Il ritorno degli scioperi

Negli ultimi anni gli scioperi sono diventati più frequenti anche in Svizzera. Nel 2006, per esempio, hanno incrociato le braccia i lavoratori della Boillat e dello Shauspielhaus di Zurigo. Sempre più spesso i sindacati minacciano anche di astenersi dal lavoro. L'anno scorso, lo hanno fatto i postini e persino i ferrovieri. Questo fenomeno ha riacceso il dibattito sulla pace del lavoro, che fu stipulata tra sindacati e padronato nel 1937, vale a dire 70 anni fa. Se ne dibatte in casa sindacale, ma anche all'interno del padronato, che proprio recentemente ha pubblicato in Romandia un libro dal titolo "La pace del lavoro è minacciata?"

Questo accordo fu concluso il 19 luglio del 1937 tra la Federazione degli operai della metallurgia e orologeria (Flmo poi confluita in Unia) e l'Associazione svizzera dei costruttori di macchine. Di fatto i sindacati rinunciarono a ricorrere all'arma dello sciopero e il padronato alla serrata.
Non si era giunti a questo accordo per caso, ma dopo anni di accesi conflitti per la conquista di diritti fondamentali, ma anche per ottenere un contratto collettivo di lavoro (Ccl). Oggi forse sembra impossibile, ma 100 anni fa i contratti di lavoro erano praticamente inesistenti. Basti pensare che nel 1911 meno del 5 per cento dei lavoratori dipendenti sottostava ad un accordo collettivo.
I contratti si sono imposti soprattutto dopo lo sciopero generale del 1918, al quale parteciparono oltre 250 mila persone in Svizzera. La gente non era scesa in piazza per chiedere un Ccl, ma per ottenere l'Avs, il diritto di voto per le donne e la giornata lavorativa di 8 ore.
Il primo vero contratto nazionale di categoria è stato quello dei tipografi e fu concluso nel 1919: regolava le condizioni salariali e di lavoro. Un altro importante accordo collettivo fu raggiunto nel 1920 nel settore bancario. Nel 1929, circa 65 mila persone erano protette in Svizzera da un Cct.
La crisi economica degli anni successivi inasprì le tensioni sociali, che erano di natura economica, ma anche politica. In questo clima fu siglata la pace del lavoro, ma contemporaneamente fu raggiunto un accordo collettivo nel settore edile e in quello dell'orologeria.
Inserendo nei contratti la clausola che garantisce la pace del lavoro assoluta o relativa, «le imprese hanno la quasi certezza che la loro attività non sarà turbata da interruzioni del lavoro che possono causare il rallentamento o la cessazione della produzione» spiega Jean Claude Hefti, nella pubblicazione romanda, in un capitolo dove parla appunto di vantaggi e svantaggi per ambo le parti dell'intesa del 1937.
In modo generale, l'accordo «contribuisce a mantenere la pace sociale e, indirettamente, al buon funzionamento delle istituzioni politiche» aggiunge, sottolineando che l'assenza di sciopero rende più attraente anche la piazza economica svizzera.
Col passare degli anni, la Svizzera si è conquistata la fama di paese risparmiato dallo sciopero. L'astensione dal lavoro è stata applicata solo in casi estremi, dopo che il dialogo non aveva dato i risultati sperati.
Per i lavoratori rinunciare allo sciopero è stato un grosso sacrificio. «Appoggiando le loro rivendicazioni con scioperi o con minacce di scioperi, i lavoratori forse potrebbero riuscire a strappare qualche concessione in più» sottolinea Hefti. Inoltre, i conflitti di lavoro permettono ai lavoratori di profilarsi meglio e promuovono la solidarietà operaia.
«In occasione del conflitto alla Swissmetal Boillat Sa, si è potuto constatare uno slancio di solidarietà che andava ben al di là della  cerchia dei lavoratori direttamente interessati» afferma. «Per i sindacati, un conflitto aperto è l'occasione per profilarsi e dimostrare la loro utilità e in questo modo per reclutare nuovi membri» aggiunge.
La pace del lavoro, ma anche e soprattutto la lunga fase di crescita e prosperità economica del dopoguerra, hanno permesso l'imporsi sempre più degli accordi di lavoro. Basti pensare che nel 2005, in Svizzera c'erano 611 contratti, di cui 199 settoriali e 412 aziendali. Quelli più famosi sono quelli dell'edilizia e dei suoi settori affini. Sono ben protetti anche i lavoratori dell'industria delle macchine e dell'orologeria, come pure i bancari, i grafici e i dipendenti delle telecomunicazioni, poste e ferrovie. In tutto sono 1,52 milioni di lavoratori, pari al 40 per cento di salariati.
Secondo Daniel Oesch, dell'Unione sindacale svizzera, negli ultimi anni è aumentato il numero dei lavoratori protetti da queste convenzioni. Lo si deve a vari fattori: all'aumento della penetrazione nel terziario, alla dichiarazione di portata generale di un maggior numero di accordi dopo l'apertura delle frontiere alla libera circolazione della mano d'opera, ma anche al fatto che i lavoratori delle ex regie federali (ferrovie, postini ecc.) adesso hanno un contratto collettivo di lavoro.
Da notare poi che se nel 1977, il 67 per cento dei contratti prevedeva una pace assoluta, nel 2005 questo valeva solo per il 49 per cento degli accordi.
Negli ultimi 15 anni, la pace del lavoro è comunque diventata più fragile e questo è dovuto in particolare al cambiamento in atto delle relazioni sociali. Negli ultimi anni ci sono stati più conflitti. Hanno incrociato le braccia edili e pittori, piloti d'aereo e commesse. Alcuni settori stentano a rinnovare il contratto, come è il caso per esempio dei giornalisti della stampa scritta.
Negli ultimi anni «il mondo del lavoro ha subito profondi cambiamenti, che riguardano l'impresa, i suoi dirigenti, il personale, i sindacati e le associazioni padronali» rileva Hefti.
La globalizzazione, ha reso in particolare più difficile la vita delle imprese che producono per l'esportazione. Le fusioni e le ristrutturazioni sono diventate sempre più frequenti. Anche in Svizzera molta gente ha perso il lavoro fisso e ha dovuto accontentarsi di occupazioni solo temporanee. «La moda – afferma – è di interessarsi ai diritti degli azionisti, dimenticando che sono i collaboratori che fanno girare l'impresa».
È poi più facile trovare dirigenti stranieri alla testa di imprese svizzere. Sono persone preparate, ma che «non sono cresciute nella tradizione del dialogo sociale e della pace del lavoro» rileva Hefti, sottolineando, che anche i lavoratori si sentono meno legati di un tempo all'impresa e quindi anche meno disposti a fare sacrifici.
Dal canto loro i sindacati, ma anche le organizzazioni padronali stanno vivendo una fase di fusioni e ristrutturazioni per rafforzare la loro posizione e parare la perdita di membri. ll dialogo tra le parti si è fatto più difficile anche perché le posizioni si sono nettamente allontanate. I datori di lavoro hanno aumentato sempre più le loro rivendicazioni. Hanno chiesto più flessibilità, sia sugli orari che sulle condizioni salariali introducendo la paga al merito.
La firma di accordi è meno scontata di un tempo. Lo si è visto in occasione dei negoziati salariali per i lavoratori dell'edilizia principale, che si sono concluse senza un accordo. Alla fine i datori di lavoro si sono limitati a fare delle raccomandazioni. Quindi non tutti riceveranno lo stesso aumento, come avveniva finora. In questo clima si sono infittite anche le denunce da parte del padronato di violazione della pace del lavoro. Col risultato, che nelle aule dei tribunali si parla sempre più spesso di scioperi e alla fine sono i giudici a sentenziare.

"La necessaria risposta"

Prima che si arrivi ad uno sciopero in Svizzera ci vuole sempre moltissimo. Ma, osserva Paul Rechsteiner, presidente dell'Unione sindacale svizzera (Uss), «il grosso risalto avuto dagli scioperi degli ultimi anni dimostra che qualcosa sta cambiando. Il tabù dello sciopero sta crollando pezzo per pezzo. Quel che per i più alcuni anni fa era inimmaginabile, oggi rientra nell'orizzonte del pensabile». I rappresentanti dei datori di lavoro si indignano, ma «farebbero meglio ad interrogarsi sulle cause degli scioperi di questi anni. Raramente si è lottato per ulteriori conquiste sociali. Nella maggior parte dei casi si è trattato di una forma di autodifesa da parte dei lavoratori, contro condizioni di lavoro inaccettabili o provocazioni di manager irresponsabili». Certo, osserva Rechsteisner, il diritto di sciopero viene limitato dall'obbligo di rispettare la pace del lavoro: «ma la pace del lavoro è soltanto un obbligo contrattuale, non è ancorato nella Costituzione, come invece lo è il diritto di sciopero». Se la Svizzera dai primi anni '50 è stata un caso particolare per i suoi pochi scioperi è soprattutto perché i salariati in quei decenni sono stati resi partecipi del progresso economico (aumenti salariali, riduzione dell'orario di lavoro, Stato sociale). «Dall'inizio degli anni '90 questo contratto sociale non viene più rispettato da una parte del padronato: che i lavoratori si riapproprino del diritto di sciopero non è altro che la necessaria risposta ad imprenditori che sono diventati sempre più aggressivi», conclude Rechsteiner.

Pubblicato il

16.03.2007 01:00
Anna Luisa Ferro Mäder