Come un rullo compressore sul destino del servizio pubblico, dei lavoratori e degli utenti, la ristrutturazione della rete postale svizzera prosegue senza sosta. L’altro giorno, infatti, il «gigante giallo» ha illustrato i progetti per Losanna, Lugano e Lucerna; la musica, sostanzialmente, è sempre la stessa: gli uffici postali giudicati poco redditizi vengono chiusi. Al di là dei dettagli della cura dimagrante studiata dai vertici della Posta per «sanare» l’azienda, resta il problema di fondo: lo smantellamento del servizio pubblico, ossia un patrimonio della collettività al centro di continui attacchi di impronta neoliberista. Applicando rigorosamente e diligentemente i «diktat» delle regole del mercato – che vedono nelle privatizzazioni e nelle liberalizzazioni uno strumento privilegiato – la Posta intende curare i suoi conti e i suoi interessi sulle spalle della collettività. Troppo facile! Un servizio pubblico ha senso se risponde completamente alle esigenze della comunità, se ne soddisfa i bisogni. Le numerose manifestazioni di protesta contro il piano di ristrutturazione, hanno mostrato chiaramente che la gente non è disposta a subire le conseguenze di scelte aziendali sbagliate che, per finire, indeboliscono il rapporto tra Stato e cittadino. Non bisogna farsi ingannare: quando la Posta parla di volere garantire «il servizio universale» propone, in realtà, un servizio pubblico rivisto al ribasso e difficilmente controllabile. Al ribasso anche le condizioni di lavoro dei dipendenti della Posta, sui quali già ora pesano molte incognite. Senza contare, poi, le inevitabili disuguaglianze sulla qualità dei servizi che si produrranno su scala nazionale. La lotta contro lo smantellamento della Posta va oltre l’aspetto settoriale: è una lotta per lo Stato sociale. Da tempo il potere finanziario ed economico esercita forti pressioni per modificare il ruolo politico e sociale dello Stato ampliando le distanze con i cittadini; è una strategia pericolosa che mina anche il sentimento di identità e di appartenenza del cittadino con la società in cui vive. Da troppo tempo i bisogni delle persone sono passati in secondo piano. Stiamo all’erta: una società che presta attenzione solo alle tasche di pochi rischia di esplodere.

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18.01.02

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