Per Mariano Franzin prendere la presidenza dell'Ital-Uil è stato un po' un "ritorno a casa". La sua carriera professionale era iniziata negli anni '70, proprio presso questo patronato a Bienne, cittadina che allora contava oltre 11mila italiani, mentre adesso sono poco più della metà. Dal primo settembre è succeduto a Dino Nardi e ha trasferito la sede principale del patronato da Zurigo nella cittadina bernese, che si trova nel cuore della Svizzera.

Mariano Franzin, quando è arrivato in Svizzera ?
All'inizio degli anni '60. Venivamo dalla Francia dove mio padre era andato a lavorare come contadino. Uno zio abitava a Bienne e ci ha convinti a venire qui. A Bienne mia madre ha lavorato in una fabbrica di orologi e mio padre presso le "Tre filiere riunite". Io ho fatto un apprendistato di commercio e la maturità. In quegli anni molta gente veniva da me per cercare aiuto visto che conoscevo la lingua e la realtà locale. In quel periodo ho cominciato anche la mia militanza nei gruppi dell'emigrazione, nelle Colonie e nel Partito socialista italiano. È stato Dario Marioli che mi ha proposto di lavorare per un patronato e ho detto di sì.
Chi si rivolgeva a voi ?
Allora molta gente non conosceva la lingua e si rivolgeva al patronato per risolvere problemi legati alla paga, al rispetto della dignità e dei diritti fondamentali. C'era chi cercava un posto di lavoro o chi voleva farsi spiegare la busta paga o la corrispondenza, vale a dire la lettera dell'assicurazione o quella di licenziamento. Allora non si parlava ancora di pensione.  Molti erano stagionali. Vivevano nelle baracche e volevano il ricongiungimento familiare, un problema che conoscevo per diretta esperienza. Anch'io per due anni sono andato a scuola in Svizzera anche se i miei genitori non avevano ancora ottenuto ufficialmente il diritto per me di stare con loro.
E i sindacati?
Allora non erano preparati ad un afflusso così massiccio di migranti. I sindacalisti a Bienne non parlavano la lingua di questi lavoratori, che quindi si rivolgevano al patronato.
Dal patronato negli anni '80 è passato al sindacato. Un passo quasi inevitabile visti gli stretti legami che uniscono queste istituzioni?
Col tempo prendendo parte attiva alla vita politica ho conosciuto i colleghi del sindacato. Quando ero a Berna mi hanno proposto di ritornare a Bienne, dove cercavano qualcuno che conoscesse bene le lingue nazionali. Vi sono rimasto ben 25 anni. Per me il periodo più intenso è stato quello in cui ho presieduto il gruppo degli stagionali. Abbiamo fatto le grandi battaglia per l'abolizione di questo statuto. Ma ci siamo impegnati molto anche per il diritto di voto all'estero e per poter votare in Svizzera. In quel periodo ho fatto anche parte del Comites, che ho presieduto a Bienne.
Allora nel sindacato la presenza italiana era molto forte?
Quando si parlava con un lavoratore e lo convincevamo a iscriversi, restava iscritto. Gli italiani di allora sono rimasti fedeli. Un tempo il gruppo pensionati di Unia contava solo svizzeri, adesso ci sono molti italiani. Sono quelli che abbiamo reclutato tra gli anni '70 e '80. È una forma di riconoscenza per il lavoro che abbiamo fatto con loro. I figli si sono iscritti al sindacato, ma soprattutto quando erano molto giovani e col tempo se ne sono andati. Vedono il sindacato come un ufficio di assistenza e pensano di non averne bisogno, ma si sbagliano.
L'anno scorso ha deciso di voltare pagina e di tornare alle origini per così dire. Cosa l'ha spinto a farlo?
Lavorare al sindacato è una cosa bellissima, ma avevo raggiunto quello che potevo raggiungere. Passare all'Ital-Uil, che oggi dispone di 10 segretariati, mi apre nuove possibilità. Mi offre l'opportunità di operare anche sul piano internazionale, perché il patronato è in tutto il mondo e si possono conoscere esperienze diverse e scambiare informazioni. Questo lavoro poi mi offre la possibilità di avere legami più stretti con l'Italia, ma anche con i nostri rappresentanti in parlamento per difendere gli interessi dei connazionali e continuare con loro a difendere quanto meno i diritti acquisiti in decenni di battaglie.
Il governo Berlusconi non facilita il loro compito ?
Purtroppo il governo Berlusconi sta facendo tagli a spada tratta in tutti i settori. L'ultimo è quello sulla scuola e per questo abbiamo protestato venerdì scorso a Berna.  La situazione è sempre più drammatica.  Molti insegnanti rischiano adesso di perdere il loro posto di lavoro. I tagli (si passa da 80 a 30 milioni di franchi di sussidi) non sono stati concordati con i rappresentanti dell'emigrazione, ma imposti. Anche i consolati non hanno più fondi per aiutare le famiglie disagiate. 
Cosa è cambiato all'Ital-Uil in tutto questo tempo ?
Una volta non c'era collaborazione tra i patronati, mentre adesso sì. Un tempo ci guardavamo un po' in cagnesco, cosa che adesso non c'è più anzi collaboriamo tra di noi. 
Oggi che problema ha chi si rivolge a voi ?
Si informano soprattutto sulla previdenza sociale e la cassa pensione, ma la metà ha anche altri problemi. Molti genitori vengono per chiederci di aiutarli a trovare un posto di apprendistato per il figlio. Se uno viene con un problema legato al datore di lavoro allora li inviamo al sindacato. A Bienne siamo locati nell'edificio dove si trova anche il segretariato di Unia. Allora li invitiamo a bussare alla loro porta e talvolta persino li iscriviamo al sindacato. Va da se che poi anche il sindacato ci manda persone con specifici problemi che loro non possono risolvere. In proposito noi e l'Inca abbiamo stretto una convenzione specifica con Unia.
La seconda generazione si rivolge a voi ?
Si rivolgono a noi anche le persone che vivono qui da tempo e hanno ancora rapporti in Italia (una casetta, un appezzamento di terreno o un'eredità). Vengono da noi per pagare l'Ici. Anche in questo caso li assistiamo. Aiutiamo anche i connazionali a sbrigare pratiche con i consolati, che hanno sempre meno personale, ma vogliamo che questo lavoro sia riconosciuto.
Come vede il futuro dei patronati ?
Se questo riconoscimento dovesse esserci, il futuro dei Patronati sarà ancora più importante. Noi poi pensavamo a torto che gli italiani sarebbero rientrati in Italia dopo il pensionamento. Non è stato così. Molti vi trascorrono l'estate, ma poi ritornano qui durante l'inverno dove hanno figli e nipoti. Per noi quindi il lavoro non mancherà, ma bisogna vedere che tagli farà il governo.

Pubblicato il 

07.11.08

Edizione cartacea

Nessun articolo correlato