Il risparmio ingannevole

La politica dei risparmi non è riuscita a contenere l'esplosione dei costi dell'assistenza sociale dal 2003 al 2006 nei conti cantonali. Le ragioni di questo fallimento nello studio "Nuovi bisogni, nuovo Welfare" condotto da Christian Marazzi, Spartaco Greppi e Emiliano Soldini, ricercatori della Supsi.

Dopo gli anni dell'isteria del risparmio e di caccia all'abuso, invero non ancora terminata, una boccata d'aria fresca arriva dal fronte degli studiosi. Il passaggio dai 29 ai 53 milioni di franchi dal 2003 al 2006 nel campo dell'assistenza sociale nei conti del cantone (una vera e propria esplosione) ha finora dato adito alle tesi più disparate, senza che fossero mai sostenute da prove concrete.
In generale, imperava l'idea del risparmio tout court, logica dalla quale neanche la direttrice del Dipartimento della sanità e socialità Patrizia Pesenti ha potuto esimersi. Di fronte all'esplosione dei costi, Pesenti ha varato tutta una serie di misure di rigore nell'ambito dell'aiuto sociale, intervenendo drasticamente su ogni singola voce contabile. «Quasi arrivando ad eliminare le prestazioni sociali» ha detto la Consigliera di Stato presentando la ricerca "Nuovi bisogni, nuovo welfare" al Canvetto Luganese venerdì scorso.
Nonostante i tagli, la spesa sociale cantonale non è comunque diminuita. La causa andava dunque cercata altrove, in maniera scientifica. Per questo motivo il Dss decide di commissionare ai tre ricercatori della Supsi un'analisi dell'evoluzione delle prestazioni sociali nel Canton Ticino per comprendere le vere cause dell'esplosione delle spese dal periodo 2003 al 2006.
I tre studiosi procedono investigando, passo dopo passo, alla ricerca del colpevole. La ricerca si trasforma in un enigma quando si scopre che non esiste un nesso casuale tra l'impennata delle spese sociali e l'aumento del numero di persone beneficiarie. Esclusa questa correlazione, i ricercatori riescono ad individuare altri due "colpevoli": la crescita del fabbisogno dei beneficiari di aiuti sociali e il prolungamento della durata della permanenza in assistenza. Secondo gli autori, i due elementi sono all'origine dell'aumento delle spese sociali. Le prove evidenziate dai ricercatori contro i "colpevoli" lo attestano. Le prove sono riassumibili in due dati: se nel 2004 la percentuale dei beneficiari che aveva sottoposto il suo caso alle istituzioni negli anni precedenti era del 50 per cento, nel 2006 la stessa categoria corrispondeva al 75 per cento. Seconda prova: se nel 2004 le spese riconducibili a beneficiari di "vecchia data" era il 63 per cento del totale dei costi, due anni dopo la percentuale sale al 74 per cento.
I ricercatori rilevano pure un nesso fra la durata di una persona in assistenza e l'aumento della spesa singola del suo caso. Altre cifre  dimostrano chiaramente più a lungo una persona rimane in assistenza, i suoi fabbisogni aumentano, facendo lievitare i costi mediamente di circa 350 franchi mensili (si veda tabella sotto). Riassumendo, secondo gli autori dello studio «la causa dell'aumento della spesa assistenziale non va cercata nell'afflusso di nuovi beneficiari, bensì in una crescente difficoltà ad uscirne».
Scoperto il colpevole, gli investigatori sociali hanno voluto identificare il movente che sembra proprio essere l'isteria del risparmio. "Meno spendi, più spendi" è il circolo vizioso all'origine del fatto incriminato. «La ricerca del risparmio espone la spesa assistenziale a ripetute misure di contenimento che non fanno altro che allungare la permanenza ed aumentare il fabbisogno dei beneficiari», dice lo studio.
Individuati anche i complici dei colpevoli: la desolidarizzazione delle assicurazioni sociali, il trasferimento degli oneri dalla confederazione ai cantoni, la precarietà e la flessibilizzazione del lavoro. Questi complici hanno generato una trasformazione fondamentale. Lo stato sociale è nato e si è costruito sulla centralità del lavoro a tempo indeterminato. Da tempo però,questo rapporto contrattuale ha lasciato il passo al lavoro precario. Non ha dunque più senso fondare lo stato sociale su un modello lavorativo superato dai tempi. Partendo da questo presupposto, occorre dunque ripensare lo stato sociale in funzione della realtà oggi esistente della flessibilità del mercato del lavoro. Non è una novità. Diversi paesi europei se ne sono accorti da tempo, adottando il modello della flexsecurity. Olanda e Danimarca ad esempio, hanno cercato di conciliare la flessibilità professionale alla sicurezza sociale, adattando quindi lo stato sociale al nuovo modello lavorativo dominante della flessibilità. La soluzione danese si basa su tre pilastri: un mercato del lavoro molto flessibile, politiche attive del lavoro fortemente sviluppate e un sistema di tutela sociale esteso a tutta la popolazione. I ricercatori però rendono attenti: non è possibile immaginare una semplice trasposizione del modello danese, occorre adattarlo alla nostra realtà. Gli autori segnalano però che gli equivalenti funzionali di una flexsecurity sul piano locale esistono già. «Si pensi alle misure attive in ambito occupazionale, alla politica familiare e quella formativa» spiegano gli autori.
Particolarmente importante diventa per i ricercatori distinguere nella contabilità statale tra spese orientate al consumo e spese per investimenti sociali. Tale distinzione permetterebbe di evitare di risparmiare sulle spese che generano vantaggi sul medio lungo termine per l'individuo e la società. Spese alla formazione, alle infrastrutture per l'infanzia, alla riqualificazione professionale sono da considerarsi un investimento invece di un costo, avvertono gli autori.
Un'altra nota importante, aggiungono gli studiosi, riguarda il margine di manovra di un cantone. Quest'ultimo da solo non può spezzare il circolo vizioso del "meno spendi, più spendi" proprio perché l'aumento della spesa sociale a carico del Cantone ha origini nazionali. Ma il singolo governo cantonale può indicare la via dal basso mostrandone l'efficacia sul piano locale. Gli assegni familiari introdotti per la prima volta dal Ticino rappresentano un esempio che il resto della Svizzera ha voluto imitare. Ora la palla passa ai politici, che come ha detto la consigliera di stato Pesenti presentando lo studio, «devono sapere approfittare degli strumenti forniti da questa preziosa ricerca». 

Pubblicato il

21.12.2007 03:30
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