo spostamento dalla previdenza professionale statale a quella privata rappresenta un mercato che sarà in crescita per decenni. Certo non si può prevedere con precisione come la crescita della previdenza privata si concretizzerà. Ma è come se fossimo seduti su un pozzo di petrolio. È già stato scavato, è enorme e presto sgorgherà». La domanda allora è lecita: la previdenza professionale è un'assi- curazione sociale o un affare lucrativo per le assicurazioni vita e le società finanziarie? Rita Schiavi, membro della direzione nazionale del sindacato Unia, risponde: «vogliamo che la previdenza professionale sia un'assicurazione sociale. Con l'obiettivo di permettere anche nella vecchiaia una vita dignitosa». Ben diverso è l'obiettivo delle compagnie d'assicurazione: vogliono massimizzare i profitti. Negli anni scorsi hanno fatto lauti guadagni. Per garantirseli anche in futuro «fanno pressione da anni affinché siano abbassati il tasso di interesse sul capitale accumulato e il tasso di conversione degli averi del secondo pilastro. Per loro il gioco è stato facile lo scorso autunno, all'ombra della crisi, nel chiedere ed ottenere la riduzione al 6,4 per cento del tasso di conversione del capitale in rendite di vecchiaia», osserva Schiavi. Nemmeno due anni fa Zürich Financial Services aveva portato gli obiettivi di rendimento del capitale proprio dal 12 al 16 per cento. Forse oggi gli obiettivi sono più modesti. Ma se da un lato gli assicuratori garantiscono ai loro azionisti un alto rendimento dei loro capitali, dall'altro si disperano dicendo che agli assicurati non possono nemmeno garantire il 4 per cento. Nel 2007 le assicurazioni con il secondo pilastro hanno rastrellato 20 miliardi di franchi di contributi. Di questi, il 10 per cento sono finiti direttamente nelle loro tasche: 700 milioni come utili dichiarati, 1,3 miliardi come costi amministrativi (comunque molto alti). Così, anche grazie ad un'interpretazione discutibile della legge, le assicurazioni intascano il 45 per cento dell'utile netto dei capitali che appartengono alle lavoratrici e ai lavoratori. Ben diversa la situazione per le casse pensione autonome: tutti gli utili vengono riversati agli assicurati e i costi amministrativi sono molto più bassi. Per Schiavi la conclusione è chiara: «le assicurazioni incassano premi troppo alti. E i tassi di rimunerazione e di conversione del capitale di secondo pilastro non sono troppo alti, ma troppo bassi».
Tasso al 6,4 per cento, «ipotesi inverosimili»
Da quando è entrata in vigore la Legge sulla previdenza professionale (Lpp), 24 anni fa, il secondo pilastro è sempre stato in buona salute. E nulla lascia intendere che le cose debbano cambiare nei prossimi anni, malgrado la crisi di questi mesi. A dirlo è Jacques Grivel, direttore dell'istituto di ricerca Fundo che lavora in stretta collaborazione con il Politecnico di Losanna. Grivel ha realizzato uno studio per conto del sindacato Unia sulla redditività dei capitali pensionistici in questi 24 anni, studio che proprio oggi viene presentato alla stampa. La conclusione è che non si giustifica una riduzione del tasso di conversione delle rendite del secondo pilastro al 6,4 per cento come è stata decisa dal parlamento in dicembre (e contro cui Unia ha lanciato il referendum). La redditività più bassa in assoluto mai registrata dai capitali del secondo pilastro dal 1985 ad oggi, che è stata del 3,6 per cento, permetterebbe infatti di mantenere un tasso di conversione almeno del 6,8 per cento. La redditività media avuta in questi 24 anni, dedotte anche le spese di gestione, si fissa al 4,4 per cento: essa è in grado di garantire un tasso di conversione del capitale in rendite del 7,3 per cento. Per "giustificare" un tasso di conversione del 6,4 per cento occorrerebbe che i capitali accumulati abbiano una redditività media pluriennale di appena il 2,8 per cento, di 0,8 punti percentuali inferiori alla redditività più bassa mai registrata da quando è entrata in vigore la Lpp. Un'ipotesi che Grivel non esita a definire come «estremamente inverosimile». |